Mese: giugno 2019

Unire le energie contro la secessione dei ricchi del Nord di Alfiero Grandi di Alfiero Grandi

Unire le energie contro la secessione dei ricchi del Nord di Alfiero Grandi di Alfiero Grandi

Autonomia differenziata. È stato un errore che il governo Gentiloni abbia fatto pre-intese con le regioni interessate per i nuovi poteri. Gli errori ci sono, ma l’unico modo per affrontarli è scegliere la stella polare dell’interesse nazionale, correggendo quello che è necessario e invitando tutta l’opposizione a contrastare con decisione la pressione leghista Il rinvio della decisione sullautonomia differenziata offre la possibilità di continuare la campagna di informazione e di critica sul pericolo che incombe sul futuro dellItalia. Sulla forte spinta di Salvini per farla subito, complice la batosta elettorale del del M5S. E il periodo luglio-agosto è storicamente quello dei colpi di mano parlamentari. La scuola uno dei punti di maggiore resistenza a questa follia istituzionale che rischia di spezzare il nostro paese prima di settembre difficilmente potrà rilanciare unazione di contrasto. Salvini lo sa e tenta di costringere i 5S a subire, sotto il ricatto della crisi di governo. La scuola non è lunico settore in cui lautonomia differenziata a trazione leghista può creare fratture non ricomponibili tra regioni La voce dal sen fuggita di Zaia, dopo la decisione sulle olimpiadi invernali, rende evidente un disegno di allontanamento del Veneto e della Lombardia dal resto dellItalia, prendendo a modello la Baviera. La pressione di due regioni molto importanti del nostro paese per ottenere tutti i poteri possibili, fino allaffermazione che il 90% delle risorse debbono restare in Veneto, indica con chiarezza che il rischio dellItalia è una frattura in cui le regioni economicamente più forti abbandonano sostanzialmente al loro destino le altre. Altrimenti non si spiega perché la trattativa tra Veneto, Lombardia e governo è avvenuta in gran segreto, fino a quando qualcosa è trapelato ed è stato possibile iniziare a contrastare questo disegno. Perché lEmilia Romagna si sia accodata, sia pure con meno pretese, è difficile da comprendere. Questo regionalismo estremizzato, volto a conquistare nuovi ed estesi poteri, mette a rischio lunità del paese, ed è una scelta avvenuta senza alcun coinvolgimento delle altre regioni, del tutto alloscuro della trattativa tra Veneto, Lombardia e governo. Il tentativo della Lega di governo è stato fare accordi diretti con le regioni da portare in parlamento senza la possibilità di emendarli, da approvare o respingere in toto come se si trattasse di confessioni religiose. Per di più bloccando la possibilità di sottoporre queste decisioni a referendum abrogativo, come può avvenire sulle altre leggi. La Lega di Salvini vuole presentarsi come un partito nazionale, per prendere voti ovunque, ma in realtà questa propaganda nasconde la sostanza della separazione di queste regioni, in realtà la Lega di Salvini non è altro che la proiezione politica della Lega Nord. La debolezza di Di Maio e dei 5 Stelle dopo la sconfitta alle europee offre alla Lega loccasione per laffondo sui nuovi poteri per Lombardia e Veneto, a conferma che la Lega è il dominus della coalizione. Anche il Pd deve cambiare orientamento. La riforma costituzionale del 2001 sul titolo V si è rivelata un errore. La correzione tentata da Renzi era inaccettabile e tuttavia a suo modo confermava lesistenza del problema. Tuttavia neppure dal titolo V del 2001 discende lautonomia differenziata nella versione estremista della Lega che rappresenta la forzatura del nuovo dettato costituzionale, al di là dei suoi difetti. È stato un errore che il governo Gentiloni abbia fatto pre-intese con le regioni interessate per i nuovi poteri, tanto più che era in ordinaria amministrazione. Gli errori ci sono, ma lunico modo per affrontarli è scegliere la stella polare dellinteresse nazionale, correggendo quello che è necessario e invitando tutta lopposizione a contrastare con decisione la pressione leghista. Diritti fondamentali come istruzione, salute, lavoro, ambiente, beni culturali e demaniali diventerebbero differenti a seconda della regione di residenza. Siamo di fronte ad un passaggio decisivo da cui può dipendere anche il futuro delle classi sociali, della loro rappresentanza. Da questa forzatura della Costituzione può derivare una seria minaccia per una visione unitaria e nazionale. Anche i contratti di lavoro potrebbero cambiare radicalmente, fino a far tornare dalla finestra le gabbie salariali. Scendere in campo è necessario, con chiarezza e impegno, anche per le imprese che dopo avere alzato la bandiera della semplificazione si troveranno a fare i conti con normative diverse da regione a regione. Un passaggio così decisivo per il futuro del nostro paese va bloccato unendo tutte le energie necessarie all’obiettivo comune. Il Manifesto 27.6.2019

