Mese: novembre 2023

Assemblea di “Diritto alla città” a Cosenza.

Assemblea di “Diritto alla città” a Cosenza.

Sabato 18 novembre si è tenuta, nell’Aula magna dell’Istituto Nitti di Piazza Cappello a Cosenza, l’Assemblea pubblica organizzata dal Coordinamento “Diritto alla città” avente per tema la richiesta di “Vincolo paesaggistico” per la città otto-novecentesca avanzata dal suddetto Coordinamento al Ministero della Cultura. Il Coordinamento ha chiesto, per mezzo del “Vincolo paesaggistico”, di porre un argine all’ondata edilizia speculativa che si è abbattuta sulla città negli ultimi anni e mesi e che si manifesta non solo nella demolizione di edifici storici e di ricostruzioni con abnormi aumenti di volumetria, ma anche con l’edificazione ex novo di palazzoni nelle aree non ancora edificate soprattutto sulle rive del Crati.

Gli organizzatori dell’incontro hanno sottolineato che queste nuove colate di cemento non solo deturpano gli armonici quartieri storici del Centro cittadino e consumano il suolo nelle aree libere, ma sono del tutto ingiustificate, anche economicamente, visto che è documentato, dati Istat e Ispra, un continuo e deciso calo demografico nella città (a fronte di 6.402 edifici esistenti, 500 sono vuoti) e della Regione (1.243.643 alloggi di cui 482.736 vuoti).

Nel corso dell’Assemblea -molto affollata, attenta e partecipativa- è stata data lettura della risposta che il Direttore generale del MiC, dott. Luigi La Rocca, ha inviato, per conoscenza al Coordinamento e al Sindaco Franz Caruso, ma indirizzata al Segretario regionale calabrese e alla Soprintendenza Abap di Cosenza alla quale “…si chiede di voler fornire, con ogni consentita urgenza, elementi utili a verificare la portata delle trasformazioni in atto nell’area segnalata …. valutando la possibilità di estendere ulteriormente il dispositivo di tutela all’area segnalata, per la cui precisa individuazione si rimanda alla documentazione allegata dall’istante (il Coordinamento), anche in considerazione della sua vicinanza al corso del fiume Crati”.

Al Segretario regionale, invece, scrive che “si ritiene opportuno richiamare – più in generale oltre al caso de quo – l’intensa attività di interlocuzione condotta da questo Ministero nei confronti della Regione Calabria che ha condotto ad una serie di confronti tecnici, tesi a risolvere le pesanti criticità puntualmente individuate nella legge regionale 7 luglio 2022, n. 25 (Norme per la rigenerazione urbana e territoriale, la riqualificazione e il riuso), attraverso una revisione sostanziale del disegno normativo, condivisa tra Regione e Ministero, infine convogliata nella proposta di legge regionale n. 127/2022, depositata in Consiglio Regionale per l’esame di merito, ormai un anno fa, in data 17/11/2022.

Per tutto quanto sopra, ribadendo la necessità e l’urgenza che la corrente attività edilizia sia ricondotta, nella città di Cosenza come in tutta la Regione Calabria, entro un sistema di regole idonee a garantire l’equilibrato sviluppo del territorio ed il sostanziale rispetto dei valori storici-paesaggistici, si rinnova a codesto Segretariato regionale del MiC l’invito a fornire eventuali aggiornamenti sull’iter di approvazione della suddetta proposta di legge, intraprendendo, se necessario, formali contatti con i preposti uffici dell’ente regionale”.

Sulla base della risposta del MiC e, soprattutto, sulla base della spinta calorosa data al Coordinamento dai cittadini nel corso dell’Assemblea, si è proposto di organizzare una seconda Assemblea da tenersi nelle prossime settimane in preparazione di un confronto pubblico che si chiederà di avere con il Sindaco di Cosenza per discutere non solo del Vincolo –che, si auspica, vorrà apporre a brevissimo la Soprintendenza Abap di Cosenza-, ma anche, prima che sia approvato in via definitiva dal Consiglio Comunale, del Piano Strutturale Comunale (PSC), per suscitare una vera, democratica e franca discussione con gli unici portatori di interessi e di diritti: i cosentini.

