Se la Lombardia pensa solo agli affari suoi di Gianfranco Viesti
Che succederà al funzionamento e al finanziamento dei grandi servizi pubblici nazionali, e quindi ai diritti di cittadinanza di tutti gli italiani con un governo nel quale la Lega ha un ruolo primario? Qualche indicazione ci viene dall’intervista rilasciata ieri a questo giornale dal Presidente della Lombardia Attilio Fontana.
L’intervista prende spunto dalle trattative in corso fra il governo (rappresentato dal ministro Erika Stefani, della Lega) e le regioni Lombardia, Veneto e Emilia (le prime due con Presidenti leghisti) sul trasferimento di ulteriori competenze, e delle relative risorse, in seguito alla richiesta di maggiore autonomia: sostenuta nei primi due casi anche dai referendum dello scorso ottobre. Fontana rivela che la Lombardia sta preparando per metà luglio un documento sulle materie che la regione vuole gestire e sulle procedure da seguire. Come era lecito attendersi, su questo specifico aspetto del Contratto di Governo si procederà a passo di carica.
Si tratta di temi di grande rilevanza: il riferimento è alle 23 materie di “legislazione concorrente” elencate al terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Fra di esse, l’istruzione, la previdenza complementare, la ricerca scientifica, i porti e gli aeroporti, le grandi reti di trasporto, l’energia, il commercio con l’estero e i rapporti con la UE, la protezione civile e il governo del territorio, i beni e le attività culturali; e altre ancora. In questi casi oggi la legislazione dello Stato determina i principi fondamentali, in base ai quali le Regioni esercitano la propria potestà legislativa. E’ evidente che il venir meno di principi fondamentali nazionali in materie così ampie e delicate in alcune importanti regioni avrebbe conseguenze assai rilevanti sull’organizzazione e il funzionamento di fondamentali beni e servizi pubblici nell’intero paese. Ciascuno può immaginare, a partire dalla scuola, che situazione si potrebbe creare con tre grandi regioni del Nord (e magari altre che le seguissero) che legiferano a propria assoluta discrezione.
L’idea di Fontana e della Lega è che più si spostano competenze verso le regioni, meglio è. Ma questo è dubbio: sia per i cittadini delle regioni coinvolte sia per gli altri. Possono esservi ambiti in cui una maggiore autonomia si giustifica; altri invece in cui è assai discutibile: nell’elenco ce ne sono molte in cui una frammentazione di regole e competenze potrebbe essere assolutamente negativa.
Il discorso va fatto pragmaticamente, caso per caso, e a partire da una concreta evidenza dei vantaggi dell’autonomia per i cittadini coinvolti, e dell’assenza di svantaggi per gli altri. Quel che è certo è che il tema riguarda tutti gli italiani; merita una ampia e tempestiva informazione e un’approfondita discussione pubblica; i tempi necessari a maturare decisioni ben fondate. Appare assai incongruo, per usare un eufemismo, che il Presidente del Consiglio abbia attribuito questa competenza, e quindi la difesa dell’interesse nazionale, ad un Ministro di un partito che da sempre guarda più agli interessi delle regioni coinvolte, cioè della “controparte”, che a quelli di tutti i cittadini. Uno dei grandi obiettivi che si vogliono raggiungere con l’autonomia è il grande aumento del potere, e della capacità di regolazione e di intermediazione della politica a livello regionale. Questo dipende anche dal disporre di risorse molto maggiori. Il Presidente della Lombardia quantifica in 8-9 miliardi per la sola Lombardia il valore dei finanziamenti coinvolti; citando però una stima fatta da un’associazione di categoria (veneta) non particolarmente autorevole su questioni così delicate.
Per cominciare a ragionare ci vorrebbero numeri certi. Fontana, quasi en passant, smentisce mesi di propaganda, e il suo stesso collega veneto: quel che la Lombardia chiede è solo quanto oggi lo Stato centrale spende, su quelle materie, nel territorio della Lombardia: “non stiamo parlando di residuo fiscale” ma di “fondi che comunque ci sono dovuti”. Bene, dunque, che si abbandoni la propaganda sul residuo fiscale. Ma male che il Presidente si rifiuti di considerare i “soldi che ci sono comunque dovuti” nel quadro d’insieme delle risorse disponibili in Italia e dei loro criteri di riparto; di leggere, insieme agli articoli 116 e 117 della Costituzione, anche il 119.
Che dispone che “la legge dello stato dispone di un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante” e che “lo Stato destina risorse aggiuntive e effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni”: in entrambi i casi il chiaro riferimento è al Mezzogiorno. Sono principi basilari della nostra convivenza nazionale: il gettito fiscale non è delle regioni, ma deve essere usato per garantire diritti di cittadinanza e prospettive di sviluppo a tutti i cittadini italiani. Si tratta di diritti, non di elemosine.
L’autonomia per alcune regioni va definita tenendo prioritariamente in evidenza anche questi diritti; per tutti. E spiace molto che invece Fontana ritenga che il tema dei livelli essenziali di assistenza “non c’entra nulla con l’autonomia” e che la perequazione tra Nord e Sud “non è un problema all’ordine del giorno”. Spiace che il Presidente della più grande regione italiana ritenga che il suo ruolo sia solo quello di occuparsi degli interessi del suo territorio e non di contribuire ad una discussione, complessa ma imprescindibile, sull’intero paese; che interpreti il ruolo di Milano solo come quello di un capoluogo amministrativo di regione, e non come di una delle città guida dell’intero paese. Una “capitale morale” che ha grande potere ma anche grandi responsabilità sulle prospettive dell’intera Italia.
Gianfranco Viesti
pubblicato su Il Mattino 29.6.2018