Primo no di massa alla divisione del Paese di Piero Bevilacqua

Primo no di massa alla divisione del Paese di Piero Bevilacqua

La manifestazione sindacale unitaria di Reggio Calabria – un’iniziativa politica di primissimo ordine, dopo mesi ed anni di assordanti ciarle – si segnala per almeno tre ragioni. La prima è che il Sud trova finalmente voce e capacità mobilitativa di massa. E in un luogo di drammatica simbolicità, come già hanno ricordato Tonino Perna e Marco Revelli su questo giornale. La seconda è che un tema centrale dell’iniziativa, che ha visto unite le tre grandi confederazioni è stato l’opposizione all’autonomia differenziata. Un problema cruciale per il mantenimento non solo di un welfare unitario per tutta la popolazione italiana, ma per la conservazione degli assetti istituzionali su cui si regge l’unità d’Italia. Una questione ingannevolmente prospettata come misura di allargamento della democrazia territoriale e invece grimaldello secessionista per assegnare più risorse alle regioni più ricche, staccandole dal resto del Mezzogiorno e delle altre regioni. Una questione sottovalutata e ignorata dai media, dalle grandi firme del giornalismo, da gran parte degli intellettuali, segno di un’incapacità drammatica delle nostre classi dirigenti di prevedere quel che può accadere tra un mese. Ora finalmente il tema, il pericolo, la sciagurata minaccia che incombe sul paese, agitata finora da un pugno isolato di studiosi, diventa un argomento politico di massa, assunto in proprio dalla più grande istituzione popolare d’Italia. La cosiddetta autonomia differenziata, vale a dire la disarticolazione di fatto dell’Italia, ridotta ad un puzzle di statarelli regionali, renderebbe l’Italia non solo territorialmente più disuguale ed ingiusta ma ingovernabile, drammaticamente indebolita in Europa, priva di coerenza e forza contrattuale con l’Unione. La terza ragione è che in questa fase storica, come ha osservato Revelli, il sindacato viene a svolgere una rilevante azione di supplenza politica. Una fase in cui i 5 stelle al governo, che dal Sud hanno ricevuto un vastissimo consenso di massa, stanno tradendo il loro impegno condannandosi al suicidio finale. Il discorso a Reggio di Maurizio Landini ha indicato in sintesi la piattaforma strategica di governo dell’economia italiana dell’unico statista oggi attivo sulla scena politica nazionale. Non c’è protagonista comparabile per visione realismo e capacità mobilitativa. La sinistra dispersa non dovrebbe solo trovare coraggio da tale iniziativa, ma la lezione dell’unità che si raggiunge con un’opera lenta e tenace, di cuciture e anche di compromessi, di sforzo di organizzazione degli emarginati, senza correre dietro le sirene elettorali che promettono, talora illusoriamente, qualche poltrona parlamentare e lasciano alla fine una scia di delusioni, rampogne e abbandoni.

 

 

 

Il Manifesto

23.06.2019

Il Mezzogiono rialza la testa di Massimo Covello*

Il Mezzogiono rialza la testa di Massimo Covello*

Sotto lo slogan: “ Ripartiamo dal Sud per unire il Paese” migliaia di lavoratori e lavoratrici, di giovani , di anziani, hanno partecipato il 22 Giugno scorso alla manifestazione nazionale indetta da Cgil –Cisl e Uil. Una manifestazione, serena, determinata e consapevole che ha portato in piazza tutta la condizione drammatica di un Paese che ha smarrito il futuro, che è sottoposto a continue sollecitazioni che una volta si sarebbero definite “sovversivismo delle classi dirigenti”, tese a dividere territori, a scatenare guerre tra poveri a rompere legami sociali ed umani. Come altro definire la nefasta volontà del governo giallo-verde a trazione leghista di perseguire con accanimento la cosiddetta “autonomia differenziata” che altro non è che la certificazione della rottura del patto fondamentale su cui è poggiata l’Unità del nostro Paese. Per citare solo l’ art 3 Costituzione “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge….E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza….” E poi l’art 4 :” la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Ecco, rivendicando che un’altra strada è possibile, Cgil –Cisl e Uil tramite la voce dei segretari generali Landini, Furlan e Barbagallo hanno chiesto al Governo di fermarsi, di ascoltare le ragioni e le proposte del sindacato. E’ il lavoro che unisce il Paese, sono gli investimenti pubblici che possono cambiare le prospettive economiche e sociali , è il rispetto della funzione della rappresentanza sociale che può ridare linfa alla democrazia, è la coesione che può garantire credibilità e forza nel confronto con l’UE e le altre nazioni. Mentre sfilavamo riecheggiavano i richiami ed i ricordi della precedente manifestazione unitaria nazionale a Reggio Calabria: quella del 1972. Erano i tempi dei “ boia chi molla”, del tentativo neofascista di strumentalizzare disagio e protesta alimentando il clima della guerra fredda per costringere ad una torsione autoritaria la prospettiva politica del Paese. Erano forme di contrasto, reazionarie, terroristiche, alla grande stagione dei diritti aperte con le lotte e le conquiste culturali, sociali, del biennio 1968/69. La forza del sindacato, l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici con in primo luogo i metalmeccanici, sotto il grido di “ Nord e Sud uniti nella lotta”, seppe contrastare quel disegno, difendere la democrazia, garantire, nonostante tutto, opportunità di crescita e cambiamento. Molta di quella lezione è andata dispersa. Oggi, l’individualismo, il conformismo, l’affermazione di pensieri ed idee xenofobe se non del tutto razziste hanno attecchito anche per gravi responsabilità del pensiero democratico e progressista, arreso al neoliberismo e rappresentato da classi dirigenti spesso ascare e corrotte. Nel mezzogiorno si sono perse battaglie storiche come quella del regionalismo e della legalità. Temi nuovi con cui confrontarsi, ma problematiche antiche come il lavoro, la dignità e l’accesso ai diritti di cittadinanza, la legalità declinata come giustizia sociale sono aperti e la manifestazione del 22 Giugno ha dimostrato che esistono le forse sociali, il protagonismo dei lavoratori e delle lavoratrici, la parte migliore del paese, che non rinuncia a lottare, che continueranno a farlo, per cambiare di segno il futuro dell’intero Paese e del Mezzogiorno in primo luogo.