Autonomia, manca la vera ribellione.-di Filippo Veltri

Autonomia, manca la vera ribellione.-di Filippo Veltri

Il percorso dell’autonomia differenziata del leghista Roberto Calderoli corre e nessuno protesta sul serio. Martedì scorso il testo il testo e’ arrivato nell’aula del Senato, dopo essere stato licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama.

Pietro Massimo Busetta ha lanciato un allarme ma i sordi e i ciechi continuano ad essere la maggioranza. Tutti sanno infatti che l’autonomia cosi’ voluta dal ministro leghista danneggera’ ulteriormente il Sud e in assenza di una crescita a due cifre la spesa storica rimarra’ invariata. La domanda che Busetta si e’ posta e’, dunque, scontata e naturale: se cosi’ e’ come mai non si ribella una realta’ che sia nel passato che oggi e’ penalizzata, dove non arriva manco piu’ il Giro d’ Italia ciclistico? Come mai il Sud non si ribella e anzi (sempre Busetta) continua a dare consenso e aiuti agli ascari locali che da Roma governano il Paese?

C’e’ davvero un punto politico irrisolto in questo assordante silenzio e in questo vuoto di iniziative continue (e non episodiche e marginali come purtroppo stiamo assistendo da mesi e anni). Riguarda destra e sinistra dello schieramento politico, ma ovviamente piu’ la sinistra non fosse altro che per la provenienza del DDL Calderoli, ora oggetto di scambio per il disegno della Meloni sul premierato. Invece unica voce forte delle ultime ore paradossalmente (ma poi non tanto) e’ stata quella del presidente di Forza Italia della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, il quale in un’intervista alla ‘Stampa’ di Torino nei giorni scorsi non ci e’ andato leggero. Anzi.

Leggete quello che ha detto: ‘’…il percorso che Calderoli propone per l’Autonomia differenziata non è quello che avevamo pattuito’’. Il ministro leghista vorrebbe prima approvare la legge sull’Autonomia, poi garantire le risorse per finanziare i Lep, ”ma è un approccio sbagliato. Le due cose devono viaggiare insieme, altrimenti – ha ancora detto il governatore azzurro, molto ascoltato a Roma e assai vicino al vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani – per il Sud l’Autonomia rischia di diventare una trappola”.

E ancora: “temo che il primo vagone del treno, quello con la legge sull’Autonomia, arrivi puntuale in stazione mentre gli altri vagoni, che contengono il finanziamento dei Lep e il meccanismo di perequazione, finiscano su un binario morto.
Senza il finanziamento dei Lep e senza il fondo perequativo (destinato ai territori con minore capacità fiscale pro-capite, ndr), i vantaggi per il Mezzogiorno sarebbero pochi. L’effetto finale, in altre parole, sarebbe quello di avere un aumento del divario tra Sud e Nord. Esattamente il contrario di quello che potremmo ottenere. Trovo quindi assurdo che per la possibilità dell’Autonomia si vada di corsa e ci sia un’attenzione spasmodica, mentre per ottemperare a due obblighi costituzionali non ci sia alcuna fretta.

Anche l’idea di permettere delle pre-intese è una fuga in avanti, se non sono finanziati i Lep. Questo modo di procedere non va bene a me e penso non vada bene nemmeno a Forza Italia. Credo di non parlare a titolo personale. I governatori del Sud hanno le mie stesse preoccupazioni. Anche il gruppo parlamentare ha molti deputati e senatori meridionali che come me non hanno pregiudizi verso l’Autonomia, ma vogliono garanzie sulle risorse per i servizi da fornire ai cittadini. Altrimenti la conclusione è chiara a tutti: l’Autonomia non sarebbe più un’opportunità per il Mezzogiorno’’.

Domanda finale: perché al di là degli schieramenti, delle cose dette e fatte in precedenza dallo stesso Occhiuto (pesa come un macigno il suo sì in Conferenza Stato Regioni al progetto Calderoli), dei posizionamenti tattici etc etc (si ha notizie di un tardivo anche in questo in caso ravvedimento del fratello di Occhiuto, il senatore Mario nella Commissione di Palazzo Madama) non si raccoglie, si amplia, si fortifica questo seppur tardivo grido d’allarme?

