Mese: febbraio 2018

Il paese dell’olmo e del vento di Vito Teti

Il paese dell’olmo e del vento di Vito Teti

Sono addossate alle cime dei monti e delle colline le nuvole bianche che danno luce ai piccoli borghi che, dall’alto, sembrano guardarsi e chiamarsi per sentirsi meno soli e meno vuoti. Sono appiccicate ai tetti di quei paesi-presepe dell’estrema punta della Calabria, ai piedi dell’Aspromonte, e sembrano impegnate a tenere fermi quei paesi che da decenni si stanno svuotando. Nomi magici e antichi, greci, Perìpoli, Agrippadi, Condofuri Amendolea, Bova, Pentedattilo guardano incantati lo Stretto, l’Etna, o Mongibello e l’Aspromonte.

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Un anniversario per il Sud di Piero Bevilacqua

Un anniversario per il Sud di Piero Bevilacqua

Com’era prevedibile, l’ultimo Rapporto Svimez sullo stato del nostro Mezzogiorno ha, giusto per un paio di giorni, prodotto la consueta rassegna di denunce e di pianti, di cifre urlate e brandite, di commiserazione di circostanza sugli eterni e rinnovati mali del Sud. In effetti, i dati offerti dalla benemerita Associazione illustrano una situazione visibilmente più drammatica del solito.

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Il riuso delle città di Roberto Budini Gattai

Il riuso delle città di Roberto Budini Gattai

Il contenimento della espansione della città contemporanea, pur nella consapevolezza delle necessità crescenti dell’abitare, si può ripensare sia attraverso il riuso generalizzato, sia ribaltando una consuetudine nel modo di porre l’attività edificatoria. La produzione edilizia moderna e contemporanea si manifesta generalmente mediante l’occupazione delle aree libere e, nei casi migliori, con l’applicazione dei modelli tradizionali: quartieri, città giardino, grandi unità abitative e sempre di più centri direzionali, commerciali, universitari, strade, ecc., i cosiddetti “poli.”

Contrariamente a tali modalità di ampliamento e di pretesa qualificazione (differenziale) della città, la progettazione urbanistica si può fare interprete di un diverso modo di porre il problema della città contemporanea.

In questo diverso modo è il vuoto che assume un ruolo decisivo; esso ridefinisce i confini del costruito, individua la soglia di passaggio da un sistema rurale ad un sistema urbano, oppure tra differenti sistemi insediativi dove s’interpongono spazi residuali.

Si tratta di spazi di soglia, densi di energie relazionali, dove si precisa il compito della progettazione nel ricollocare i frammenti edilizi e i vuoti urbani, individuando elementi alla scala superiore che identificano i caratteri irripetibili della città o del territorio, in un processo di memoria dei segni e delle tracce originarie, sui quali poter ancorare questi pezzi insediativi altrimenti indifferenti a qualsiasi configurazione urbana. (ovvero privi di memoria, seriali, uniformi).

La nozione di “sistema”, già introdotto nella normativa urbanistica (in Toscana), costituisce una novità nel modo di pensare lo spazio urbano e territoriale, perché induce alla trasformazione di entità astratte, quali le zonizzazioni, in una configurazione fisica dello spazio che materialmente rivela tutta la complessità delle relazioni sistemiche.

Con ciò, le differenti articolazioni, di pieni e di vuoti, di edificato e di spazi liberi e i loro rapporti geometrici, vanno a individuare le coordinate costitutive dei luoghi. In tal modo essi esprimono i caratteri specifici della qualità urbana.

Queste tracce di un passato riconosciuto, disegnano la realtà fisica, hanno una continuità nel tempo e costituiscono delle invarianti che la legge (ad es. toscana) precisa come “invarianti strutturali”.

Preferiamo ridefinirle “invarianti di trasformazione”.

Infatti le invarianti non identificano solo manufatti immutabili nel tempo, oggetti da ingessare una volta per tutte, ma questi devono essere piuttosto assunti nelle loro potenzialità a divenire altro dalle ragioni che li hanno originati (ma che sono sempre ricche di suggerimenti).

Il nesso tra le condizioni originarie e quelle attuali deve conservare il sistema delle relazioni morfologiche che è una costante (invariante, appunto), anche se le vicende storiche ne hanno mutato il significato. Le mura urbane, le sponde fluviali, i fronti a mare, i manufatti architettonici, le vie in curva e quant’altro debbono essere interpretati a partire dalla loro natura genetica, dentro la quale si possono scoprire gli elementi del nuovo, i princìpi del progetto.

Dal vuoto urbano, dal negativo, dal non costruito, si definisce la materializzazione del segno fisico che sta in equilibrio tra una forma del naturale e un atto artificiale, così da istituire un rapporto tra natura e architettura.

La definizione di “verde”in urbanistica, è un’accezione ancora tutta ideologica che tende a separare la natura dall’uomo e dalle sue forme di attività.

In ogni epoca questo rapporto dell’uomo con la natura si è manifestato sia attraverso una elaborazione intelligibile sia secondo un rapporto sensibile.

Così, ad esempio, l’ortus conclusus esprimeva la nostalgia dell’Eden, ossia la perfettibilità e l’armonia perduta contrapposta allo smarrimento prodotto dalla selva. Attraverso l’intelletto umano e la percezione sensibile del mondo, com’è nell’arte, questa natura imperfetta avrebbe fatto intravedere la bellezza eterna.

