“La Calabria senza diritti e senza rappresentanza” di Enzo Paolini
La questione che apriamo, in generale è quella della ricerca della vita a sinistra e nel sud, in chiave attuale di una questione meridionale che, lungi dall’essere risolta è più che mai presente.
Anzi è aggravata, resa ficcante e decisiva nello svolgimento sia delle dinamiche politiche che della vita quotidiana e personale di ciascuno di noi. Non siamo stati capiti.
Abbiamo ceduto al ceto politico tutti i nostri diritti.
Non quasi tutti. Tutti.
Faccio un esempio. Il meno evidente ma il più assoluto che riguarda tutto il Sud e con la drammatica pregnanza che in Calabria, che è la sanità.
Negli anni 70 abbiamo fatto due grandissime, rivoluzionarie conquiste di democrazia lo statuto dei lavoratori ed il servizio sanitario, universale e solidaristico. La l. 833/78. Tutte le cure sono dovute a tutti e sono pagate dallo Stato attraverso il prelievo fiscale che – secondo il principio costituzionale – aveva, in parte ancora ha, una scansione proporzionalmente progressiva.
Una applicazione egregia di socialismo reale, pensata negli anni del centrosinistra dai ministri socialisti Mariotti, Tremelloni, Mancini e poi emersa nell’anno drammatico il ‘78 in cui nel paese si sviluppò la violenza di Stato contro il pericolo comunista che portò all’omicidio di Moro. Non credo che vi sia oggi persona – di buon senso ed oggettiva – che non abbia ben chiaro cosa è avvenuto in Italia al fine della conservazione del potere da parte di un ceto che sin da allora si autoriproduceva.
La legge sul servizio sanitario ha avuto aggiustamenti nel corso degli anni e sino ad un certo punto non ha dato fastidio perché le risorse ancora erano sufficienti, la ricerca e l’innovazione ancora non così costose tanto che si consentiva ancora di tenere il piede in due staffe, come icasticamente celebrarono Zampa e Sordi nel medico della mutua.
Poi si pensò all’aziendalizzazione ed all’incompatibilità per iniziare a controllare i flussi di denaro. Operazione condivisibile – siamo nel 92 con Amato e Bindi – ed in grado, in teoria, di morigerare ed efficientare il settore.
Tralascio tutti i commenti tecnici e vado al nocciolo quello dei diritti (o del diritto) dei meridionali.-
Quando qui è imploso il sistema, depredato e devastato da corruzione ed imbrogli, connivenze con la ‘ndrangheta e altro, si è giunti al Commissariamento.
Misura che – come tutte quelle prodotte sulla scorta di emozioni, urgenze, suggestioni, emergenze politiche, può – deve – essere transitoria e limitata altrimenti cancella la democrazia e con essa la libertà ed i diritti.
Il nostro servizio sanitario che – secondo la riforma costituzionale – dovrebbe essere regolato e gestito dalla Regione, dalle sue rappresentanze democratiche è affidato da un Commissario dal 2010.
Otto anni, durante i quali ci siamo assuefatti a questa cessione totale di sovranità.
Ed i risultati si vedono. La forbice dei diritti si è allargata. Chi può andarsi a curare in costose cliniche private lo fa, chi ha malattie particolari e può viaggiare, pagare un albergo per i propri familiari viaggia, chi è fortunato ed ha amici che fanno saltare liste d’attesa ne approfitta. Gli altri si arrangiano e approdano al girone infernale dei pronto soccorso dove medici eroici e grandi professionisti non ce la fanno ad impedire la morte per disorganizzazione sanitaria. Nel frattempo la finanziaria dice che le strutture del nord possono accogliere senza limiti i casi di alta complessità, mentre i calabresi con l’ernia inguinale devono restare qui o pagare.
E la ricchezza delle aziende lombarde aumenta e il turismo sanitario aumenta e le aziende calabresi falliscono ed i cittadini calabresi rimangono qui, senza diritti, pur avendo subito il prelievo fiscale contenente la quota per l’assistenza sanitaria pubblica.-
Da cosa dipende tutto ciò? Dal sistema di rappresentanza sul quale abbiamo incondizionatamente ceduto.
Si è interrotto il circuito della rappresentanza nel momento in cui agli interessi del territorio e dei cittadini come motore, serbatoio di idee, motivazione per gli eletti nelle istituzioni si sono sostituiti i desiderata di un capo.
Pensiamoci un attimo, per quale motivo un ceto politico autoreferenziale in maniera assoluta dovrebbe avere riguardo a cosa pensano i cittadini costretti a sostare su una barella in corridoio o ad emigrare in Emilia per una TAC o per una cataratta? Perché – evidentemente – quei cittadini potranno premiarlo o punirlo nelle prossime elezioni con il loro voto. Ma se questo non è consentito, se l’eletto avrà riguardo solo a compiacere un capo che potrà rimetterlo o non rimetterlo in lista, non farà mai sentire neanche un pigolio rispetto allo sfacelo della sua regione, governata da otto anni attraverso un sistema antidemocratico finalizzato solo a mettere nelle mani di uno non la gestione ma il controllo della spesa.
E la spesa va al nord, va nella direzione di interessi più o meno leciti, va, comunque in direzione di chi, attraverso la spesa, controlla il consenso.
