Osservatorio del Sud: fissare orizzonte, direzione, finalità, obiettivi. Perseguirli con intelligente eccletismo di Mimmo Rizzuti
L’iniziativa del 2 Dicembre scorso a Lamezia per la costruzione dell’Osservatorio, fortemente voluta da Piero Bevilacqua e materialmente organizzata da Gianni Speranza e Giacomo Panizza, parte dalla constatazione di una condizione del Mezzogiorno connotata da una sequenza di negatività che hanno portato all’oscuramento di quella che una volta era la questione nazionale per eccellenza.
Con tutti gli indicatori politici, economici , sociali , culturali, istituzionali in scivolamento costante verso il basso, ancorchè a macchia di leopardo, a testimonianza dell’articolazione della realtà meridionale, il Sud è progressivamente scomparso dalla scena .
Una recente, interessante ricerca curata da Daniele Petrosino e Onofrio Romano con prefazione di Franco Cassano, di cui è coautore Tonino Perna, si intitola emblematicamente “ BUONANOTTE Mezzogiorno”
Una ricerca, come sottolinea Cassano nella prefazione, che in maniera analitica registra l’oscuramento e l’impasse in cui si trova il Mezzogiorno da cui, nello scenario dato, non si riesce a trovare una via di fuga.
Per uscire da questo cono d’ombra occorre avere ben chiari i fenomeni che l’hanno generato e che purtroppo tendono a stabilizzarlo.
Dominante appare in ogni manifestazione o tentativo di riprendere un discorso sul Sud, un senso di RASSEGNAZIONE, di ACCETTAZIONE COME INEVITABILE DELLA CONDIZIONE DATA,DEI PARADIGMI E DELLA VISIONE DOMINANTE.
Una condizione che pervade le classi dirigenti tutte, politiche in primo luogo.
Da cosa deriva questo stato?
Piero, nelle ragioni in cui motiva questa iniziativa e nella sua introduzione, individua e indica nella “grave trasformazione e degenerazione della vita pubblica nazionale degli ultimi 70 anni.” il fenomeno che ha determinato questo stato di cose .
Registra come “quelli che erano stati i grandi partiti popolari, gli “organizzatori della volontà collettiva”, come li chiamava Gramsci, i produttori di indagine e di cultura sociale finalizzati alla modernizzazione del Paese, si siano “trasformati in raggruppamenti di comitati elettorali.
Come gli stessi si siano dissolti in ceto politico, un corpo frantumato e dominato dall’individualismo competitivo
, che opera al fine sempre più esclusivo e assorbente della vittoria elettorale. Vale a dire l’ingresso alla gestione del potere.
A tale scopo, che non è quello della trasformazione del Paese secondo i suoi emergenti bisogni collettivi, l’indagine sociale e la conoscenza non servono. Servono i sondaggi”.
Come siamo arrivati a questo stato di cose?
Sulla scia della sua introduzione, credo sia opportuno sottolineare come questa condizione si sia determinata a conclusione di due momenti distinti della storia del nostro Paese : dal dopoguerra a tutti gli anni 70 del 900 e dagli anni 80 ad oggi.
Due periodi in cui il problema degli squilibri Nord –Sud del Paese sono stati declinati ed affrontati con due diversi paradigmi.
Nel primo periodo “ La questione Meridionale”, come problema politico nazionale resta oggetto dell’intervento dello stato centrale, attraverso l’intervento straordinario(CASMEZ) che sarebbe dovuto essere un intervento aggiuntivo volto a colmare gli squilibri storici delle due aree del Paese registrati al momento della unificazione (1860) ed accentuatesi successivamente , con una certa attenuazione nei gloriosi anni 30 del dopo seconda guerra mondiale, in cui il Sud ( anni 60 /70 del 900) aveva attenuato il divario.
In ogni caso il Sud, in tutto questo arco storico, è stato uno dei pistoni di maggiore spinta dello sviluppo del NORD (fornitore risorse umane preziose e mercato di sbocco per le sue imprese).
Forse sarebbe il caso che nel dare – avere conteggiato dalle classi dirigenti del Nord di questo periodo di crisi profonda dello Stato, che puntano a trattenere le tasse che si pagano nei propri territori, fossero conteggiati anche questi enormi credi ti del Sud.