 

* segretario regionale Fiom –Cgil Calabria

A Reggio Calabria contro la secessione del Nord di Tonino Perna di Tonino Perna

A Reggio Calabria contro la secessione del Nord di Tonino Perna di Tonino Perna

Quando, a febbraio, insieme a Bevilacqua, De Lucia, Montanari, Revelli e tanti altri mandammo a questo giornale una lettera aperta a Landini non ci aspettavamo si facesse promotore di una grande iniziativa sindacale.

Nella lettera aperta a Maurizio Landini, da poco eletto segretario della Cgil, chiedevamo un suo impegno contro «la secessione del Nord».

Dopo pochi mesi quell’appello è diventato un fatto concreto, una grande iniziativa dei sindacati confederali per opporsi all’autonomia finanziaria differenziata. Una scelta coraggiosa se si tiene conto che la base sindacale del Nord esprime un rilevante voto per la Lega, sostenitrice a spada tratta dell’autonomia finanziaria, con il trasferimento da Sud a Nord di qualcosa come 60 miliardi di euro all’anno, cancellando di fatto il welfare nel Mezzogiorno, riducendo drasticamente i salari dei dipendenti pubblici, e creando un abisso tra le due parti del nostro paese.

Quindi il 22 giugno i sindacati Confederali hanno indetto una manifestazione nazionale a Reggio Calabria non per un generico richiamo al Mezzogiorno, per la solita litania dello sviluppo mancato e della disoccupazione che avanza, ma con un obiettivo chiaro e ambizioso: «Ripartiamo dal Sud per unire il paese». Vale a dire: contrastiamo con ogni mezzo questa sciagurata proposta di legge sull’autonomia finanziaria che darebbe un colpo mortale alle popolazioni meridionali e sancirebbe di fatto la fine dell’unità nazionale.

Intendiamoci, formalmente l’Unità d’Italia non verrebbe (almeno per ora) messa in discussione ma con questi poteri forti dati alle Regioni si andrebbe dritti verso la creazione di qualcosa che assomiglia a dei mini-Stati. Paradossalmente, anziché batterci per la creazione, necessaria e urgente, degli Stati uniti d’Europa andiamo a costituire gli Stati uniti d’Italia, ovvero un modello istituzionale simile a quello degli Usa che però hanno ben altra storia, territorio, popolazione.

Con il risultato facilmente prevedibile di abolire i contratti nazionali delle diverse categorie di lavoratori, scatenare una concorrenza sul salario e diritti tra i lavoratori delle diverse regioni/statarelli, fare esplodere una ancora più grande ondata migratoria dal Sud al Nord Italia, con uno scontro durissimo tra chi ha diritto ad accedere ai posti della pubblica amministrazione in base agli anni di residenza nelle singole regioni.

La scelta di Reggio Calabria ha anche una valenza simbolica, ci ricorda un’altra grande manifestazione che si svolse in questa città in un momento altrettanto drammatico del nostro paese: la marcia dei 50mila metalmeccanici il 22 ottobre del 1972. Decine di migliaia di lavoratori rischiarono la vita pur di arrivare a Reggio Calabria in nome dell’unità dei lavoratori e la lotta al neofascismo.

Decine di bombe sui binari ritardarono di molte ore l’arrivo di questi operai metalmeccanici, e se non ci fossero stati i servizi d’ordine lungo la linea ferrata avremmo contato i morti a centinaia, come ci ricorda la famosa e coinvolgente canzone di Giovanna Marini «I treni per Reggio Calabria». Grazie a quella imponente manifestazione le forze democratiche rialzarono la testa nella città dei “boia chi molla” che era stata consegnata ai fascisti da giochi di potere all’interno del centro-sinistra.

È passato quasi mezzo secolo e i problemi socio-economici del Mezzogiorno si sono ulteriormente aggravati, soprattutto perché è morta la speranza che ci possa essere un riscatto del Sud, quel sogno per cui si è battuta la generazione degli anni 70 del secolo scorso.

Eppure, in questa fase storica ritorna di grande attualità lo slogan «Nord e Sud uniti nella lotta», perché l’uscita dell’Italia dalla sua profonda crisi economica, sociale e culturale, dalla possibile implosione può essere superata solo con il rifiuto degli egoismi territoriali e di classe sociale e il rilancio della solidarietà e l’unità, dentro e fuori i confini nazionali.