E’ questa è una questione meridionale? Io penso di si. Si sono persi diritti? Io penso di si? Si sono azzerate le rappresentanze? Io penso di si. E’ il famoso enunciato di Rodotà per il quale l’abdicazione più simbolicamente eversiva alla quale sono stati costretti gli italiani è il diritto di avere diritti.-
Ed io aggiungo che questo fenomeno aggrava e fa diventare putrida la questione meridionale, fino a trasformare questa tragedia nella farsa di due mestieranti che litigano sulle reti nazionali sui vitalizi dei consiglieri regionali, apparentemente in un disaccordo (demagogico quanto mai) ma in realtà ambedue con l’unico obiettivo di difendere, la casta, l’uno presentandola come un ceto pieno di errori ma, alla fine dignitoso, l’altro come il moralizzatore dell’ultima ora, quelli che a Milano dopo le cinque giornate chiamavano gli eroi della sesta giornata.
Ambedue avvinghiati al potere e tanto indifferenti alle sorti ed anche alle parole degli altri che censurando le lentezze e le negligenze, le colpe per l’aggiustamento di un ponte, durato dodici anni, non si rendevano conto che in questi dodici anni il governo erano loro.
Insomma il taglio del cordone ombelicale tra eletti ed elettori che in regioni e situazioni dove i cittadini possono, in qualche modo sfuggire o pensare di sfuggire o fare a meno di esercitare diritti riconosciuti dalla Costituzione perché la loro costituzione materiale glieli può assicurare comunque (ad alcuni) qui nelle Murge o in Aspromonte o a Corso Telesio si presenta come il passaggio tra un sistema democratico ed un regime.
Noi abbiamo plaudito e combattuto in momenti e da postazioni diverse, al pacchetto Colombo e Gioia Tauro, a Saline Joniche, abbiamo pensato che autostrade e università fossero solo apparentemente risposte politiche ma assecondavano logiche commerciali ed – alla fine – scelte di potere.
Ne abbiamo visto i vantaggi e ne abbiamo scontato miseria e obliquità quanto speculazioni ed arricchimenti personali frutto di spregiudicati comportamenti sul limite ed oltre i reati.
E ciò per il semplice fatto che quelle era lotta politica, confronto aspro, siamo giunti fin dentro la lotta armata, attraverso la quale, lo ricordiamo in tutte le salse in questi giorni, si cercava il riconoscimento politico, la legittimazione.
Ma mai la sinistra aveva prodotto e pagato in termini così alti questa caduta di legittimazione.
L’analisi più acuta di questo fenomeno – l’ha ricordato anche D’Alema in un recente pezzo sul Manifesto – sta in una riflessione di Alfredo Reichlin che Luciana Castellina mi ha dato, il giorno del suo saluto, per pubblicarlo tra le carte del Premio Sila. Dice Reichlin che “non sarà una logica oligarchica a salvare l’Italia. E’ il popolo che dirà la parola decisiva. La sinistra rischia di restare sotto le macerie. Non possiamo consentirlo. Non si tratta di un interesse di parte ma della tenuta del sistema democratico e della possibilità che questo resti aperto e agibile dalle nuove generazioni. Quando parlai del PD come di un “Partito della nazione” intendevo proprio questo, ma le mie parole sono state piegate nel loro contrario: il “Partito della nazione” è diventato uno strumento per l’occupazione del potere, un ombrello per trasformismi di ogni genere. Derubato del significato di ciò che dicevo, ho preferito tacere”.
Il risultato, da noi, è stato devastante ed i figuranti che ci dovrebbero rappresentare gli Oliverio, i Crocetta, i De Luca, i Pittella suonano come sul Titanic solo che i musicanti del transatlantico erano eroi consapevoli della loro sorte, i sedicenti politici di oggi sono satrapi che si ritengono inaffondabili.
Ed invece sono già affondati tirandoci giù.
Ecco i risultati – nudi e crudi: in Italia il centrosinistra complessivamente prende il 22.95% (il PD il 18.7) in Calabria il 17.11 (il PD il 13.1) e così via-
Dunque dal mio punto di vista la Calabria è ora una terra senza rappresentanza e senza diritti e ciò è stato determinato dallo scassinamento della Costituzione nei suoi articoli fondamentali, quelli della prima parte. Tutti i primi 11 articoli della Costituzione sono clamorosamente inattivati. Basta leggerli per rendersene conto. E’ da qui che dobbiamo ripartire. Dall’attuazione della Costituzione come programma politico. E deve partire dal Sud.
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E ciò è stato consentito dalla introduzione di una legge elettorale, quella fatta da un odontotecnico di Varese, che per inventarsi un tecnicismo che consentiva alla lega di avere rappresentanze cospicue al Senato ha costituito un Parlamento totalmente autonominante che si è livellato talmente in basso e con un tale grado di dipendenza dei nominati che nessuno ovviamente ha avuto – ed avrà – la forza di modificare.
Agli incolti ed incompetenti che hanno provocato questo disastro politico approvando un ultima legge palesemente incostituzionale dovremmo richiamare lo spirito della Costituzione e quali siano i diritti Costituzionali, in maniera da tentare di far capire loro – ove lo vogliano – in che modo si possono adottare (senza voti di fiducia) leggi elettorali conformi alla Costituzione e rendersi conto una volta per sempre che la (vera) democrazia rappresentativa non tollera un Parlamento infarcito – come ancora quello attuale – di nominati ed impresentabili.
L’auspicio è che comunque, come in altri tempi, gli intellettuali contaminino le più alte istituzioni come la Corte Costituzionale la quale nel determinare l’illegittimità della attuale legge elettorale indichi al Parlamento un percorso legislativo a maglie strette – e può farlo – che consenta di riallacciare la connessione (non solo sentimentale) ma anche elettorale tra i cittadini e le Istituzioni perché solo su questa corrente il nostro osservatorio potrà fare sentire la sua energia.