Intervista a Gianfranco Viesti di Massimo Franchi

Intervista a Gianfranco Viesti di Massimo Franchi

«Dopo le recenti esperienze infelici, una forza di sinistra che si candidi a governare il paese dovrebbe partire da questi temi: l’uguaglianza di tutti i cittadini e una scuola pubblica nazionale per comporre gli interessi delle parti più forti con quelle più deboli del paese avendo come obiettivo la crescita comune». Il professor Gianfranco Viesti, docente di economia a Bari, è il capofila della battaglia contro «la secessione dei ricchi» – titolo del suo ultimo libro -, l’autonomia differenziata delle regioni del Nord.

Professor Viesti, vede una continuità tra il vicino via libera all’autonomia rafforzata per Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna e la manovra economica del governo?
No, anche se i danni potrebbero essere comuni. Sulla manovra do un giudizio articolato in cui prevale quello che non c’è: gli investimenti pubblici che in questi anni sono calati drammaticamente dal 3 al 2 per cento del Pil e che invece sono l’unico modo per riportare crescita nel nostro paese. Fra quello che c’è il giudizio è ambivalente: sono molto contrario a Quota 100 perché credo che intervenire sulle pensioni partendo da chi un lavoro ce l’ha è sbagliato mentre sul reddito di cittadinanza guardo con preoccupazione le critiche preventive della sinistra contro uno strumento che combatte la povertà: se il centrosinistra al governo avesse fatto il Reddito di inclusione prima degli 80 euro avrebbe mantenuto una base sociale. Il reddito di cittadinanza va criticato nel merito perché cancella il Rei e, assieme a Quota 100, è una misura cieca costruita apposta per avere successo alle elezioni europee.

Sabato i sindacati confederali scendono in piazza contro la manovra proponendo al centro della loro piattaforma proprio gli investimenti pubblici. Riusciranno a farsi sentire dal governo?
La manifestazione di sabato è importantissima. Sia per rilanciare il ruolo dei sindacati, fondamentale in un paese come il nostro, sia per il messaggio sugli investimenti pubblici. Detto questo, è difficile capire se il successo della manifestazione potrà avere effetti sul governo: ormai in Italia tutto è incerto e proprio questa incertezza è la causa principale della mancata affidabilità del paese a livello internazionale.

Lei da anni sottolinea la mancanza di investimenti pubblici specie per rilanciare il Sud. Aveva aspettative su questo governo? Pensava potesse invertire la tendenza?
Io per investimenti pubblici intendo anche le risorse per l’istruzione – scuola e università – e su questi temi il programma del M5s in campagna elettorale dava speranze. Ora invece siamo passati ad un uso elettorale delle misure economiche: si pensa solo a dare soldi in mano ai potenziali elettori mettendo da parte gli investimenti che danno risultati sul medio-lungo periodo. Al Sud si propone solo il Reddito di cittadinanza ma senza investimenti il rischio è l’effetto boomerang: se non c’è lavoro, scaduta la copertura del reddito di cittadinanza la situazione di povertà nel meridione peggiorerà.

In questo quadro la partenza dell’autonomia rafforzata per le regioni del Nord rischia veramente di spaccare il paese in due.
È così. La vicenda dell’autonomia è davvero importante innanzitutto dal punto di vista del fondamento della democrazia. Siamo davanti ad un testo segreto concordato tra governo e Regioni che sarà reso pubblico quando sarà firmato e inviato al parlamento che non potrà nemmeno emendarlo come fosse un voto di fiducia. E se approvato, a differenza di Quota 100 e Reddito di cittadinanza che potranno essere cambiati dal prossimo governo, sarà norma di rango costituzionale. Nel merito poi si tratta di 23 materie che riguardano la vita quotidiana di tutti i cittadini, dalla scuola alla sicurezza.

Una sorta di «secessione dei ricchi» che però riguarda anche l’ex rossa Emilia.
Sì, ed è la cosa che mi provoca più dispiacere. L’idea di autonomia rafforzata riprende l’autonomia di cui l’Emilia-Romagna è storicamente portatrice. Ma qua si è fatta travolgere dall’onda lunga che viene dal Veneto e da solo una parte della Lombardia (visto che il referendum a Milano e in altre province è stato votato solo da un quarto della popolazione) e che mira esplicitamente ad usare le proprie risorse perché ci si è stufati del Sud e si vuole andare avanti da soli. All’inizio il presidente Bonaccini ha precisato che, diversamente da Veneto e Lombardia, non chiederà – ad esempio – l’assunzione regionale del personale della scuola. Ma da qualche mese appoggia questa richiesta, si è totalmente appiattito sulle posizioni di Veneto e Lombardia. Ignorando le conseguenze di un simile comportamento.

Sta dicendo che Bonaccini, ora anche presidente della conferenza delle Regioni, appoggia per calcoli elettorali le richieste leghiste di Veneto e Lombardia?
Sì, in un’ottica di sindacato di territorio. Con due effetti gravissimi: il primo è smarcare l’autonomia rafforzata dalla targa leghista; il secondo di aver messo la sordina al Pd sull’argomento: nessun esponente del partito ne parla. E così il dibattito pubblico su tema così importante è relegato ai margini.”

 

 

Il MANIFESTO
 EDIZIONE DEL
06.02.2019 

Follow me!

Comments are closed.