Se ci sono strumentalismi o giochini da politicanti si verificherà (al tavolo del poker, grande metafora della politica, si arriva fino in fondo e se e’ un bluff le carte bisogna svoltarle) ma intanto si prenda per buono quanto detto e si allarghi schieramento e lotta comune. Il resto e’ altrimenti solamente silenzio o grida nel deserto!

da “il Quotidiano del Sud” del 18 novembre 2023

Riforma costituzionale, progetto sgangherato e autoritario.-di Enzo Paolini e Felice Besostri

Riforma costituzionale, progetto sgangherato e autoritario.-di Enzo Paolini e Felice Besostri

Una proposta di riforma definita “light”, come se fosse un cocktail di mezza sera.
Soli cinque articoli per demolire l’impianto costituzionale costruito in maniera certosina, intelligente, lungimirante ed efficace e poggiato sui pesi e i contrappesi nella distribuzione del potere di un ordinamento seriamente ed effettivamente democratico.

Il primo cambiamento, il nucleo, quello più demagogico e distruttivo introduce l’elezione diretta del Presidente del Consiglio ed il premio di maggioranza per le liste ad esso collegate in modo da raggiungere “sulla base dei principi di rappresentatività e governabilità” il 55% dei seggi.

Così, senza soglie minime di votanti e/o di voti ottenuti. Semplicemente chi vince con un voto in più prende tutto.
La scrittura del DDL è costruita con l’uso di frasi demagogiche e terminologie atte a rassicurare il cittadino che, ovvio, vuole essere rappresentato e vuole governi politicamente seri.

Ma sono frasi di distrazione di masse perché a rifletterci anche solo un poco ci si accorge che non è così .
La prima osservazione è che i due termini – “rappresentatività”’ e “governabilità” – cosi come proposti nel DDL sono del tutto incoerenti e, per quanto riguarda il secondo – la asserita “governabilità” – anche pericoloso.
Come può essere rispettato il principio di rappresentatività se chi vince, poniamo con il 25% (cioè una maggioranza relativa), prende il 55% dei seggi delle Camere lasciando al restante 75% del corpo elettorale il residuo 45% da dividere tra tutti?

La “governabilità” poi è un concetto dannoso ; ed infatti non c’è nella Costituzione.-
E’ stato introdotto con subdola demagogia – e sublimato dalla “narrazione” berlusconrenziana – per giustificare il sistema elettorale dei nominati e dei premi di maggioranza a chi non è maggioranza per poter cantare stucchevolmente il ritornello suggestivo, dei vincitori che si devono sapere la sera delle elezioni, del chi vince prende tutto.-

Ma le elezioni non sono una partita di calcio da raccontare, con vincitori e vinti, la sera alla domenica sportiva
Le elezioni sono fatte per fotografare il paese e tradurre la rappresentanza proporzionalmente nelle aule parlamentari. Per organizzare la traduzione del consenso in leggi parlamentari la Costituzione prevede altri organismi: i partiti.-
Ma se i parlamentari non sono eletti in base al consenso bensì in base alla indicazione dei capi allora i partiti non hanno più motivo di esistere.

Ed infatti sono morti. Esistono liste fatte da cinque/sei persone che nominano tutto il Parlamento.
Il nostro sistema non è più fondato sul consenso, sul legame sociale tra elettore ed eletto quanto piuttosto sul rapporto fiduciario tra nominante e nominato.

Un rapporto tra pochi che restringe il campo del dialogo sociale e crea di fatto una oligarchia.
E provoca il fenomeno dell’astensionismo.
E’ quello che avviene oggi nel nostro Paese.

Dove una classe dirigente che tutti definiscono inadeguata ma che sarebbe più rispettoso definire semplicemente non legittimata propone la più sgangherata ed autoritaria delle riforme.-
Come una responsabilità del genere possa essere consentita ed anzi affidata a chi ha devastato il Paese con una legge elettorale che ci ha condotto sin qui e che nonostante i ripetuti moniti della Corte Costituzionale (e gli inutili gargarismi di tutti i politici a parole contro ma nei fatti a favore) non si riesce ad estirpare, è un fatto che appare incredibile ma ha una sua logica.