Il Manifesto

21.6.2019

Anas, contro ambiente e lavoro in nome della sicurezza di Tonino Perna

Anas, contro ambiente e lavoro in nome della sicurezza di Tonino Perna

C’era una volta, in primavera inoltrata, una parte dell’autostrada del sole vestita dei colori degli oleandri. A decine di migliaia vivevano negli spartitraffico, tra i guardrail. Amici in viaggio nel Sud d’Italia mi hanno sempre raccontato di essere quella bellezza della nostra autostrada.

Da quasi un anno, registriamo un abbattimento crescente di queste piante in diversi tratti della Salerno-Reggio Calabria, il mitico tratto finale quasi completato dopo trent’anni di lavori di ammodernamento. I dirigenti Anas a cui è affidata la manutenzione di questa parte dell’autostrada del sole, rispondono che si tratta di lavori necessari per la sicurezza.

Non essendo un tecnico non riesco a capire perché lastre di cemento armato siano più sicure dei guardrail che vengono eliminati insieme agli oleandri. Qualcuno sostiene che la sicurezza è legata al fatto che di notte le luci delle auto filtrano tra gli oleandri, mentre con le lastre di cemento ciò non avverrà più.

Vorrei che i responsabili Anas ce lo spiegassero meglio, e magari rendessero noto il costo di tutta l’operazione che sta durando da diversi mesi. Resta un fatto: in nome della sicurezza, categoria onnivora e a senso unico, si abbattono decine di migliaia di oleandri e si eliminano migliaia di ore di lavoro destinate alla manutenzione.

Inoltre, va considerato il fatto che gli oleandri sono tra gli arbusti quelli che, insieme alla lavanda, assorbono maggiormente l’anidride carbonica. Quindi, l’Anas con un solo colpo, in nome di una presunta sicurezza, riesce ad attaccare l’ambiente e il lavoro, riducendo l’occupazione e aumentando la CO2. Per non parlare del valore immateriale, della bellezza, oltretutto si tratta di fiori e piante resistenti a tutti i climi, alla siccità come al vento. Bisognerebbe fermare questo scempio.

Questo non è un fatto eccezionale, ma un caso emblematico di come questo governo, come tanti altri per la verità, mentre firma trattati internazionali per la tutela ambientale e prende impegni solenni per ridurre la CO2, di fatto nelle azioni quotidiane va in direzione opposta. Ai rappresentanti del M5S che, almeno a parole, si è sempre battuto per la tutela ambientale come scelta prioritaria rispetto all’approccio economicistico, vorrei chiedere se non è arrivato il momento di occuparsi seriamente di questa attività dannosa e insensata. Salvo prova contraria, siamo di fronte ad un esempio da manuale in cui per minimizzare i costi, si colpisce insieme l’ecosistema e i lavoratori.

Manifesto

13.06.19

Il grande rogo della cultura di Salvatore Settis

Il grande rogo della cultura di Salvatore Settis

Si sta diffondendo l’idea che nell’epoca di Google Books e Amazon le biblioteche e i musei siano superflui: un alibi per ridurre spese di manutenzione: come dimostra Notre Dame, basta
un incidente a causare danni giganteschi

In tutto il mondo, la conservazione e alimentazione della memoria culturale è sempre meno importante nelle priorità politiche e negli investimenti pubblici. Musei, monumenti, archivi e biblioteche vengono contrapposti al vibrare sempre mutevole delle nuove tecnologie; e si diffonde la convinzione che la progettazione del futuro debba farsi a prezzo di una progressiva marginalizzazione del passato, inteso come un peso passivo e non come una forza attiva, una riserva di energia culturale e morale a cui attingere.

Ne è sintomo recente un articolo uscito pochi mesi fa su Forbes, secondo cui le biblioteche pubbliche sono inutili nell’era di Amazon e Google Books. L’autore, l’economista Panos Mourdoukoutas di Long Island University, invita a chiudere le biblioteche per risparmiare i soldi dei contribuenti. Un’ondata di proteste ha costretto Forbes a cancellare dal proprio sito questo articolo a 72 ore dalla pubblicazione, ma il sintomo resta. E questa tesi non è poi così diversa da quella di chi sostiene (anche in Italia) che a tenere in piedi musei e monumenti debbano essere i privati, e che biblioteche e archivi vadano definanziati perché non producono reddito.

La crisi del patrimonio culturale, o meglio della sua funzione, non nasce ieri. Nel 1968, anno di rivolte contro ogni passatismo, un esponente della pop art, Ed Ruscha, la espresse dipingendo il Los Angeles County Museum deserto e in preda alle fiamme. Un disastro metaforico e simbolico, che fu però quasi la profezia di un fatto reale, il terribile incendio della Los Angeles Public Library (29 aprile 1986) che distrusse mezzo milione di volumi.