D’altra parte, le “divine proporzioni” costituivano la struttura intellettiva della città ideale del rinascimento, rappresentata nel disegno del giardino. Così alla purezza delle sue geometrie vi era opposta la materialità degli elementi naturali forgiati come da un processo alchemico.

Gli artisti che scoprivano nelle regole classiche le divine proporzioni e nell’utopia dell’armonia la risoluzione dei conflitti che animavano la società, con le loro opere hanno permeato le coscienze di tutto il mondo.

E ancora altre opere dell’uomo, nella loro sedimentazione, hanno dato luogo poi a quell’immagine totalizzante che, in modo distaccato, denominiamo “paesaggio”.

 

Il lavoro, la ricerca, la pratica progettante che propongo all’Osservatorio trova applicazione in alcuni luoghi che possono costituire dei modelli d’intervento nei territori rurali, fluviali, costieri, nei centri antichi o nei conglomerati urbani del sud dell’Italia e in generale dell’area mediterranea.

 

(dall’intervento a Lamezia del 2.XII.2017)

Il Mezzogiorno implode di Tonino Perna

Il Mezzogiorno implode di Tonino Perna

Partiamo da un fatto: i dati sull’emigrazione dal Mezzogiorno al resto del mondo sono decisamente sottostimati, soprattutto quelli che riguardano l’emigrazione Sud-nord nel nostro paese. Il motivo è semplice: dalla Svimez all’Istat tutti analizzano l’emigrazione servendosi dei dati relativi ai cambiamenti di residenza . Ora, come molti di coloro che vivono nel Mezzogiorno sanno, la gran parte dei giovani che emigra nel Centro-Nord Italia per i primi anni non cambia residenza.

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Emergenze ambientali e territoriali: anche nel Mezzogiorno la svolta innovativa deve arrivare “dal basso” di Alberto Ziparo

Emergenze ambientali e territoriali: anche nel Mezzogiorno la svolta innovativa deve arrivare “dal basso” di Alberto Ziparo

1.Introduzione

La crisi climatica sta accelerando; e i suoi effetti vengono esasperati spesso dalle condizioni territoriali,colpite da degrado e ipercementificazione, che ne cancellano progressivamente la struttura ecologica , le componenti organismiche, indebolendo fortemente le sue capacità di reazione, di resilienza.

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A Foggia arriva il “Parco città” di Saverio Russo

A Foggia arriva il “Parco città” di Saverio Russo

Il progetto relativo a Parco Città costituisce una delle più significative e positive novità di una fase della storia della città di Foggia, segnata, purtroppo, da non pochi elementi di degrado e di difficile tenuta del tessuto civile.
Si tratta di un pezzo significativo di un parco urbano (san Felice), realizzato negli anni Ottanta, in una zona nodale, tra quartieri disagiati, centro storico in abbandono e residenze di piccola borghesia impiegatizia. A cavallo del secolo, all’interno del parco il Comune realizzò un anfiteatro da 300 posti ed una “stecca” con una costruzione bassa a ferro di cavallo per servizi e piccoli spazi di ritrovo, compresa una sala di registrazione. Poco dopo la consegna, nel 2003, la struttura fu abbandonata e rapidamente vandalizzata, divenendo ben presto un luogo di spaccio.
Quattro anni fa, un’ATS, composta dall’associazione di promozione sociale “Energiovane”, dall’associazione di volontariato “L’aquilone”, dalla Fondazione “Apulia felix” e dalla cooperativa “Monti dauni Multi service”, presenta un progetto ad un bando della Presidenza del Consiglio- dipartimento politiche giovanili, con cui riesce ad ottenere, previo comodato concesso da un’amministrazione di Centro-sinistra, un contributo di 200 mila euro per il ripristino delle strutture e qualche attività. La somma viene integrata da un finanziamento di 25 mila euro della Fondazione Banca del Monte (ora dei Monti uniti), di cui chi scrive era allora presidente. La Fondazione ha poi promosso, attraverso un’operazione di crowdfunding sociale cui ha partecipato in misura significativa, la predisposizione dell’illuminazione di pubblico servizio e per gli spettacoli nell’anfiteatro del Parco.

Chi scrive, inoltre, ha partecipato, come privato cittadino, all’associazione Amici di Parco Città e si adopera per attivare sponsorizzazioni perché ritiene che la costruzione della Comunità, nel nostro difficile Mezzogiorno, abbia bisogno di atti concreti e di una condivisione reale, non solo di auspici e di sollecitazioni ai pubblici poteri perché provvedano.
La difesa di questo luogo di aggregazione intergenerazionale ha bisogno di tanti volontari che impediscano il ritorno dell’abbandono e del degrado. L’esperienza del primo anno di attività, con le tante iniziative realizzate, le migliaia di persone di ogni età coinvolte – giovani e meno giovani – lascia ben sperare. Ora è necessario non spegnere mai la luce su quest’esperienza, adoperarsi perché possa continuare nel tempo (fra tre anni scade il comodato dell’area da parte del Comune, che tre anni fa ha cambiato maggioranza), far sì che sia sentita da tutti i foggiani come un patrimonio irrinunciabile.

 

Saverio Russo