La questione meridionale ha mantenuto una sua centralità fino a quando il quadro sociale si è organizzato intorno allo stato-nazione.
Entrato in crisi l’assetto Stato centrico (O Connor 73-97 ) il Mezzogiorno è progressivamente uscito di scena e negli ultimi decenni la questione meridionale( nel nuovo assetto della globalizzazione neoliberista) ha assunto un inedito protagonismo la questione settentrionale.
Caduto il muro di Berlino nell’89 modificatosi l’assetto geopolitico , e perduto il ruolo dell’Italia di “confine” il senso ed il tessuto della solidarietà nazionale si è vieppiù lacerato.
Agli inizi del secolo presente Cassano , Zolo, Amoroso, Bevilacqua, Alcaro, Barcellona, Perna, con varie accentuazioni pongono il tema del recupero di uno specifico ruolo centrale del Mezzogiorno nel nuovo scenario del Mediterraneo.
Siamo in una fase, a metà degli anni 90 in cui prende piede nell’ Unione , dopo il trattato Di Maastricht (1992),il processo di Barcellona ( 1995), per dare vita al Partenariato Euro Mediterraneo, cioè ad una strategia comune europea per la regione mediterranea, interessata a quell’epoca( 1993) dall’avvio del processo di pace israelo palestinese che dava vita all’incontro di Oslo, con protagonisti Arafat e Rabin e Clinton.
Iniziative di breve vita che però avevano suscitato grandi speranze ed acceso entusiasmi.
Sono del 2006/ 2007 due volumi collettanei fondamentali di questo tentato tentativo di porre come scenario per l’Europa la questione Mediterranea in cui il Sud Italia acquista piena centralità.( E’ Il paradigma dell’Autonomia). Il primo del 2006, la Frontiera Mediterranea, curato da Pietro Barcellona e Fabio Ciaramelli.
Il secondo del 2007 è Il volume curato da Franco Cassano e Danilo Zolo cui segue nel 2009 un altro libro di Cassano “Tre modi di vedere il Sud” in cui definisce il paradigma che connoterà la lettura e orienterà gli interventi nel Mezzogiorno come Localismo Virtuoso.
Un intervento bottom up ( dal basso) che nella logica della modernizzazione punta tutto sulle risorse endogene . E comunque su questo paradigma si dispiegano nell’arco del primo decennio di questo secolo, quasi tutte le energie intellettuali pur con diversità di accenti e tematiche affrontate, impegnate sul tema da Trigilia 93 a Magnaghi, Cersosimo, Donzelli, Donolo, Viesti, Barca che , da Agenda 2000 ad oggi, con incarichi dirigenziali ed istituzionali, Ministro delle politiche della coesione sociale e territoriale nel governo Monti, ne è stato l’attore principale sia sul versante della programmazione che su quello della gestione.
Ed è di questa fase il lavoro interessante delle Riviste MERIDIANA , diretta all’epoca da Piero Bevilacqua, Città Futura di Antonio Pioletti a Catania e Ora Locale diretta dal mai abbastanza compianto Mario Alcaro, fautore più di altri del paradigma dell’Autonomia , nel sostenere come alcune caratteristiche dell’identità meridionale, quali ad esempio la socievolezza ed il familismo, possano essere fatte valere come carte vincenti da giocare nella partita dello sviluppo e della competitività, dentro un’identità mediterranea di cui il parametro fondamentale è costituito dalla natura dove “ la visione del cosmo e il modo di rapportarsi al naturale danno vita a un naturalismo immaginifico e potente, di cui la modernità ha smarrito il senso”.
Temi che in altro contesto e scenario aleggiano nel recente volume di Riccardo Petrella “ nel nome dell’Umanità “ un patto sociale mondiale tra tutti gli abitanti della Terra” e che impattano frontalmente i temi dell’ambiente, della natura umana ed dei sistemi che la dominano.
Ma , anche in questa visione, il sud non è decollato. Restano gli squilibri di cui conosciamo fin troppo i numeri e le ricadute sulle popolazioni del mezzogiorno.
Anzi il Mezzogiorno è scomparso tout court dalla scena anche mediatica.
