Guzzo e i cantoni dei Brettii: la Calabria tra Magna Grecia, Annibale e Roma di Battista Sangineto di Battista Sangineto

Guzzo e i cantoni dei Brettii: la Calabria tra Magna Grecia, Annibale e Roma di Battista Sangineto di Battista Sangineto

I Brettii, gli italici che hanno occupato la Calabria fra la metà del IV ed il II secolo a.C., non hanno mai goduto di una buona stampa. Già nel 1502, Ambrogio Calepino, nel suo Dictionum interpretamentafissava questa precocissima communis opinio sui Bruzi: “brutii dicti, quasi bruti et obscoeni sint…”. Un perfido equivoco, Bruzi/bruti, sul quale hanno giuocato per secoli i detrattori, tanti, dei calabresi e della Calabria. Si è così consolidato uno stereotipo che, passando dagli spagnoli (addirittura Cervantes e Lope de Vega) e dai viaggiatori stranieri di tutte le epoche, arriva fino al positivismo lombrosiano ed all’incapacità di cogliere, archeologicamente, le tracce materiali dei Brettii fino agli anni ’60 del secolo scorso quando ancora, nelle pubblicazioni scientifiche, erano solo popolazioni anelleniche. Ci sono voluti gli anni ‘80 per far attribuire esplicitamente, in un rapporto di scavo pubblicato da Pier Giovanni Guzzo e Silvana Luppino, alcune tombe ai Brettii.

Guzzo pubblica, ora, un libro importante –Storia e cultura dei Brettii edito da Rubbettino-destinato a lasciare una impronta durevole nella storia degli studi dei popoli italici, dei Brettii e, più in generale, della Magna Grecia.  Un libro nel quale sono raccolte ed interpretate le ricerche archeologiche sui Brettiidegli ultimi tre decenni e si avanzano nuove e affascinanti ipotesi riguardo all’origine, all’organizzazione statuale, militare, economica e sociale di questo popolo.

Le ipotesi più affascinanti e innovative avanzate dall’autore riguardano l’etnogenesi dei Brettii e l’estensione del loro territorio. L’autore ipotizza che la maggior parte di essi discenda dalle popolazioni indigene di tradizione protostorica delle quali abbiamo iscrizioni in alfabeto acheo ed in lingua paleo-italica, che occupavano quasi tutto il territorio dell’attuale Calabria. I Brettii, dunque, non sono schiavi o discendenti dei Lucani che avevano occupato solo la porzione settentrionale della regione, come gli antichisti avevano concordemente ritenuto finora, ma italici che avevano innervato, a partire almeno dal V a.C., il sostrato etnico autoctono degli Enotri. I Brettii avevano rivendicato la loro autonomia, alla metà del IV a.C., occupando tutta la Sila, denominazione che gli antichi estendevano a tutta la complessa articolazione montuosa della Calabria, fino all’Aspromonte. Diodoro Siculo ci dice che i Brettiiproclamano l’autonomia nel 356 a.C. che sembrerebbe, però, solo l’anno più importante e conclusivo di un più che secolare processo. I Brettii formano un insieme del quale non si riesce, ancora, a riconoscere l’istituzione di una vera e propria federazione, anche se ci è tramandata dalle fonti storiografiche. Sulla scorta delle fonti archeologiche Guzzo ipotizza che essi si siano organizzati per “cantoni” indipendenti il cui insediamento è stato favorito dalla complessa e variegata articolazione geomorfologica della Calabria che ha fornito “utili vocazioni o disposizioni o inclinazioni o inviti che dir si voglia” (Gambi 1960) nelle epoche precedenti e successive.

  Uno dei motivi che rendono questo libro appassionante è il modo sciolto e felice con il quale l’autore, sulla base dell’accuratissima lettura ed interpretazione delle fonti letterarie, dipana il complicato racconto dei due secoli della traiettoria storica dei Brettii. Ci racconta come i Brettii cerchino, da subito, di allargare il loro territorio attaccando le città di tradizione magnogreca e conquistandone il territorio. Lo fanno, prima, combattendo contro Alessandro il Molosso, poi, alleandosi ad Agatocle e, ancora dopo, combattendo quasi fino alla fine contro Pirro, ma dovendo, infine, cedere ai romani gran parte della Sila. L’autore ci guida, con piglio autorevole ma lieve, attraverso le vicende non sempre chiare che portano iBrettii -dopo la sconfitta di Pirro nel 272 a.C., tornante storico fondamentale per la Magna Grecia- ad allearsi, a volte, con Roma, ma, a volte, con i suoi nemici. Secondo Tito Livio, alla notizia della battaglia di Canne, combattutasi nel 216 a.C., tutti i Brettii, esclusi i petelini ed i cosentini, dall’alleanza forzata con Roma, passarono con Annibale. Le vicende della seconda guerra punica, svoltasi in gran parte nei territori calabresi, sono ingarbugliate perché segnate da frequenti e repentini capovolgimenti delle alleanze, soprattutto da parte dei Brettii. Questo comportamento altalenante è, infatti, uno degli elementi che fanno ipotizzare all’autore che essi non avevano una struttura politica federativa e che, di conseguenza, i rapporti fra romani e Brettii, anzi sarebbe meglio dire singoli cantoni brettii, sono stati differenziati e mutevoli. Con la definitiva sconfitta di Annibale nel 202 a.C., a Naraggara, i Brettii, che erano venuti alla luce della storia con azioni militari, cessano la loro esistenza come popolo proprio con la violenza. I romani, agli inizi del II a.C., deducono, nella regione che Augusto chiamerà Bruttii, quattro colonie, centuriano territori, costruiscono strade, ampliano i porti romanizzando pienamente la regione i cui abitanti di condizione libera, a seguito della lex Iulia de civitate del 90 a.C., diventano tutti cittadini romani.

Una complessa parabola storica consumatasi in pochi secoli, quella dei Brettii, ma che ora, grazie a Piero Guzzo, è stata riportata alla luce, pur conservando angoli problematici, ma, anche, meno adoperabile per inaccettabili rivendicazioni identitarie mitopoietiche o recriminazioni metastoriche antiromane.

 

Alias – Il Manifesto

28 luglio 2019

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