Sull’autonomia lombardo-veneta. La piccola politica cantoniera italiana di Sandro Abruzzese
Gianfranco Viesti ha documentato con un’intensa e meritoria attività, quasi quotidianamente, l’assurdità dei meccanismi che distraggono risorse al Meridione per portarle altrove. Insieme a lui, sulle pagine del Mattino, Marco Esposito ha seguito e spiegato i vari e iniqui passi del federalismo fiscale all’italiana. L’altro giorno giustamente Viesti si appellava, su Twitter, agli amici progressisti del Settentrione che “vedono arrivare la secessione dei ricchi (…) e voltano la testa dall’altra parte”.
Che dire? Potremmo rispondere al prof. Viesti col Gramsci di Passato e presente: “Il problema delle classi dirigenti riguarda anche i suoi capi: bisogna distinguere se siamo di fronte a grande ambizione, la quale è indissolubile dal bene collettivo e dalla crescita generale degli strati sociali, oppure a piccola ambizione, la quale, attorno a sé, crea solo il deserto”.
Comunque sia, sono lontani i tempi in cui Max Weber sosteneva che “Lo scopo dello stato è la grandezza della nazione”. Occorre forse ancora ricordare che uno Stato è un progetto, e che gli italiani come popolo esistono grazie all’Italia e non viceversa. Si può poi discutere sulla natura e i risultati del progetto, ma se non si capisce questo assunto, non si capirà la parte nobile e spirituale della storia del Paese. Non si capiranno la Repubblica romana e i Pisacane, la Resistenza, i padri costituenti e i valori universali propugnati dalla Costituzione italiana. Anzi, rimarranno nell’immaginario solo gli scongiuri di Berlusconi durante l’inno di Mameli, insieme agli sproloqui di Pontida che vanno dai Borghezio, a Bossi, Zaia e Salvini, ai loro vecchi e nuovi epigoni meridionali.
Dunque, oggi non basta chiedersi che fine abbiano fatto i parlamentari meridionali o settentrionali, o i Cinque stelle: occorre chiedersi che ne è stato della passione e dello spirito per le “grandi ambizioni” di uguaglianza, soldarietà, reciprocità, nell’ambito dell’Italia e dell’Europa, e forse del mondo. Già, perché se chiunque anteponga interessi di fazione alla causa dello Stato è responsabile dello sfacelo dell’Italia e dell’Unione, l’inarrestabile regressione politica del Paese riporta dritta alle sue origini municipali.
E’ pur vero che alla spinta centrifuga e disgregatrice, a livello planetario, non è estraneo il tracollo culturale della sinistra occidentale successivo alla caduta del Muro, il quale ha aperto le porte alla globalizzazione e al finanzcapitalismo, e con essi a un vergognoso incremento delle disuguaglianze su scala globale (Bauman, Giddens, Gallino). Ed è vero che contestualmente, sul piano nazionale, si registra la perdita del ruolo di spina dorsale del Paese da parte dei defunti e smanellati partiti tradizionali.
Ma l’unione di queste direttrici, oggi che la spinta disgregatrice delle nostre forze regionali tribali si è fatta principale forza di governo, e il sogno di spaccare l’Italia sembra stia per avverarsi, produce e evidenzia il fatto che tutto il Paese è diventato tribale.
Siamo di fronte alla definitiva scomparsa di un universo politico e morale, le cui avvisaglie erano inoltre insite negli squilibri territoriali, socio-economici su cui l’Italia stessa, in maniera miope, è stata precedentemente edificata.
Nessuna traccia di grande ambizione, quindi, per non dire della lotta alle mafie, all’evasione, della redistribuzione del reddito, dell’arresto dello spopolamento e dell’emigrazione. Nessun vero e nobile progetto per il Paese nella sua interezza e integrità. Niente. Il resto di niente.
Molto più facile, anche se non certo nobile, arraffare la ricchezza prodotta come un fratellastro qualsiasi, svuotando la costituzione e la democrazia della loro già precaria tenuta.
E’ il grado zero della piccola politica cantoniera italiana. Non può che conseguirne l’allontanamento dalla costruzione di un’Europa più giusta e umana.
Se andrà come sembra, a vincere saranno le peggiori pulsioni di questo Paese: la visione di un mondo che, per dirla con Barthes, è solo qualcosa da spartire, lontano da qualsiasi ideale: il ritratto di un Paese abitato da un’umanità abbrutita e vile.
Sandro Abruzzese