No alla frammentazione del Paese. Sì a un nuovo Mezzogiorno di Massimo Veltri
Dopo un inizio in sordina si è affacciato con insopprimibile impatto mediatico e politico la questione del regionalismo differenziato. Fino ad arrivare alla lettera con cui Piero Bevilacqua si è rivolto negli ultimi giorni al presidente Mattarella sottolineandone, con sobrietà di modi e impeccabile rispetto istituzionale, il ruolo di garante dell’unità del Paese. Iniziative si sono svolte dappertutto, nel Mezzogiorno: tanto in Calabria quanto in Campania e in Puglia a sottolineare l’urgenza del problema e la partecipazione popolare.
Pare, dopo la soluzione del no-impeachment di Salvini, che sia subentrata una tregua per cui non si avverte quella concitazione trafelata e incontrollata con la quale quasi in sordina e alle spalle del Parlamento si voleva correre verso la disgregazione dell’Italia. Perché di questo si tratta: qualcosa di ancora più grave della secessione, visti anche i disegni che prevedono, nei decreti giacenti presso il ministero dell’Interno, il ruolo residuale assegnato a Roma, capitale del Paese. Una tregua, appunto, dovuta certamente al clima di do-ut-des che regna fra i due partner di governo, soprattutto dopo il salvataggio dei 5Stelle nei confronti di Salvini, ma anche e in misura significativa alla forte pressione esercitata da coloro i quali, nelle università, sui giornali, in alcune Regioni, nelle sedi più disparate hanno opposto, spesso con toni argomentati e convincenti (malgrado posizioni sguaiate e infondate affermate o ribadite da esponenti governativi del Veneto) la loro forte opposizione. Non per ultimo è da segnalare l’atteggiamento forte e responsabile di ambienti ministeriali – centri studi e uffici – che hanno prodotto veri e propri rapporti nei quali è evidenziata la insostenibilità, la non praticabilità del progetto frantumatore del Paese.
Non è peregrino però ritenere che l’argomento riprenderà vigore e richiesta di prima pagina, con tempi e modalità al momento non facilmente prevedibili, e pertanto non guasta qualche riflessione e proposta supplementare. A partire da due tipi di atteggiamenti differenti fra loro emersi nelle ultime settimane. Il primo fa capo a Piero Bassetti – politico e imprenditore di chiara matrice democratica- e Valerio Onida – presidente emerito della Corte Costituzionale -, e insieme a loro a esponenti del nord dello schieramento democratico. Il secondo si riferisce ad alcune iniziative soprattutto di matrice campana volte ad accettare la sfida dell’autonomia e addirittura rilanciare.
Bassetti e Onida, da due versanti diversi denunciano, in buona misura, la insostenibilità della situazione attuale, minimizzando per di più l’intendimento frantumatorio della Lega di Salvini, ma soprattutto suggerendo che il rapporto Regioni-Stato centrale deve essere rivisto e riscritto. In ciò trovando immediati alleati non rappresentanti del centrosinistra che a vario titolo e senza troppe circonlocuzioni pongono più d’uno accento sul sud che però “…non può continuare con la sua inefficienza”; che “… gli sprechi sono insostenibili”; che “… c’è un’Italia, perlomeno, a due velocità”. Sentirlo dire da Onida e Bassetti è in buona misura una novità, dagli altri un pò di meno, viste le posizioni del Presidente della Regione Emilia Romagna Bonaccini, da Vinicio Peluffo, segretario regionale lombardo del Pd, tempo fa da Pietro Folena. Per non ritornare sulle sciagurate modifiche costituzionali e altrettanto sbagliati accordi fatti nel passato. Siamo in presenza, così, di una spia rossa che si è accesa, o riaccesa, e la cui intensità acquista sempre più maggior vigore: non solo in ambienti governativi ma pure nel centrosinistra l’unità del paese non è più un valore condiviso.
La questione meridionale, una sorta di feticcio più evocato che frequentato, proprio per vacuità di contenuti e condivisione di proposte e prospettive, si riaffaccia prepotentemente sotto altre spoglie neanche tanto mascherate ma appesantite oltre misura dal pericolo più che reale della dissoluzione dello Stato unitario. Perciò le iniziative di cui si diceva volte ad accettare la sfida e rilanciare non convincono ma sconcertano. Perché gli imprenditori, intellettuali e politici napoletani, nello stilare il loro decalogo di buoni propositi per dialogare con Roma e definire l’autonomia al di sotto del Volturno, le intrepide proposte di chi vuol far nascere la macroregione meridionale, devono fare i conti con una realtà che rischia di far soccombere miseramente non solo il bluff di cui trattasi ma pure lo spirito di responsabilizzazione e di carico di buone intenzioni che pure potrebbe essere sotteso. Com’è pensabile, infatti, avviarsi verso un autogoverno dopo decenni, o secoli, di assistenza e in presenza di classi dirigenti, e non solo politiche, che finora hanno mostrato d’essere la vera palla al piede del Sud? D’emblée nasceremmo come territorio autocentrato e autosufficiente? Il quadro dentro il quale ci muoveremmo quale sarebbe?
Perciò sopra si parlava di bluff, mentre e invece oltre al no fermo e forte alla frantumazione quello che serve è un’idea di Stato diverso, di Mezzogiorno nuovo. Un’idea che deve partorire dai tanti incontri di questi giorni, dalle moltissime prese di posizione pubblicate, dalle riflessioni articolate che si susseguono, e che devono sfociare com’è storicamente prassi comprovata dall’urlo di un no alla condivisione di un sì. Un sì nuovo e diverso che non può nascere dai tanti occhiolini strizzanti al Movimento 5Stelle, per alcuni individuato come unico salvatore della patria contro i trinariciuti salviniani, bypassando il movimento democratico e i suoi rappresentanti-partiti e sindacati- dati invece, frettolosamente?, per defunti o inservibili. Una partita, in qualche misura (solo) apparentemente minore, dentro quella che si sta giocando ormai alla luce del sole, e per la quale vale la pena per davvero impegnarsi. Le Regioni, e quali Regioni, sono utili e funzionali alla crescita del Paese e ad accrescere il suo tasso di condivisione? La cornice istituzionale nazionale contempla prerogative e funzioni diverse: quali mantenere dentro una matrice centrale e quali devolvere? Il Sud è possibile situarlo all’interno di un quadro unitario fatto di solidarietà certamente ma pure, e non in un secondo momento, di virtuosità per quanto riguarda progettualità, capacità di gestione, spesa virtuosa?
A chi compete una riflessione siffatta se non alla politica, e quanto è utile, necessaria, piuttosto di un semplice no che è facile da pronunciare quanto inefficace nei risultati?
Quotidiano del Sud
26.2.2019