Un’ultima considerazione su un’affermazione che spesso si sente dire ma è sbagliata: “l’Europa ci chiede una Costituzione e una legge elettorale che diano stabilità e chi rema contro rappresenta la solita Italia dei gattopardi”. Chiariamo: l’Europa non ci chiede stabilità politica con leggi truffa. Ci chiede la stabilità fatta dal lavoro di mediazione, della ricerca del consenso, di ciò che unisce e non divide la maggior parte dei cittadini, un duro lavoro che si chiama, appunto, politica. Ed è l’Europa dei popoli. Il contrario di ciò che ha fatto e sta facendo questo ceto politico di destra o di sedicente sinistra.

Nel gergo dell’Europa delle multinazionali, nel mondo delle Casellati, stabilità invece vuol dire decisioni di pochi senza tante chiacchiere, senza leggi da discutere e da emendare, senza dover sentire le opinioni altrui, senza dover indicare e magari cambiare qualcosa. Chi vince la sera delle elezioni, anche se rappresenta una minoranza rispetto alla somma di tutti gli altri, prende tutto il cucuzzaro, e comanda. Non si deve impegnare a ricercare le alleanze, quelle che fanno poi la stabilità. No. Comanda uno e fine della storia.

Ma se governare non è comandare, se governare è convincere gli altri della giustezza delle proprie idee e delle proprie proposte, perché si ha paura delle idee diverse? Perché per poter avere la fiducia si devono attribuire per legge centinaia di seggi non corrispondenti alla volontà popolare? Questo è un segnale di debolezza e non di forza, e la storia insegna che i sistemi fondati sulla debolezza delle idee prima o poi si sostengono con la forza della dittatura. Non è un’esagerazione, perché se ci si riflette, con pacatezza e senza pregiudizi, ci si accorge che una maggioranza forzata – cioè attribuita per legge in favore di quella che, secondo le urne , è una minoranza – è una forma di dittatura. I “partiti unici”, sono nati così.

L’esatto contrario della democrazia, che prevede l’incontro tra le forze politiche per formare i governi DOPO le elezioni; dopo cioè, che si è verificato cosa, come e chi vogliono gli italiani.

Come recentemente ha detto Gustavo Zagrebelsky la parola “governabilità” è ambigua, parola impropria, sdrucciolevole che prevede arrendevolezza da parte dei “governati”. Le mandrie sono governabili. Ciò che si vuole con quella parola ingannatrice – continua il Presidente emerito della Corte Costituzionale – è rafforzare il potere “pastorale” con un rovesciamento del paradigma democratico: dalla legge come confluenza delle libertà sociali, operanti nel Parlamento rappresentativo, alla legge come imposizione decratata dal governo. Sono prospettive radicalmente diverse.

Una ultima notazione su una parte del DDL che passa inosservata perché viene proposta come un ulteriore salutare “dimagrimento” del numero dei parlamentari. Parlo del cosiddetto “superamento” del numero dei senatori a vita, ridotti ai soli ex Presidenti della Repubblica. Niente più nomine di personaggi che hanno illustrato il Paese nel campo sociale, culturale, artistico e scientifico.

Ma le intenzioni dei Costituenti non erano quelle di incrementare banalmente i laticlavi senatoriali con cinque persone ( peraltro di rilievo assoluto).

Era quello di elevare proprio il tasso di rappresentatività in maniera tale da far entrare in Parlamento un pezzo – di livello massimo – di società civile tale da poter influire – per quanto possibile – sul censo tutto politico.
Oggi si fa il contrario: è bene che la “casta” rimanga da sola, pochi, fedeli e tutti con gli stessi orizzonti e gli stessi interessi: il potere ed il mantenimento del potere.

Così non si avrà il fastidio di sentire, ad esempio un tal Norberto Bobbio il quale, appunto, da senatore a vita ebbe a dire: “meglio cinquanta governi in cinquanta anni che un solo governo per venti”.

da “il Quotidiano del Sud” del 15 novembre 2023.