La ricerca PRIN “ Il sud e la Crisi” pubblicata nel libro“BUONANOTTE MEZZOGIORNO” economia, immaginario e classi dirigenti nel Sud della Crisi, curato da Romano e Petrosino, edito recentemente da Carocci , fornisce un’immagine inequivocabile dell’eclissi in cui è sprofondato il sud nella crisi su cui si è abbattuta la lunga recessione, analizzata nella ricerca da Tonino Perna e Fabio Mostaccio.
Anche se annotano gli autori nella introduzione, qualche debole segnale, peraltro non scontato, di esistenza , emergono dagli ultimi due rapporti Svimez.
Se diamo anche una fugace occhiata alla narrazione del Mezzogiorno, in termini quantitativi e qualitativi nel trentennio che va dal 1980 al 2010 al TG1 e ai due maggiori quotidiani italiani, e pur nella strutturale diversità ai siti web e alle pagine facebook, abbiamo la certificazione della scomparsa della questione.
Alcuni numeri:
Sul totale dei servizi esaminati nel periodo indicato il 91% non fa riferimento alcuno al Sud( 1678 ) contro il 9% riferiferiti al Sud (166). Se ancora si guarda il totale dei servizi dal 2000 al 2010 cambiano i numeri , 1433 a 150 ma le percentuali restano immutate. 91% e 9% .
E così possiamo continuare con rapporti analoghi sul numero delle edizioni in cui il sud è menzionato nei due periodi .Se poi andiamo a vedere le parole chiave in valore assoluto usate dai sevizi televisivi sul sud in testa la cronaca (53) , di cui quella nera rappresenta il 93% , seguita a ruota da Criminalità 42 ,seguite con distacco dal meteo 25 ( alluvioni e disastri) e dal welfare (sanità 63%.
Lo stesso andamento lo troviamo su Repubblica e Corriere della Sera, i due quotidiani esaminati
In totale su Repubblica su 2417 articoli articoli , 2005 coprono il periodo 1980 -1999. 412 il 2000-2010.
Nel corriere su 1251 articoli 941 coprono l’ultimo ventennio del 900 e 225 il primo decennio del 2000.
Le parole chiave sono criminalità 46% cronaca 18% Politica 13% Welfare 7% cultura 5% , Migranti 1% economia 2% ambiente 2% Lavoro 3% Società 3% meteo 0%
L’immagine che ne viene fuori non ha bisogno di illustrazioni.
La ricerca poi si pone il problema di esaminare l’immaginario delle classi dirigenti e con un campione composto da industriali , professori ordinari, politici e nuove leve .
Ne esce un quadro di sfiducia e rassegnazione e comunque una volontà di trascinarsi dentro l’attuale modello di localismo e di modernizzazione progressista , nonostante gli esiti.
L’indice più alto di sfiducia e rassegnazione si registra in Calabria. Il più basso in Puglia.
In una situazione del genere diventa difficile imbarcarsi su sentieri nuovi di cui non si intravedono, segnali, dopo la chiusura della fase dell’intervento straordinario ancorata al Paradigma del Sud Questione Nazionale, nel solco dell’art. 3 della Costituzione e dell’impegno a rimuovere <<Gli ostacoli di ordine economico e sociale che ostacolano limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini>> e il quasi fallimento della mobilitazione dal basso della società Civile, paradigma del localismo virtuoso sostenuto dalle programmazioni dei fondi comunitari da Agenda 2000 a quelli della programmazione 14/20 in atto, che puntava molto sul recupero e rivitalizzazione delle zone interne.
Senza una visione catalizzante ed attrattiva come lo sono state in condizioni diverse le due precedenti, è comunque, possibile rimettere in moto un qualche processo?
Credo che la questione richiede un approfondimento.
Entrambi questi paradigmi, ci ricorda Cassano, scontano il fatto di trascurare gli elementi strutturali che nel contesto più vasto e generale regolano i rapporti tra centro e periferia e che potrebbe essere positivo, senza aspettare super paradigmi interpretativi, riconoscere ognuno la propria parzialità, e provare a dar vita, dialogando a formulare teorie più eclettiche, per cercare di arrestare l’effetto S. Matteo suggerito da R. Merton richiamando quel versetto dell’evangelista che recita <<a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha>>.