Un libro recente (Susan Orlean, The Library Book, 2019) offre le coordinate di quest’evento: primo, non si è mai capito chi ne fosse responsabile; secondo, la scarsa prevenzione era stata denunciata da tempo (dal Los Angeles Times); terzo, il calo di finanziamenti pubblici era legato a conflitti di competenza fra le istituzioni. Le stesse identiche coordinate ricorrono, mutatis mutandis, in altre e più vicine catastrofi, che traducono l’incendio-metafora in desolanti fatti di cronaca. Per esempio, il fuoco che distrusse il Museo Nazionale di Rio de Janeiro (3 settembre 2018), partito da un singolo condizionatore d’aria, si diffuse rapidamente perché gli impianti di sicurezza erano disattivati o inesistenti per mancanza di fondi (il museo spendeva in prevenzione poco più di 1.000 euro l’anno). La carenza di finanziamenti nasceva dallo spostamento della Capitale da Rio a Brasilia e dalla conseguente devoluzione di competenze dallo Stato federale alle amministrazioni locali e all’università, con incerta suddivisione delle responsabilità, calo del bilancio e allentamento di ogni sorveglianza e prevenzione.

L’incendio di Notre Dame a Parigi è a prima vista un caso diversissimo, dato che la Francia investe nel patrimonio culturale molto più non solo del Brasile ma dell’Italia. Eppure qualcosa in comune c’è: la difficoltà di accertare responsabilità precise, l’insufficiente prevenzione, i conflitti di competenza. L’abile risposta mediatica di Macron, che ha chiamato a raccolta i capitali privati per ricostruire Notre Dame in quattro e quattr’otto, “più bella di prima”, evidenzia il mito della velocità che sovrasta la necessaria lentezza di un restauro serio; ma anche la tendenziale abdicazione al ruolo delle istituzioni pubbliche nella custodia del patrimonio culturale. Era un privilegio, è diventato un peso.

Il potere distruttivo del fuoco si presta all’uso metaforico degli eventi di Rio e di Parigi come condensazione simbolica di uno strisciante ripudio della memoria storica. In Italia tale processo è favorito dalla doppia perdita di potere del governo nazionale: verso “l’alto” (l’Unione europea) e verso “il basso” (le autonomie regionali). La devoluzione di essenziali funzioni culturali (dalla scuola alla tutela del paesaggio) alle Regioni è tema attualissimo come cavallo di battaglia della Lega: ma non va dimenticato che, se è oggi possibile rivendicare l’autonomia regionale in questi ambiti, è in conseguenza della riforma costituzionale promossa nel 2001 dal centrosinistra. Forme di autonomia furono chieste dalla Toscana già nel 2003, dalla Lombardia e dal Veneto nel 2007, cioè da regioni governate da una coalizione politica diversa da quella del governo nazionale del momento. Il precedente è, oggi come ieri, l’autonomia della Sicilia nell’ambito dei beni culturali e del paesaggio, concessa nel 1975, con irresponsabile incoerenza, pochi mesi dopo l’istituzione del ministero dei Beni culturali. E le devoluzioni che sono dietro l’angolo non hanno nulla a che vedere con i diritti dei cittadini e la funzionalità delle istituzioni, ma puntano solo alla spartizione del potere.

Si sfarina e si disperde per tal via il patrimonio civile della Costituzione (art. 9), secondo cui “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Della Nazione: inteso dunque come inscindibile unità, e non terra di conquista per “governatori” di qualsivoglia partito e relative clientele. La memoria culturale, viva sostanza della storia e dell’identità del Paese, anima della cultura e dell’idea stessa di cittadinanza, rischia così di diventare – contro l’evidente segno unitario dell’art. 9 – materia frammentata di micro-conflittualità localistiche. Eppure l’articolo 9 della Costituzione fu proposto in Costituente da Concetto Marchesi e Aldo Moro precisamente come un argine alla temuta “raffica regionalistica” (così negli atti della Costituente, 30 aprile 1947). Le prospettate devoluzioni non sono che il cavallo di Troia di una brutale lottizzazione che, all’insegna della deregulation, minaccia la stessa unità nazionale. Una sorta di secessione strisciante di marca leghista. Possiamo solo sperare che questo progetto anti-costituzionale trovi nelle istituzioni, dal Quirinale al Parlamento alla Consulta, i necessari controveleni.

 

Il Fatto Quotidiano, 13 giugno 2019

Una conferenza nazionale per il ritiro dell’autonomia differenziata di Filippo Veltri di Filippo Veltri

Una conferenza nazionale per il ritiro dell’autonomia differenziata di Filippo Veltri di Filippo Veltri

 Finalmente qualcosa si muove nel mondo extra partiti sul fronte della secessione dei ricchi: l’Osservatorio del Sud si e’ infatti rivolto a tutte le associazioni di difesa dei diritti democratici, della scuola pubblica, della sanità, dei servizi pubblici per costruire insieme una Conferenza Nazionale per il ritiro dell’Autonomia differenziata in qualunque settore.