Richiesta di vincolo paesaggistico per la città di Cosenza. Le adesioni all'iniziativa del 18 novembre 2023.

Richiesta di vincolo paesaggistico per la città di Cosenza. Le adesioni all'iniziativa del 18 novembre 2023.

I sottoscritti aderiscono all’iniziativa, di sabato 18 novembre 2023 a Cosenza, promossa dal Coordinamento delle Associazioni civiche “Diritto alla città” che chiede di apporre un vincolo paesaggistico alla porzione otto-novecentesca della città che ha, ormai, più di 100 anni e che riveste un notevole interesse pubblico di carattere urbanistico e architettonico -il quartiere fine ‘800-inizi ‘900 della Riforma, Corso Umberto, Viale Trieste e tutto l’armonioso quartiere degli anni ’30 del ‘900 che si sviluppa intorno a Piazza Cappello e Piazza XXV luglio- e anche alle rive destra e sinistra del Crati per ragioni ambientali e archeologiche perché nell’area del probabile tracciato dell’antica via consolare romana, ‘ab Regio ad Capuam’, detta Annia-Popilia.

I sottoscritti sostengono le azioni del Coordinamento che vuole ripensare la città e rinvigorire e rafforzare la consapevolezza che sono i cittadini gli unici titolari del diritto alla città. Cittadini che, insieme, devono avere il potere di dar forma ai processi di urbanizzazione, ai modi in cui le nostre città vengono costruite e ricostruite. Bisogna farlo perché, come scrive David Harvey (2016), il diritto alla città “… non può essere ridotto a un diritto individuale di accesso alle risorse concentrate nella città stessa … perché è un diritto collettivo più che soggettivo, in quanto, per cambiare la città, è necessario esercitare un potere collettivo sul processo di urbanizzazione”.

I sottoscritti, consapevoli della rapidità e della consistenza della speculazione edilizia che si è abbattuta sulla città di Cosenza negli ultimi anni, sostengono con forza la lotta intrapresa dal Coordinamento “Diritto alla città” che -come primo passo concreto per porre un argine alla cementificazione ed alla disarticolazione del tessuto urbano, sociale ed economico cosentino- chiede al Ministero della Cultura ed alla Soprintendenza Abap di Cosenza una “Dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136, Comma 1 Lett. C, D.L. n. 42/2004 e S.M.I.” per l’ambito territoriale descritto e delimitato dal suddetto Coordinamento e da noi sinteticamente sopra riportato.

Irene Berlingò, archeologa; Piero Bevilacqua, storico; Roberto Budini Gattai, urbanista; Pierluigi Caputo, archeologo; Ottavio Cavalcanti, antropologo; Domenico Cersosimo, economista; Mariafrancesca D’Agostino, sociologa; Amedeo di Maio, economista; Piero Guzzo, archeologo; Ferdinando Laghi, medico, ambientalista e consigliere regionale; Sergio Nucci, medico; Enzo Paolini, avvocato costituzionalista; Rita Paris, archeologa; Tonino Perna, economista; Battista Sangineto, archeologo; Salvatore Settis, archeologo; Enzo Scandurra, urbanista; Lucinia Speciale, storica dell’arte; Armando Taliano Grasso, archeologo; Vito Teti, antropologo; Alberto Ziparo, urbanista; Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, Roma; Osservatorio del Sud, Cosenza.

Italia-Albania: una lunga storia che passa per la Calabria.-di Tonino Perna

Italia-Albania: una lunga storia che passa per la Calabria.-di Tonino Perna

Il recente accordo tra il governo italiano e albanese, per la gestione di una quota di immigrati che arrivano sulle coste italiane, sta suscitando molte polemiche sia in Albania che in Italia perché i rispettivi parlamenti non sono stati coinvolti. Da parte italiana è nota l’incapacità di gestire i flussi migratori malgrado ci sia una crescente domanda di lavoro insoddisfatta: secondo Confindustria mancano all’appello circa 300mila posti di lavoro che si vanno a sommare alla carenza di manodopera stagionale in agricoltura e nel turismo.

