Tre mosse per aiutare gli studenti più in difficoltà.- di Domenico Cersosimo
La drammatica recessione economica indotta dall’emergenza sanitaria rischia di provocare un’ulteriore contrazione del sistema universitario nazionale. Le evidenze empiriche di lungo periodo mostrano un nesso causale robusto tra crisi economiche e tassi di accesso all’università, soprattutto per le classi sociali medio-basse e basse.
E’ già successo nella precedente grande recessione del 2008: nel quinquennio successivo, un decremento del passaggio dal diploma all’università di oltre otto punti nel Mezzogiorno, pari ad una riduzione assoluta di oltre 21mila immatricolati (+4.000 nel Centro-nord). Meno immatricolati e in prospettiva meno laureati prefigurano una Italia con minori opportunità per i singoli e minore benessere collettivo.
Per evitare che i diplomati delle famiglie economicamente e scolasticamente più fragili non continuino gli studi, occorre una didattica in presenza, il potenziamento dell’apprendimento e l’azzeramento delle tasse di iscrizione per gli immatricolati: sono tre “mosse” che potrebbero contrastare il declino della formazione terziaria.
Prima mossa: Tutte le aule dotate dei requisiti di sicurezza sanitaria dovrebbero essere destinate in primo luogo alla didattica in presenza per i nuovi iscritti. Lezioni universitarie in remoto per gli immatricolati significherebbe di fatto allungare di un anno la scuola secondaria, continuare ad aggrapparsi, per i fortunati, ai vantaggi di vivere in case e famiglie ricche di mezzi o, continuare a subire, per gli sfortunati, gli svantaggi di case e famiglie poco dotate. Le aule universitarie sono luoghi insostituibili di apprendimento critico, ma anche spazio della prossimità con la diversità, della cittadinanza matura. Il primo anno è predittivo della carriera universitaria, non può dunque che cominciare in presenza, per tutti i corsi, per tutti i giorni di lezione.
Seconda mossa: Nell’insieme i neodiplomati 2019-20 hanno subito danni gravi in termini di apprendimento scolastico, oltre che sotto il profilo della loro crescita sociale, emotiva e civile. Non pochi hanno subito penalizzazioni più forti perché residenti in aree non coperte dalla banda larga, perché appartenenti a famiglie povere senza wi-fi, perché più bisognosi di contatti ravvicinati con altri studenti per apprendere in modo adeguato.
Tutto ciò è più grave nel Mezzogiorno, dove le scuole sono meno attrezzate di spazi e tecnologie, i professori meno giovani, le “comunità educanti” meno diffuse. L’università non può attribuire le colpe al ciclo precedente di studi e disimpegnarsi da qualsiasi azione attiva mirante a colmare i deficit formativi accumulati in questi mesi di lezioni a distanza.
D’altro canto, le lacune in ingresso tendono a riprodursi nel corso degli studi universitari se non ad ampliarsi, e ad alimentare negli anni l’abbandono degli studi. Le università possono fare moltissimo per porre rimedio a questa perdita: corsi di potenziamento delle conoscenze di base (matematica, logica e comprensione del testo) prima e durante l’anno accademico; cicli di lezioni preregistrate propedeutiche all’ingresso in aula; tutoraggio e sostegno individuale; occasioni di formazione interdisciplinare nelle ore o nei giorni “vuoti” di attività didattica convenzionale; attività di sostegno allo studio tra pari, con studenti iscritti ad anni successivi al primo che affiancano le matricole.
Terza mossa: Zero tasse per gli immatricolati in atenei del Sud è in primo luogo una mossa simbolica: la manifestazione che lo stato attribuisce un’importanza assoluta alla formazione terziaria, ma anche la presa d’atto che il nostro paese ha un numero troppo basso di studenti che si iscrivono all’università e un altrettanto modesto numero di laureati. Con pochi laureati il paese non cresce, ristagna nell’equilibrio di bassa produttività, è condannato inesorabilmente a livelli di sviluppo sotto il potenziale.
Peraltro, zero tasse per gli immatricolati meridionali comporterebbe un impegno relativamente modesto in termini di spesa pubblica aggiuntiva, che, al netto della no tax area, ammonterebbe a poche decina di milioni, che potrebbero essere agevolmente attinti dai singoli Piani operativi regionali cofinanziati dall’Ue, e dunque senza perdita di gettito per le università. Tre mosse, attivanti, per incoraggiare,. Per garantire un ritorno ad una “nuova” normalità delle università meridionali, per accrescere le immatricolazioni nel Sud (e dunque in Italia), per lenire e possibilmente colmare le ferite formative dei neo-diplomati in questo terribile anno scolastico Covid-19.
da “il Manifesto”, 7 luglio 2020
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