Il 26 maggio, appena conosciuti gli esiti delle elezioni europee, Salvini, senza perdere un solo momento, ha annunciato che il governo procederà ora velocemente con i suoi programmi, a partire dalla realizzazione dell’Autonomia differenziata. E’ necessario essere chiari, si legge nell’appello: dietro il nome “autonoma differenziata” si nasconde né più né meno la divisione del Paese. Le bozze di intese Stato-Regioni circolate e pubblicate nei mesi scorsi prevedono infatti che tutta una serie di materie che vanno dall’istruzione alla sanità, dall’ambiente alle infrastrutture, dal lavoro ai contratti, dalla ricerca scientifica ai beni culturali, dai servizi fino a giungere addirittura ai rapporti internazionali e con l’UE passino alle Regioni.

Il pericolo è dunque imminente, anche perché nelle settimane scorse l’autonomia differenziata è già stata inserita nel DPEF.  ‘’Noi che nei mesi scorsi ci siamo mobilitati a partire dalla scuola, considerando che essa costituisca un elemento essenziale per la difesa dell’unità della Repubblica, rilanciamo oggi l’appello – dicono all’Osservatorio – ai lavoratori di tutte le categorie, ai cittadini, alle associazioni, ai comitati, ai coordinamenti territoriali le cui battaglie verrebbero definitivamente vanificate dal provvedimento: non c’è un minuto da perdere, è necessario unirsi per smascherare l’operazione, trovarci, confrontarci, prendere iniziative concrete per mobilitare la popolazione e fermare il pericolo. L’autonomia differenziata liquida definitivamente – attraverso le 23 materie che saranno devolute alle regioni, materie nevralgiche per la nostra vita quotidiana – tutto ciò che è “pubblico”, cioè finalizzato all’interesse generale, destinato a diminuire le differenze tra ricchi e poveri: istruzione, sanità, ambiente, infrastrutture. Principi e diritti sociali previsti nella I^ parte della Costituzione di fatto vengono annullati. Ogni Regione farebbe da sé, con i propri fondi, trattenendo la maggior parte del proprio gettito fiscale. Ma se questo porterà subito a far sprofondare le Regioni del sud (alienate dalla perequazione e colpite dalla clausola che l’operazione dovrà essere portata avanti “senza oneri aggiuntivi” per lo Stato: a costo 0 si abbatteranno uguaglianza, solidarietà, democrazia e l’unità stessa della Repubblica), nondimeno colpirà i cittadini del nord’’.

Negli incontri e nelle assemblee di questi mesi un dato è infatti emerso in modo chiaro: tutti sarebbero colpiti attraverso la rimessa in causa dei contratti nazionali, dei servizi, dell’accesso agli stessi diritti. L’esempio di ciò che è avvenuto con la scuola in Trentino è emblematico: privatizzazioni, aumento dei carichi di lavoro, diminuzione dei posti, standardizzazione delle procedure, ingerenza nella didattica, a fronte di compensi aggiuntivi irrisori per i lavoratori. Per questo dalla scuola, attaccata potenzialmente dal provvedimento in ogni sua articolazione e prerogativa (dall’uguaglianza delle opportunità educative alla libertà d’insegnamento, dall’orario di lavoro al contratto nazionale) arriva questo appello: solo la mobilitazione unita potrà fermare i progetti del governo e delle Regioni che hanno presentato la richiesta di autonomia.

‘’Siamo certi – conclude l’appello – che la coscienza dell’importanza dell’unità della Repubblica sia viva in tutta la popolazione, in tutte le città e i comuni, fino ai più piccoli paesi o villaggi. Per questo oggi lanciamo a tutti una proposta precisa: mettiamoci in contatto per organizzare insieme, i tempi necessariamente rapidi, una Conferenza Nazionale per il ritiro di qualunque progetto di regionalizzazione nella scuola e in tutti gli altri settori, per il ritiro delle Intese già presentate dal Veneto, dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, per il ritiro dell’autonomia differenziata dal DPEF’’.

Sulla stessa linea si muove la CGIL nazionale: l’autonomia differenziata rischia di dividere l’Italia e di mettere in ginocchio il Mezzogiorno, che invece deve essere considerato una risorsa per il paese”. Cosi’ i segretari generali della Cgil delle regioni del Sud, che si sono incontrati in un’iniziativa organizzata a Lamezia Terme (Catanzaro) alla quale ha partecipato anche il segretario confederale della Cgil nazionale, Rossana Dettori .“Chiediamo che il governo non divida il Nord dal Sud perché – ha affermato la Dettori – solo l’unità del Paese ci può fare davvero uscire dalla crisi. Chiediamo maggiori investimenti sul Sud, chiediamo infrastrutture sociali ed economiche, materiali e immateriali, chiediamo il pieno diritto alla salute, all’istruzione e alla casa e all’occupazione stabile, chiediamo al ministro Salvini di tornare indietro sulla sospensione per due anni della norma degli appalti perché si rischia di alimentare infiltrazioni criminali e lavoro nero. Il 22 giugno a Reggio Calabria la nostra mobilitazione unitaria è tesa a dire con molta energia e a far capire al governo nazionale che il Sud è il motore del Paese: considerarlo una palla al piede è un gravissimo errore”.