Basterebbe organizzare veri corsi di formazione, in accordo con le aziende, per trasformare quello che viene sbandierata come una “emergenza” in una opportunità per il nostro paese, che fa registrare da anni un pesante e crescente deficit demografico. Sull’altra sponda, il presidente Rama ha accettato questo accordo con la nostra premier motivandola, in primo luogo, come riconoscenza all’Italia che ha accolto negli anni ’90 gli albanesi che fuggivano dalla miseria (91-96) e dalla guerra civile (1997).

Per la verità sulla qualità di questa accoglienza ci sarebbe qualche dubbio. Val la pena ricordare che gli “invasori”, così furono definiti nell’estate del ’91, furono stipati nello stadio del Bari come fossero prigionieri politici. Ma, soprattutto, il Venerdì Santo del 1997, esattamente il 28 marzo, in piena guerra civile, che causò la morte di oltre mila albanesi, il governo italiano decretò il blocco navale con conseguenze tragiche: la nave Kader y Radesh , carica di donne e bambini, fu affondata dalla corvetta Sibilla della Marina militare italiana causando più di cento morti.

Che il presidente Rama parli di riconoscenza per giustificare l’accordo con il governo italiano per trasferire sul territorio albanese 36.000 immigrati l’anno, suona un po’ strano. Non solo per quanto sopradetto, ma anche perché si può parlare di reciprocità se l’Albania accogliesse dei profughi italiani e non i flussi migratori che provengono da altri paesi. La reciprocità, la vera riconoscenza, tra una parte d’Italia e l’Albania si è verificata nel XV secolo e ha lasciato segni visibili e duraturi, come dimostra il legame che esiste ancora oggi tra gli albanesi di Calabria, detti arbereshe, e il Paese delle Aquile.

Quando l’impero ottomano invase l’Illiria, come si chiamava un tempo, gli albanesi che riuscirono ad attraversare l’Adriatico con mezzi di fortuna, sbarcarono sulle coste pugliesi e furono accolti, in migliaia, dal Re di Napoli, Alfonso V di Aragona, per l’appoggio militare ricevuto da Scanderberg, quando era stato in difficoltà, sia per la rivolta dei baroni, sia perché attaccato dai turchi sulle coste pugliesi.

Come mi ha spiegato un caro amico albanese, Ilir Ghedeshi, direttore di un Centro di Ricerche Economiche e Sociali, la vera posta in gioco che ha determinato la firma dell’accordo è l’entrata dell’Albania in Europa. Il Presidente Rama ha bisogno dell’appoggio italiano per vincere la resistenza del governo greco che da sempre osteggia questa opportunità che è molto cara agli albanesi. Non si capisce, infatti, perché siano entrati altri paesi dell’est europeo che in passato erano in condizioni economiche e giuridiche messe peggio dell’Albania.

Un paese che ha mantenuto una stabilità monetaria anche quando altre valute fuori dall’euro crollavano, un paese dove vivono circa ventimila italiani , centinaia di imprenditori, che ha una forte integrazione economica con l’Italia nel settore dell’abbigliamento e delle calzature, che ha fatto registrare negli ultimi anni un vero e proprio boom turistico. Insomma, non si capisce perché Bruxelles rimandi continuamente la data dell’entrata dell’Albania nella Ue. Adesso sembra che anche il 2030, che era stato fissato per ufficializzare questo passaggio, possa saltare.

Al di là di questo poco presentabile accordo, l’impegno italiano per l’entrata dell’Albania nella Ue è un atto dovuto. Lo chiedono i 242.000 cittadini albanesi che hanno ottenuto la cittadinanza italiana, gli altri centocinquantamila regolarmente soggiornanti nel nostro paese, brillantemente inseriti nel nostro tessuto economico, sociale e culturale. E, a mio modesto avviso, dovrebbe chiederlo anche la Regione Calabria per i forti legami che ha con questo popolo, come testimonia fra l’altro la recente visita in Calabria del presidente albanese Bajram Begaj e il suo caloroso incontro con il presidente Occhiuto. La Regione non ha questi poteri ma una iniziativa in tal senso avrebbe un valore simbolico e politico da non sottovalutare.

