Autonomia, i conti non tornano e lo Stato si dissolve di Massimo Villone di Massimo Villone
Se non fosse una vicenda che in prospettiva rivolta il paese come un calzino e fa strame della Costituzione, e in specie dei diritti degli italiani e dell’unità della Repubblica, ci sarebbe da ridere. Soprattutto due sono i punti che turbano.
Il primo è nelle cifre, che secondo gli attori in campo dimostrano tutto e il contrario di tutto. Nel suo ultimo proclama/diffida/appello/lettera ai meridionali il governatore Zaia vorrebbe addirittura argomentare che al Sud vanno più soldi e risorse pubbliche che al Nord. Non volendo qui sprecare spazio e tempo, rinviamo alla lettera di risposta di un cittadino che il 22 febbraio su Basilicata24.it con fatti e cifre gli consiglia di tornare alle scuole serali. Per noi, la secessione dei ricchi non è affatto fake news.
Comunque, dalla confusione si esce non con i dati di Zaia, ma con un confronto serio su dati scientificamente solidi, elaborati e discussi in una sede autorevole e non sospetta.
Inoltre, è indispensabile che non si riduca tutto a un problema di spesa pubblica. Tanto meno in chiave di presunta inefficienza e predisposizione al malaffare degli amministratori del Sud, come suggerisce Zaia. Anzitutto, gli ricordiamo Formigoni e Galan. E di sicuro i cittadini del Sud non hanno alcun interesse a difendere carrozzoni maleodoranti. Probabilmente, avrebbero poco o nulla in contrario alla soppressione delle regioni come tali, se mai fosse possibile.
Ma qui c’è un dissolvimento dello Stato attraverso il ritaglio di quote della potestà legislativa statale di dettare principi fondamentali in settori cruciali.
È un ruolo che va difeso, a tutela dell’eguaglianza dei diritti e dell’efficienza del sistema paese, che nel mondo di oggi non si perseguono con le piccole patrie. Questo è evidente in settori chiave come scuola, sanità, ambiente, beni culturali, infrastrutture. Ad esempio, leggiamo su queste pagine che le tre regioni richiedenti hanno il primato del consumo di suolo e della cementificazione. Regioni virtuose?
Per questo, il secondo punto che molto preoccupa è il perdurante tentativo di comprimere il ruolo del parlamento, di sicuro il luogo appropriato per affrontare i temi anzidetti. Invece, pare che si discuta per definire il percorso parlamentare. Ma non c’è proprio niente da definire. Vanno applicati integralmente l’art. 72 della Costituzione e i regolamenti. Si richiama ancora la prassi seguita per i culti acattolici per l’inemendabilità del ddl governativo recante le intese. Come ho già scritto su queste pagine, è inapplicabile.
Anzi, a voler essere precisi, nella specie non c’è alcuna prassi, trattandosi di una prima assoluta, senza precedenti. Il percorso va disegnato ex novo. E allora qualunque limitazione si voglia introdurre nel lavoro parlamentare si mostra arbitraria, e contraria al chiaro dettato della Costituzione e dei regolamenti. Quale motivazione può mai essere idonea a comprimere il ruolo del parlamento, quando innegabilmente si tocca tutto il paese, tutte le persone che in esso vivono, la capacità dello stato di provvedere ai loro bisogni, la stessa unità della Repubblica? Dunque, o pieno ruolo dei parlamentari, o – come ho già scritto – conflitto in Corte costituzionale per quelli che ne fossero impediti.
Non interessa la generica rassicurazione offerta nei talk show o sulla stampa da questo o quell’autorevole personaggio. Basta alla trattativa privata tra leghisti e governatori. Vogliamo le carte, tutte e non solo le parti generali e concordate delle intese da ultimo disponibili sui siti del governo.
È sempre nei dettagli che si trova il peggio.
È bene che dopo l’Abruzzo a M5S venga il segnale che le iniziative di immagine – come ora in Sardegna il taglio dei vitalizi agli ex consiglieri – non risollevano le sorti elettorali. Si deve tenere il campo nelle partite cruciali, e tale è il regionalismo differenziato. Quindi, si parli chiaro. E soprattutto basta con gli spot della serie “facimm’ ammuina”.