 

Quotidiano del Sud

La battaglia più nobile: non toccate l’unità del Paese di Agazio Loiero

La battaglia più nobile: non toccate l’unità del Paese di Agazio Loiero

La politica possiede talvolta un tipo di fascino di cui in genere non si tiene conto se non a posteriori: l’imprevedibilità. Chi, solo qualche giorno fa, avrebbe potuto immaginare che di qui a poco si scatenerà un’ultima battaglia fra Salvini e Di Maio. Non tra chi dei due riuscirà a tenere in vita il governo, ma tra chi dei due lo farà cadere. Altro che cerino da lasciare in mano all’avversario, di cui si scrive da un anno. Salvini, non può più rinviare il tema dell’Autonomia differenziata, che Zaia gli pone con forza. In una recente intervista ad “affariItaliani.it” ha infatti affermato che “massimo il 21 giugno tale tema dovrà essere affrontato e approvato dal Consiglio dei ministri”. La data non è scelta caso. Ha una sua simbologia non banale. E’ quella in cui il Sole si trova alla massima altezza nell’emisfero nord e alla minima nell’emisfero sud. Il capo della Lega nelle manifestazioni pubbliche esibisce spesso il rosario, mandando su tutte le furie coloro che credono per davvero, ma, all’occorrenza in privato, non disdegna alternative astrali, paganeggianti. Negli ultimi mesi ha evitato di affrontare questo complesso nodo politico, un po’ per non confliggere con il M5S, un po’ perché consapevole che il successo di questa battaglia politica dovrebbe dividerlo con il presidente del Veneto, Zaia appunto, e con il poco amato ex presidente della Lombardia, Maroni, che hanno avuto l’idea di indire sul tema un costoso referendum consultivo. E lui, con il Sole in testa e il vento in poppa, il successo, non intende dividerlo ormai con nessuno. Il tema in questione rappresenta un problema enorme per il Paese, su cui il capitano svolazza senza posa, senza fermarsi mai. Il capo della Lega è l’uomo di governo che in quest’anno ha lambito il maggior numero di temi, non offrendo soluzioni, ma accendendo solo speranze, utili, come si è visto, al momento del voto. Tornando al filo conduttore, se le regioni ricche mettono le mani sul proprio gettito fiscale in una misura così ampia – si parla di una percentuale altissima – resterà poco o niente per i territori a minore capacità fiscale. Salterà quel fondo perequativo su cui a stento sopravvive oggi il Mezzogiorno. Come è noto, quella che pretende il Veneto è un’autonomia su 23 materie. Essa prelude di per sé al distacco della regione dalla madrepatria, come definivano l’Italia i nostri emigranti di un secolo fa. Ed è paradossale che a certificare l’addio dovrebbe essere una regione di indubitabili meriti imprenditoriali, ma che gode di un’occupazione di 7 punti superiore alla media italiana, di un tasso di disoccupazione tra i più bassi d’Italia, di una straordinaria vocazione all’export (460 mila imprese) e di un reddito medio annuo per famiglia di 39.000 euro. So bene che “la Repubblica una e indivisibile” dell’articolo 5 della nostra Costituzione – il lascito più alto del Risorgimento, più alto, per i patrioti dell’Ottocento, della stessa libertà – non interessa quasi più a nessuno nel nostro Paese. Neanche ai meridionali, che all’unità dovrebbero restare abbarbicati, come il naufrago alla zattera. Complici i social e il drammatico abbassamento del livello culturale del nostro Paese, anche loro hanno votato con generosità il capitano senza chiedere alcuna contropartita. Siamo certi però che su un tema tanto divisivo per gli italiani vigila il Presidente della Repubblica. E’ questa l’impressione diffusa tra molti nostri connazionali.

Veniamo adesso a Di Maio. Come si sa, il vicepremier del M5S è il vero perdente di queste elezioni. Se uno è capo del maggiore raggruppamento parlamentare e perde metà dei voti a favore dell’unico alleato di governo, la sua sconfitta è bruciante. Ma qui ritorna ad affacciarsi il fascino dell’imprevedibilità della politica. Di Maio ha arginato i sei milioni di voti persi nelle urne con i 44.849 voti ottenuti on line dalla macchina infernale di Davide Casaleggio. La sproporzione tra le due cifre dà la vertigine. Intanto però la magica piattaforma ha restituito a Di Maio, per via interna, il ruolo di capo. Da capo un po’ pesto il vicepremier del Movimento deve trovare un’impennata per conservare sul campo quello che purtroppo il campo in queste ultime elezioni gli ha impietosamente sottratto. Con il Salvini di questi giorni che comincia a dare ordini con piglio padronale all’intero governo, comportandosi non come uno che, avendo vinto e intendendo governare, attenua le asprezze del linguaggio, ma come uno che provocatoriamente le accentua, presto la tela di governo potrebbe lacerarsi. Per Di Maio sarebbe un disastro. Deve dunque trovare una causa nobile per giustificare uno strappo, prima che lo faccia lo stesso Salvini, evidentemente atterrito dalla manovra economica autunnale e da un’Europa giocoforza ostile. Il tempo è poco. Il solstizio d’estate è vicino. L’Autonomia, come ci siamo permessi di segnalare tempo fa su questo stesso giornale, è la più nobile della cause politiche su cui battersi fino a strappare il contratto. Si salverebbe l’unità del Paese e si costringerebbe il capitano a condurre su tale tema una battaglia aperta contro il Sud. Un atto di coraggio dunque di cui nei passaggi cruciali si avvalgono i leader, ma certe volte anche i capi, destinato a restaurare la biografia politica del vicepremier del M5S, oggi un po’ malconcia e a salvare l’Italia unita.