L’integrazione europea dell’Albania è già avvenuta attraverso il nostro paese, si tratta di avere un po’ di coraggio e diplomazia per convincere il governo greco a togliere il veto, legato a storiche, e superabili, rivendicazioni territoriali.

da “il Quotidiano del Sud” del 12 novembre 2023

La Calabria ruminante e passiva.-di Filippo Veltri

La Calabria ruminante e passiva.-di Filippo Veltri

Ho aspettato un po’, forse troppo, per scrivere di una cosa che avevo
ascoltato in diretta sin dai primi d’agosto e che poi ho, più o meno
ritrovato identica ma su pagina scritta alcune settimane dopo: parlo
della pensata di Mimmo Cersosimo, docente dell’Unical (e non solo)
sulla Calabria.

Ho atteso perché mi sembrava (ed ancora oggi in parte mi sembra)
un quadro dipinto a tinte fosche, forse troppo fosche, con le tante
maglie nere collezionate dalla Calabria ma che poi alla fine disegna
uno sviluppo possibile.

I guai della sanità, il tasso di disoccupazione, i giovani che scelgono
di vivere e lavorare lontano dalla loro terra, la pressione della
criminalità organizzata. Una societa’ definita da
Cersosimo «ruminante, adattiva, ma soggetta ad una
modernizzazione passiva». In una parola «estrema».

Andiamo a rileggere il saggio scritto per il Mulino “Calabria, l’Italia
estrema“: Cersosimo si sofferma sui mali di una regione «dove la
somma delle patologie nazionali si raccolgono». E poi ci sono i soliti
stereotipi. La ‘ndrangheta genera altra ‘ndrangheta? «C’è una
narrazione negativa sulla Calabria: terra degli ultimi, maledetta, di
‘ndrangheta, di scansa fatiche, di illegalità, di evasione fiscale. Siamo
entrati in un meccanismo perverso dove se evadi quasi quasi ti
seguo, se tendi a sopraffare le idee altrui lo fanno anche gli altri,
quindi lo stereotipo alimenta lo stereotipo e alcune volte quando
succede la realtà si avvicina molto allo stereotipo».
Chi è, o chi sono, i colpevoli di questo inesorabile declino? «Le colpe
sono tante, soprattutto di alcune politiche. 

Il liberismo ha mortificato
e marginalizzato le aree più lontane dal centro», dice Cersosimo che
poi ammette: «anche i calabresi hanno le loro colpe, in qualche modo
si sono assuefatti adattandosi a questo status quo, c’è una sorta di
convenienza al non sviluppo, una convenienza sociale diffusa». Cosa
si può fare? «Si potrebbe fare molto, è difficile che le forze interne
riescano a risolvere e superare il problema. C’è bisogno di un
destabilizzatore esterno.Qualcuno che ha interesse a rompere questo
equilibrio, ad interrompere il sottosviluppo ma non siamo noi, deve
essere qualcuno esterno».

Ad esempio? Forse lo Stato o l’Europa, sicuramente noi non ce la
facciamo da soli». Magari gli studenti dell’Unical e delle altre
Università calabresi. «Da soli non ce la fanno, molti vanno via. I
migliori spesso tendono ad andare via, quindi c’è una sorta di exit, c’è
l’abbandono e molte energie sane – quelle che potrebbero contribuire
al cambiamento – mollano la Calabria e svanisce qualsiasi possibilità
di cambiare le cose».

La Calabria è dunque perduta? È destinata a
svuotarsi come indicano le proiezioni statistiche? Resterà lontana e
impenetrabile, nonostante la sua bellezza variopinta, che Leonida
Repaci descrisse a futura memoria? Continueremo, noi che ci
abitiamo, a ignorarne i dati e fatti crudi, a esorcizzarli, per esempio,
con il ricordo stucchevole e inattuale dell’antica scuola
pitagorica? Per quanto tempo potremo ancora sottovalutare le
storture e le risorse in ombra di questa regione? A chi gioverà
nascondere le nostre colpe, in perpetua malafede, dietro al mostro, al
mito della ’ndrangheta? Sono domande in cerca di risposte.

