Autonomia differenziata di Gianfranco Viesti
Nelle prossime settimane, l’Italia come la conosciamo potrebbe andare in pezzi; e diventare un paese arlecchinesco nella sua organizzazione e dalle crescenti disparità nei diritti fra i suoi cittadini. Non si tratta di un giudizio politico o etico; ma di una valutazione tecnica, collegata al processo di aumento dell’autonomia delle regioni che si è avviato con i referendum lombardo-veneti dell’autunno. In particolare fa riferimento alla bozza di legge nazionale che è stata ufficialmente proposta nei giorni scorsi, per prima, dal Presidente leghista del Veneto come base per la trattativa alla sua controparte nazionale, cioè la Ministra leghista veneta titolare della materia (che “si sta muovendo bene, in maniera seria e attiva”, a giudizio dello stesso Presidente).
Questa proposta si basa su tre elementi fondamentali. Il primo riguarda il processo: si suggerisce che l’intera materia sia delegata dal Parlamento al Governo; che poi, tramite una Commissione paritetica Italia-Veneto dovrebbe predisporre tutti i relativi decreti legislativi (articoli 2 e 3).
Il secondo riguarda il merito. La Regione Veneto vuole una competenza esclusiva su tutto. Un elenco incompleto (art. 6): la programmazione dell’offerta formativa scolastica (regionalizzando gli insegnanti), i contributi alle scuole private, il diritto allo studio universitario, la cassa integrazione guadagni, la programmazione dei flussi migratori, la previdenza complementare, la contrattazione per il personale sanitario, l’offerta universitaria, i fondi per il sostegno alle imprese, le Soprintendenze, i fondi per l’edilizia scolastica, le valutazioni sugli impianti con impatto sul territorio, le concessioni per l’idroelettrico e lo stoccaggio del gas, le autorizzazioni per elettrodotti, gasdotti e oleodotti, la protezione civile, i Vigili del Fuoco, le strade e le autostrade, i porti e gli aeroporti (e una zona franca, tanto per gradire), la partecipazione alle decisioni relative agli atti normativi comunitari, la promozione all’estero, l’Istat, il Corecom al posto dell’AGCOM, le professioni non ordinistiche. E altro.
Il terzo riguarda i soldi (art. 7). Il Veneto non reclama solo le risorse attualmente spese dal Governo nazionale. Ma propone un nuovo meccanismo di calcolo (sempre stabilito dalla Commissione paritetica Italia-Veneto, e che dovrebbe valere solo per il Veneto) basato su “fabbisogni standard” che tengano conto anche del “gettito dei tributi maturato nel territorio regionale”; con la garanzia, pure, che le risorse crescano nel tempo con “le stesse dinamiche positive del PIL della Regione”.
Si tratterebbe di una sostanziale secessione. Ma conservando, comodamente, tutti i benefici dell’appartenere all’Italia e all’Europa. Ai giuristi stabilirne la costituzionalità; ma la sostanza è chiarissima. La modalità di decisione taglierebbe completamente fuori il Parlamento, i rappresentanti di tutti i cittadini italiani, dalla valutazione delle funzioni e delle risorse da trasferire e quindi dal ridisegno dell’intera amministrazione del paese; delegando il potere ad una commissione mista, come fra due stati sovrani. Implicherebbe la rottura della programmazione unitaria di tutte le infrastrutture e del funzionamento di tutti i grandi servizi nazionali. Renderebbe vacuo il ruolo strategico, di indirizzo e di coordinamento del governo nazionale; puramente rappresentativo il ruolo della Capitale. Determinerebbe meccanismi di calcolo delle risorse regionali caso per caso; e quindi la formalizzazione di gruppi di italiani di serie A e B (e C e D), con diversi diritti e diversi servizi.
L’aspetto straordinario è che di fronte a questa proposta – tecnicamente eversiva degli attuali assetti – l’intera politica italiana tace. Non solo la Lega, che non ha interesse a rendere evidente il suo ruolo, da sempre, di partito territoriale, attento agli interessi di una parte sola del paese. Tacciono i 5 Stelle alleati di governo, alle prese con i fondamentali vitalizi. Ma tace anche l’opposizione; in particolare quella di centro-sinistra che appare, anche su questa materia, in uno stato comatoso. Anzi sul quel fronte, le giunte “rosse” si sono precipitate anch’esse a richiedere condizioni particolari di autonomia. Il culmine si è raggiunto quando anche alcuni regioni del Sud (a cominciare dalla Puglia) le hanno seguite. Forse per puro protagonismo mediatico dei Presidenti; forse per il desiderio di ottenere qualche potere di interdizione in più per la politica regionale; fingendo di dimenticare che questo processo rischia di essere devastante per tutti i cittadini del Centro-Sud. Tra l’altro, con un governo che mira con la flat tax ad una forte caduta del gettito fiscale nazionale, e con questi processi di autonomia fiscale regionale, è evidente che sarà il ruolo perequativo della finanza pubblica nazionale a vantaggio dei cittadini dei territori più deboli a risentirne nettamente.
Ora la trattativa dovrebbe essere condotta per quasi tutte le attuali regioni a statuto ordinario, definendo competenze (e meccanismi finanziari ad hoc?) caso per caso. Si sta così generando una situazione di grande caos. Ma in cui un aspetto è chiarissimo. Tutti i protagonisti mirano solo ad interessi particolari, personali, territoriali; a nessuno sembra interessare l’Italia; il complessivo interesse nazionale, la sostenibilità dell’organizzazione statuale, il ruolo di governo dell’intero paese, un corretto rapporto fra Roma e le regioni, l’eguaglianza dei diritti dei cittadini. Tutti sembrano condividere la sfiducia in un futuro comune di successo; propugnare solo la logica del “si salvi chi può”.
Gianfranco Viesti
pubblicati su Messaggero e Mattino