E allora bisogna vedere come si inverte la logica di questo versetto in una situazione dominata dalla logica di entità economico finanziarie astratte, che detengono in mano poteri illimitati.
Considerato anche che l’altro paradigma importante, quello dell’autonomia e dell’Alternativa Mediterranea diventa sempre più problematico considerato il Caos regnante nell’area che va dal sud del Mediterraneo, al Sahel, alla Penisola Arabica e dal Corno d’Africa all’Hindu Kush .
Ma noi siamo chiamati a misurarci con questa situazione e con i problemi che ci pone innanzi.
E allora forse l’indicazione di Cassano di ricorrere ad un eclettismo non banale tra i diversi paradigmi può consentirci un rapporto più laico con la realtà e smuovere una situazione stagnante in cui migliaia di persone hanno bisogno di risposte irrinviabili per la propria esistenza.
Azzardiamo:
La globalizzazione liberista ha generato , ormai in maniera conclamata , quello che Bruno Amoroso, già nel 2000 definiva un sistema di Aparthaid globale .
Un sistema in cui , se è vero che alcune aree e realtà sono uscite da condizioni di assoluta sopravvivenza ( questo, è anche vero che lo stesso ha prodotto una condizione di esclusione e povertà drammatica nel mondo.
Basti pensare che oggi , 8 miliardari possiedono nel mondo la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone.
Questo sistema di cui è parte fondamentale una politica , ormai struttura servente dell’economia e della finanza, ha gettato nel Caos l’intero medio oriente e tagliato fuori da una vita accettabile un intero continente : l’Africa.
In questa vasta area , definita da Limes Caoslandia, si incrociano alla perfezione i 4 fattori strutturali delle migrazioni: : demografia, economia, clima e geopolitica.
La geopolitica ha scatenato in quell’area un condizione di guerra permanente di posizionamento geostrategico delle potenze mondiali e regionali che , in tanta parte, agiscono per procura delle prime.
Tutto ciò dà vita ad un fenonome migratorio destinato a non arrestarsi, e ai fenomeni che inondano in maniera enfatica i telegiornali e generano il clima che percepiamo ad ogni angolo: paura, odio, violenza ottusità mentale.
Tenendo presente che in queste condizioni nessuno potrà fermare questi flussi migratori che peraltro stanno nei limiti della normalità e rientrano in quella che è la normale storia dell’umanità,
il governo di questo fenomeno può divenire un elemento costitutivo di un nuovo paradigma che riprende in parte quello sull’autonomia e l’Alternativa Mediterranea , partendo non da impossibili, oggi, accordi intergovernativi o processi di partenariato simili a quello di Barcellona 95 e lo coniuga con i bisogni e gli interessi di un continente, L’Europa , in progressivo rapido invecchiamento e decadimento che ha bisogno di ricambi generazionali per l’insieme dei sistemi sociali , produttivi e territoriali dei Paesi della sua Unione?
E noi Mezzogiorno e Calabria, possiamo muoverci , sulla scorta di esempi di accoglienza e inserimento paradigmatici ( Riace in primis , ma non solo) per intrecciare a livello di Comunità Locali (istituzionali e associative ) gli interventi della programmazione comunitaria 14/20 con gli interventi di stato per l’accoglienza e l’inserimento dignitoso ed umano di chi scappa dall’inferno?
Potremmo, ad esempio, in un momento di impasse, degli stati nazionali riaprire le vie di un rapporto con l’Africa , a cominciare da quella a noi attaccata per provare, in una rete di scambi autonomi con le comunità locali di provenienza dei migranti, a costruire un rapporto che si richiami idealmente a quelli rilanciati e rimodulati, parecchio dopo il crollo dell’impero romano, dalle prestigiose repubbliche marinare dall’XI/a tutto il XIV secolo e oltre.Con Genova che inventava il capitalismo moderno (1407), mentre in parallelo e in concorrenza Venezia, si muoveva già, attraverso il mediterraneo Orientale lungo le vie dall’Asia al Mediterraneo , che oggi riprende, XI Jinping, in ottica di globalismo sino centrico, sotto il nome di nuove via della seta.?