Il Quotidiano del Sud

Proposta di costruire insieme una Conferenza Nazionale per il ritiro dell’Autonomia differenziata in qualunque settore A tutte le associazioni di difesa dei diritti democratici, della scuola pubblica, della sanità, dei servizi pubblici

Proposta di costruire insieme una Conferenza Nazionale per il ritiro dell’Autonomia differenziata in qualunque settore A tutte le associazioni di difesa dei diritti democratici, della scuola pubblica, della sanità, dei servizi pubblici

A tutte le associazioni di difesa dei diritti democratici, della scuola pubblica, della sanità, dei servizi pubblici Proposta di costruire insieme una Conferenza Nazionale per il ritiro dell’Autonomia differenziata in qualunque settore Il 26 maggio, appena conosciuti gli esiti delle elezioni europee, Salvini, senza perdere un solo momento, ha annunciato che il governo procederà ora velocemente con i suoi programmi, a partire dalla realizzazione dell’Autonomia differenziata. E’ necessario essere chiari: dietro il nome “autonoma differenziata” si nasconde né più né meno la divisione del Paese. Le bozze di Intese Stato-Regioni circolate e pubblicate nei mesi scorsi prevedono infatti che tutta una serie di materie che vanno dall’istruzione alla sanità, dall’ambiente alle infrastrutture, dal lavoro ai contratti, dalla ricerca scientifica ai beni culturali, dai servizi fino a giungere addirittura ai rapporti internazionali e con l’UE passino alle Regioni. Il pericolo è imminente, anche perché nelle settimane scorse l’autonomia differenziata è già stata inserita nel DPEF. Noi che nei mesi scorsi ci siamo mobilitati a partire dalla scuola, considerando che essa costituisca un elemento essenziale per la difesa dell’unità della Repubblica, rilanciamo oggi l’appello ai lavoratori di tutte le categorie, ai cittadini, alle associazioni, ai comitati, ai coordinamenti territoriali le cui battaglie verrebbero definitivamente vanificate dal provvedimento: non c’è un minuto da perdere, è necessario unirsi per smascherare l’operazione, trovarci, confrontarci, prendere iniziative concrete per mobilitare la popolazione e fermare il pericolo. L’autonomia differenziata liquida definitivamente – attraverso le 23 materie che saranno devolute alle regioni, materie nevralgiche per la nostra vita quotidiana – tutto ciò che è “pubblico”, cioè finalizzato all’interesse generale, destinato a diminuire le differenze tra ricchi e poveri: istruzione, sanità, ambiente, infrastrutture. Principi e diritti sociali previsti nella I^ parte della Costituzione di fatto vengono annullati. Ogni Regione farebbe da sé, con i propri fondi, trattenendo la maggior parte del proprio gettito fiscale. Ma se questo porterà subito a far sprofondare le Regioni del sud (alienate dalla perequazione e colpite dalla clausola che l’operazione dovrà essere portata avanti “senza oneri aggiuntivi” per lo Stato: a costo 0 si abbatteranno uguaglianza, solidarietà, democrazia e l’unità stessa della Repubblica), nondimeno colpirà i cittadini del nord. Negli incontri e nelle assemblee che abbiamo organizzato in questi mesi un dato è infatti emerso in modo chiaro: tutti sarebbero colpiti attraverso la rimessa in causa dei contratti nazionali, dei servizi, dell’accesso agli stessi diritti. L’esempio di ciò che è avvenuto con la scuola in Trentino è emblematico: privatizzazioni, aumento dei carichi di lavoro, diminuzione dei posti, standardizzazione delle procedure, ingerenza nella didattica, a fronte di compensi aggiuntivi irrisori per i lavoratori. Per questo dalla scuola, attaccata potenzialmente dal provvedimento in ogni sua articolazione e prerogativa (dall’uguaglianza delle opportunità educative alla libertà d’insegnamento, dall’orario di lavoro al contratto nazionale) arriva questo appello: solo la mobilitazione unita potrà fermare i progetti del governo e delle Regioni che hanno presentato la richiesta di autonomia. Siamo certi che la coscienza dell’importanza dell’unità della Repubblica sia viva in tutta la popolazione, in tutte le città e i comuni, fino ai più piccoli paesi o villaggi. Per questo oggi lanciamo a tutti una proposta precisa: mettiamoci in contatto per organizzare insieme, i tempi necessariamente rapidi, una Conferenza Nazionale per il ritiro di qualunque progetto di regionalizzazione nella scuola e in tutti gli altri settori, per il ritiro delle Intese già presentate dal Veneto, dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, per il ritiro dell’autonomia differenziata dal DPEF.

 

Autoconvocati della scuola

Comitato 22 marzo per la difesa della scuola pubblica

Lip Scuola

Manifesto dei 500

Osservatorio del Sud

Officina dei Saperi

 

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