Dinamica Mezzogiorno di Gianfranco Viesti
Il rallentamento dell’economia italiana, che purtroppo sembra in vista alla luce di fattori internazionali e interni, rischia di compromettere il modesto recupero dell’economia meridionale registratosi nell’ultimo biennio. Questa l’indicazione principale che viene dal periodico rapporto sul Mezzogiorno realizzato da Confindustria e SRM presentato ieri. La crescita del Sud nel 2018 è prevista all’1,1%, inferiore sia al dato meridionale del 2017 sia alla media nazionale per l’anno in corso, entrambi all’1,4%. L’analisi un po’ preoccupata è corroborata anche da altre fonti, dai puntuali rapporti regionali della Banca d’Italia ad un interessante studio di Prometeia, oltre che dai dati congiunturali sul mercato del lavoro. Peggiori sembrano, in questo quadro, situazioni e dinamiche di Calabria e Sicilia. Certo gli ultimi anni sono stati molto migliori rispetto ai precedenti: ma questo non ha consentito al Mezzogiorno né di recuperare i valore pre-crisi (con un PIL ancora di circa 10 punti inferiore) né di innescare un processo di crescita sostenuto, che consenta di affrontare pericolose tendenze di periodo più lungo: denatalità, invecchiamento e emigrazione dei giovani, anche a maggiore qualifica. Banca d’Italia quantifica in 173.000 i laureati emigrati dalle sei regioni più a Sud nell’ultimo decennio. Con questa realtà deve confrontarsi l’azione del nuovo governo.
Segnali positivi sono venuti e continuano a venire dal sistema delle imprese. La produzione industriale del Mezzogiorno si è drammaticamente ridotta con la crisi, ma i dati più recenti segnalano un buon rafforzamento degli investimenti (frutto anche delle incentivazioni messe in campo nell’ultimo biennio), un’espansione dell’occupazione e un miglioramento della produttività delle imprese sopravvissute. Al Sud rimangono poli produttivi molto importanti, dall’auto all’alimentare, che rappresentano basi solide per una ripresa dell’accumulazione. Va molto bene, fortunatamente, il turismo, specie internazionale. Ma questo non compensa a sufficienza la persistente debolezza delle costruzioni e il ridimensionamento “tecnologico” della distribuzione commerciale. Il Sud non potrà ripartire più vivacemente, e contribuire così alla maggior crescita nazionale, senza azioni più strutturali di potenziamento del suo tessuto industriale e del terziario avanzato. Da questo punto di vista un elemento assai importante saranno scopi e modalità d’intervento della “banca per gli investimenti pubblici” prevista dal contratto di governo, e l’azione nei prossimi mesi del gruppo Cassa Depositi e Prestiti. E’ essenziale che quest’ultima sia chiaramente orientata anche all’obiettivo strategico dello sviluppo territoriale, negli ultimi anni assente.
Il quadro è assai più negativo per gli investimenti pubblici. Siamo ai minimi storici, scesi da circa il 3% a circa il 2% del PIL nell’intera Italia; da valori intorno ai 25 miliardi all’anno di inizio secolo ai 13-14 degli ultimi tempi (a valori costanti) nel Mezzogiorno. Malissimo per l’intera Italia, ma ancora peggio, molto peggio, per il Sud: dove le carenze di quantità e qualità del capitale pubblico sono molto maggiori, e rappresentano un ostacolo proprio per l’espansione del sistema delle imprese di cui si è appena detto. Tra l’altro, stime per il Sud mostrano sia un effetto moltiplicativo sul reddito particolarmente alto, sia un forte effetto di induzione di sviluppo sul Centro-Nord: modernizzare territori e città del Sud fa benissimo a tutta l’Italia. Qui si scontano ritardi operativi (l’ultimo, recentissimo, rapporto Nuvec sui tempi delle opere pubbliche li mostra in aumento); crescenti difficoltà delle amministrazioni, per il loro impoverimento di personale e, a giudizio di molti, per il nuovo Codice degli Appalti. Ma anche le debolezze dell’azione degli ultimi due esecutivi, che poco e tardi hanno affrontato il tema: bassissima, ancora inferiore che in passato, è la spesa dei fondi europei. Condivisibili, dunque, sembrano sia le intenzioni di dare un forte impulso alla spesa al Sud della ministra Lezzi, sia le dichiarazioni del Ministro Tria sulla centralità degli investimenti pubblici.
Infine, note negative per la situazione e assai preoccupate per i possibili sviluppi vengono dal quadro dei servizi pubblici. Con l’austerità, e con alcune precise scelte politiche, i servizi pubblici al Sud sono stati particolarmente colpiti. Fortemente ridotto il sistema universitario, elemento centrale di una politica di sviluppo; crescenti le difficoltà per i sistemi sanitari, esposti ad un processo di risanamento finanziario che si è rivelato drammatico per personale, servizi e investimenti. In entrambi questi casi è forte e crescente la mobilità interregionale, che indebolisce ancor più il Mezzogiorno e crea evidenti circoli viziosi. E’ aperta la discussione su criteri e obiettivi di riparto territoriale della spesa, a cui continua a mancare l’elemento centrale: il livello essenziale delle presentazioni da garantire a tutti gli italiani. Si continua intanto a dipingere un Mezzogiorno che non esiste più, pieno di dipendenti pubblici: spigolando fra i dati Banca d’Italia si scopre che i dipendenti del settore pubblico locale (sanità, regioni e comuni, camere di commercio e università) sono per diecimila abitanti 183 in Lombardia, dalla tanto decantata virtuosità, ma 172 in Campania e 163 in Puglia. E in questi ambiti il Contratto di governo pone come assoluta priorità un’accentuata autonomia per le regioni del Nord che, se disegnata secondo le esplicite volontà leghiste, sarebbe assai dannosa per le altre regioni, forse letale per il Sud.
Non sono questioni locali. L’Italia è da tempo (anche nelle ultime previsioni della Commissione UE) ultima in Europa per crescita economica. Solo un forte sviluppo del Mezzogiorno può far aumentare strutturalmente questa insufficiente velocità
Gianfranco Viesti
MESSAGGERO e MATTINO
20.7.2018