Fu quella delle repubbliche marinare una presenza ed una influenza durata secoli che faceva registrare ancora tra fine ottocento e inizi 900 in circa un milione gli italiani in diaspora tra Marocco e Anatolia.
L’italiano fino a quell’epoca era una sorta di lingua franca degli scambi commerciali, diffuso dall’Egitto al Mar Nero, usato anche per la redazione di trattati internazionali.
Il velleitarismo geopolitico dell’Italietta di Giolitti prima , ripreso con particolare violenza e virulenza da Mussolini poi, distrusse in pochi anni la nostra rete mediterranea , fondamentale per i rapporti con l’ISLAM.”
A me sembra che sarebbe necessario, pur nella piena consapevolezza delle difficoltà, provare a mettere insieme, per il Mezzogiorno e la Calabria, un paradigma capace di tenere uniti alcuni aspetti del paradigma Mezzogiorno come questione nazionale, con quelli che recuperano le parti vitali e fresche del paradigma noto come Localismo Virtuoso, dentro gli aspetti praticabili di quello dell’Autonomia e dell’Alternativa Mediterranea.
A me sembra che una posizione del genere ci consentirebbe di mettere a frutto la nostra posizione di perno geografico del Mediterraneo, capendo che non è più il Mare Nostrum “ il sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in una unità originale” che ci proponeva 30 anni fa Fernad Braudel, ma “è sempre più un nastro trasportatore che, in senso est-ovest, solletica le ambizioni egemoniche della Cina, già largamente presente in Africa” . E poi ci sono gli altri .
In questo scenario mutato Noi , partendo dall’impatto dei movimenti migratori e dal ruolo nevralgico che assumono le comunità locali all’interno di una adeguata strategia di accoglienza/integrazione /assimilazione possiamo recuperare in parte la visione Braudeliana e rilanciare il ruolo del nostro Paese nell’Europa.
In questa ottica, determinante diventa una convergenza di politiche nazionali, comunitarie e locali .
Perciò credo che l’osservatorio che propone Piero dovrebbe essere articolato per sezioni per monitorare i vari aspetti della politica a cominciare da quella dell’accoglienza dei migranti.
Per la Calabria penso che dovrebbe lavorare con altri soggetti già operanti sul territorio alla costruzione di :
- un percorso che sfoci in un incontro annuale di conoscenza e scambio, UN MERCATO MEDITERRANEO, tra le nostre comunità di accoglienza e quelle di provenienza dei migranti;
- una struttura di coordinamento formazione, servizio per tutte le nostre comunità interessate, finalizzata al potenziamento della cooperazione decentrata, e al massimo e migliore utilizzo dei fondi comunitari ad esse attribuiti.
Mi piace ricordare concludendo che proprio a Lamezia il 23 Maggio del 2008 si tenne un importante attivo nazionale della SEM presieduto dal caro compagno Gianni Lucchino,
L’attivo fu concluso nel ridotto del teatro Grandinetti, con una tavola rotonda coordinata da Matteo Cosenza , direttore del Quotidiano della Calabria e con la partecipazione del sindaco di Lamezia di Gianni Speranza, che dava il via al primo atto concreto per la costruzione di un “Cantiere per l’area del Mediterraneo” con la presentazione del VII rapporto sul Mediterraneo, curato da Bruno Amoroso , Nino Lisi e Gianfranco Nicolais, edito da Rubbettino che si sviluppava sul tema culture ed economie del mediterraneo e, con un approccio tipicamente braudeliano, guardava al Mediterraneo come una Mesoregione in evoluzione , luogo di confronto, incontro e conflitto tra culture ed interessi geopolitici e geoeconomici.
Nel dibattito che ne seguì emersero , anche con differenza di toni, i temi intorno ai quali il rapporto si era sviluppato: dalle culture mediterranee e dalla modernità europea , alle culture e società civili presenti nell’intera area del bacino, alla politica estera e cooperazione economica, alla nuova centralità del Mediterraneo e alla logistica che lo interessa, agli obiettivi ed alle metodologie della cooperazione per un benessere condiviso fra le Regioni dell’Europa Meridionale ed i Paesi della Sponda Sud del mare , indagando le divergenze e cercando le convergenze possibili.
Mimmo Rizzuti