Dal sud, per il sud, per il paese di Massimo Veltri
L’uscita del saggio di Francescomaria Tedesco, Mediterraneismo, è un’ occasione, fra le tante, per tornare a parlare di Sud e della Calabria, in giorni in cui il paese a due mesi dal voto che ha visto la netta affermazione del centrodestra e dei Cinquestelle, il tonfo del centrosinistra nonché la marginalità della sinistra di LeU è ancora senza governo. E’ un’occasione anche, in previsione, come commenta Gianfranco Viesti, degli effetti dell’austerità sul sud dell’Europa che deriverebbero dal “taglio del dieci per cento in termini reali delle politiche di coesione regionale”. Anche se, come si legge a ranghi sciolti da parte di osservatori di diversa estrazione, le risorse finanziarie di provenienza comunitaria non dovrebbero costituire elemento di per sé salvifico non c’è dubbio alcuno che i capitali di Bruxelles sono interventi che se spesi e ben spesi possono fare la differenza. E nell’ultimo numero della rivista Italianieuropei Onofrio Romano, implacabile, chiosa: È finita un’epoca, come s’usa dire. Si è chiusa per il Sud la stagione della speranza nella possibilità di trovare un posto tutto suo nel grande gioco dell’economia europea e globale, grazie a quel rimbocchiamoci le maniche che ha funzionato da motto-architrave per l’immaginario di sviluppo degli ultimi trent’anni – ormai quasi quaranta, per la verità – e che ha avuto il centrosinistra come principale interprete. Il lamento sulla scomparsa del Sud dall’agenda politica nazionale, in questa medesima stagione, scivola via come una lacrima di coccodrillo: se l’idea cardine coincide con l’auto-attivazione, ogni politica per il Sud decade in automatico o si trasforma in puro lubrificante delle traiettorie intraprese dai singoli attori e dai singoli territori. Il leghismo non ne è la causa, ne è solo un altro effetto. Il grottesco è che i primi a lamentarsene oggi (della scomparsa) sono proprio coloro che negli anni passati non hanno predicato altro che la buona novella dell’auto-attivazione. E i meridionali ci hanno creduto. Hanno applicato la ricetta con diligenza ed entusiasmo senza pari. Le ritornanti litanie sull’inadeguatezza antropologica dei cittadini del Sud alla modernità sono l’alibi con cui i profeti (più o meno consapevoli) dell’ordoliberismo coprono il fallimento dei loro modelli.”
Serve attardarsi in analisi del voto per capire le ragioni del divorzio del sud verso l’ortodossia governativa, in specie considerando che tutte le Regioni del mezzogiorno, nessuna esclusa, erano al momento del voto, e lo sono tutt’ora, governate da maggioranze di centrosinistra a guida Pd: qualcosa di specifico, più di un qualcosa, non ha funzionato, è sotto gli occhi di tutti. A cominciare dal non essersi ‘federate’, le regioni meridionali e fatto sì che si parlasse una sola lingua verso il governo e, congiuntamente, si procedesse a ipotesi e progetti di stampo unitario. Ma, oltre alle analisi, contemporaneamente, serve pure e certamente di più ragionare sul che fare, tanto per quanto riguarda la sfera più squisitamente politica che con riferimento alla cultura che deve sottostare alla fase pragmatica.
Il pensiero meridiano di Cassano, a voler rappresentare, e augurarsi, un sud diverso, nei tanti mezzogiorni di Cersosimo e Donzelli, i localismi eletti a valore aggiunto, il deficit di coesione sociale, gli stereotipi innervati nell’indolenza da una parte, nella nostalgia delle Duesicilie dall’altra, le tentazioni lombrosiane-da rimandare al mittente-così come le autoesaltazioni del passato glorioso-da rimettere nel cassetto-possono costituire, molto sommariamente, i vertici di un poligono dentro il quale si è articolata nel corso degli ultimi anni una discussione sul sud, sui sud. Grazie a Giuseppe Galasso, allo stesso Viesti, a Piero Bevilacqua, a storici ed economisti napoletani e siciliani quali Isaia Sales, Salvatore Lupo, Francesco Barbagallo, Emanuele Felice, fino all’Osservatorio del Sud che di recente abbiamo fatto nascere con l’intento di far funzionare in maniera permanente una lente sui processi in corso, catalizzandone le dinamiche verso esiti virtuosi, e senza trascurare le numerosissime e diffuse su tutto il territorio esperienze di cittadinanza attiva, contraddistinte sovente di iniziative di spessore e valore oltre che contingente e localistico. Emanuele Felice, in particolare, rende giustizia analiticamente e scientificamente a coloro i quali-nel primo periodo, quello d’oro, del meridionalismo-argomentavano sulla centralità delle classi dirigenti e della loro inadeguatezza, allora come oggi. E rilancia con forza, Felice, insieme alla scuola di pensiero che si attesta intorno a lui, come qualsiasi dinamica volta al rivendicazionismo così come, parimenti, indirizzata alla non progettualità sia destinata al fallimento. E d’altronde le grida di dolore originate in attenti studiosi fra i quali Vito Teti e Tonino Perna dai dati statistici che proiettano nell’immediato futuro una desertificazione vera e propria non solo giovanile delle regioni meridionali di per sé dovrebbe costituire elemento non soltanto di riflessione ma di azione politica, d’emergenza, di vero e proprio new deal. Non si avverte, invece, non si percepisce affatto né allarme né consapevolezza, tant’è che si prosegue lungo lo stanco e stucchevole tran tran di riproposizione di autocandidature e gestione (men che) ordinaria dell’amministrazione delle cose correnti, senza slancio, senza prospettive.
Non è dato sapere, al momento, se la mistura ossimorica del governo Salvini-Di Maio si sostanzierà sotto forma di governo: se così sarà, e grazie anche, in misura considerevole, agli elettori del sud, assisteremo, è esercizio di facile profezia annunciarlo, al riaffermarsi e alla prevalenza schiacciante della questione settentrionale. Così che, come accadde agli inizi degli anni novanta con l’avanzare del pensiero di Miglio e delle azioni di Bossi, il mezzogiorno cadrà sotto un cono d’ombra dal quale uscire grazie alle politiche nazionali sarà sempre più difficile, a cominciare da quelle più urgenti: permanenza, lavoro, crescita strutturale.
E’ forse il momento perché le intelligenze vive delle regioni del sud, le passioni civili che in tante si agitano da noi, le agenzie a vario titolo operanti sul territorio, i corpi intermedi dell’articolazione istituzionale si pongano a fianco di chi detiene poteri e leve costituzionalmente proprie e avviino un ragionamento che affermi dignità e coscienza riconosciute a una parte del paese che non può essere messo fra parentesi.