Se un fisico scrive alla politica indicando con garbo ciò che c’è da fare.-di Piero Bevilacqua
Per chi segue la letteratura sul riscaldamento climatico è difficile trarre interesse da qualche nuovo testo che non riveli clamorose novità. Tuttavia, pur essendo privo di notizie eclatanti, il saggio di Angelo Tartaglia, Il riscaldamento climatico. Lettera di un fisico alla politica, (Edizioni Gruppo Abele. pp. 97, euro 7,99) si legge d’un fiato. E per più ragioni.
A cominciare dalla tonalità media, cordiale, del ragionare – il saggio ha la forma di una missiva al presidente del Consiglio – per continuare con la nitidezza della scrittura, che non indulge nel tecnicismo o nell’ostentazione di oscure formule matematiche, per finire con la sua finalità politica di fondo: mostrare, smontando una a una tutte le retoriche correnti, che oggi nulla si sta facendo in Italia e nel mondo per contrastare l’avanzare del riscaldamento globale.
Tartaglia, non disdegna di spiegare al lettore anche le cose all’apparenza ovvie, ma che tali non sono, e che vanno chiarite, altrimenti non si comprende la gravità dei fenomeni. Il «problema – ricorda – non è il cambiamento in sé, ma la rapidità con cui avviene e di conseguenza la frequenza dei fenomeni “anomali” che lo accompagnano».
E infatti l’opinione corrente si ferma all’innalzamento della temperatura media – che peraltro si svolge in modo disuguale nelle varie aree del pianeta – mentre minacciosi sono gli effetti collaterali: scioglimento dei ghiacciai, incremento imprevedibile della temperatura dei mari, loro innalzamento e sommersione delle aree costiere, alternanza caotica di siccità e inondazioni, shock imprevedibili ad animali e piante.
L’AUTORE CHIARISCE SUBITO, in modo lapidario quale sia la causa di tutto: «Tutti noi siamo parte di un sistema socioeconomico globale che per funzionare ha un grande bisogno di energia. Oggi, l’81% di quell’energia (aggiungendo le biomasse arriviamo al 91%) è ottenuto mediante processi di combustione». Dunque non è questo o quell’eccesso di sfruttamento o di economia estrattiva a generare il mutamento in atto, ma l’intero assetto mondiale della produzione e del consumo. E questo è necessario stabilirlo, perché l’opinione pubblica non venga ingannata dal ceto politico con i soliti pannicelli caldi di qualche pannello solare in più.
Per non lasciare alcuno scampo ai minimalisti, Tartaglia ricorda anche quello che avviene in settori in cui all’apparenza sono meno rilevanti i processi di combustione, ad esempio in un ambito vitale dell’economia planetaria, l’agricoltura: «la nostra agricoltura impostata su un sistematico uso di fertilizzanti chimici porta a una progressiva riduzione del contenuto organico nel suolo e il carbonio che non resta nel terreno si ritrova nell’atmosfera.
Nelle grandi pianure americane lo spessore dello strato organico nel terreno si misurava, nell’800, in metri, oggi in centimetri. E qualcosa di simile avviene anche nella pianura padana». L’economia capitalistica brucia il patrimonio di biomasse accumulato in milioni di anni nel sottosuolo, altera il clima, ma libera anche CO2 dal suolo isterilendo lo strato da cui inizia la vita.
UN PREGIO DI QUESTO SAGGIO è l’intelligenza politica che sorregge ogni sua pagina e che lo rende particolarmente efficace. Non è solito trovare negli scritti degli scienziati (se è per questo anche degli storici, soprattutto italiani) il garbo, l’ironia, la costante attenzione alla comunicabilità del messaggio. Il tutto indirizzato a demolire uno dopo l’altro i pregiudizi e le menzogne con cui i poteri dominanti continuano a condurre l’economia globale. Tartaglia fa giustizia, con argomentazioni scientifiche, della superstizione secondo cui l’innovazione ci salverà.
I limiti invalicabili della natura non consentono facili scorciatoie. Allo stesso tempo chiede al presidente del Consiglio, per esempio, di fronte alla imponente campagna mondiale di trivellazioni da parte dell’ Eni, industria di stato, che contributo si dia al contenimento dei gas serra. Quando secondo gli scienziati occorrerebbe che l’80% dei carburanti fossili rimanesse nel sottosuolo per conseguire gli obiettivi.
Ma dalla critica di Tartaglia esce a pezzi uno dei miti della nostra classe dirigente, priva di ogni visione e creatività: le grandi opere, che appaiono, dati alla mano, grandi divoratori di energia. Senza dire che il consumo di suolo continua in Italia al ritmo di 2metri quadrati al secondo (51 km2 nel 2108)
IN VERITÀ, tutto continua come prima. Eppure molte cose potrebbero essere realizzate per invertire la tendenza. Tartaglia non è avaro di consigli. Ma la logica dominante è riparare, quel che si rompe, non prevenire. Così, se non li fermiamo, la festa continuerà, salvo parentesi pandemiche, fino alla catastrofe.
da “il Manifesto”, 12 maggio 2020