Alcune settimane fa di tutto ciò se ne è poi parlato all’Unical,
all’interno di un seminario proprio sul saggio di Cersosimo e
l’economista è andato ancora più giù: la Calabria ha un disperato
bisogno di «liberarsi dalle edulcorazioni retoriche: la tipicità senza
tipico, i borghi senza comunità, i paesi appesi sul mare senza acqua
nei rubinetti delle case, l’accoglienza senza ospedali umanizzati».
Conclusione: Cersosimo ha ragione nel quadro d’assieme.

Pessimista? Semplicemente realista? Ma il punto é ragionare su
come fare: dove può andare la Calabria con tali limitazioni? Non è
giunto il momento di dirci la verità, di svecchiare ad esempio – tanto
per dirne una – i reparti amministrativi, di reclutare risorse giovani, che
sono il leitmotiv di tanta retorica politica? Non c’è bisogno, nel settore
amministrativo pubblico della Calabria, nei Comuni e altrove, di
formazione adeguata ai tempi e di una capillare verifica dei risultati?
Cambierebbero le cose? Forse ma e’ l’unica strada.

Il resto sta nei calabresi stessi, se sapranno mettere in rete le cose
buone e respingere quelle cattive. Una botta di vitalita’ in un mare di
guai e’ quello che ci vorrebbe.

da “il Quotidiano del Sud” dell’11 novembre 2023.
Foto: Salvatore Piermarini.

Cosenza. Richiesta di vincolo paesaggistico al Mic- di “Diritto alla città”

Cosenza. Richiesta di vincolo paesaggistico al Mic- di “Diritto alla città”

La città di Cosenza ed il suo paesaggio sono sotto assalto da molto tempo, ma negli ultimi mesi ed anni l’attacco si è fatto più duro, forse è quello finale, quello all’ultimo metro cubo di cemento armato. Un assalto che è rivolto sia alla città antica, a monte, sia alla città otto-novecentesca, a valle. E se il Centro storico è, in teoria, ‘protetto’ da un vincolo diretto con il D.M. del 15.07.1969, poi ampliato a tutte le colline circonvicine nel 1992, la città fine ‘800-primi del ‘900 è priva, se si escludono limitate porzioni confinanti con il Centro storico, di questa dovuta tutela da parte del Ministero della Cultura.

La speculazione edilizia ha iniziato ad aggredire le aree più nobili dei quartieri vallivi con abbattimenti di edifici centenari e ricostruzioni di orribili, enormi e altissimi palazzi di cemento armato che occupano più di 2 o 3 volte la cubatura precedente, in particolare nei quartieri di Via Rivocati e di Piazza Santa Teresa.

L’attacco finale è stato, dunque, sferrato in primo luogo contro i titolari del diritto alla città: i cittadini. Noi cittadini delle Associazioni civiche cosentine-Associazione Riforma-Rivocati APS, Ri-ForMap APS, Ciroma, Civica Amica, ResponsabItaly APS, Comitato Piazza Piccola- costituitici in un Coordinamento denominato Diritto alla città abbiamo deciso di smetterla di subire. Reclamiamo il diritto alla città, rivendichiamo il potere di dar forma ai processi di urbanizzazione, ai modi in cui le nostre città vengono costruite e ricostruite, e iniziamo rivendicare il potere di farlo in maniera radicale.

Il Coordinamento delle Associazioni si oppone alle devastazioni del paesaggio urbano e periurbano e si oppone all’esproprio dei diritti costituzionali e civici dei cosentini. Il Coordinamento delle Associazioni civiche cosentine Diritto alla città ha deciso di iniziare a rivendicare il ‘Diritto alla città’ dei cosentini ha chiesto, con urgenza, al Mic ed alla Soprintendenza Abap di Cosenza, organo periferico del suddetto Ministero, la rapida pubblicazione, prima, e la celere approvazione, poi, di una DICHIARAZIONE DI NOTEVOLE INTERESSE PUBBLICO ai sensi dell’ART. 136, C. 1 LETT. C, D. L. N. 42/2004 e S.M.I., per l’Ambito territoriale di seguito descritto (vedi cartina allegata).

L’area è stata – per motivazioni storiche, architettoniche, urbanistiche, ambientali e archeologiche- delimitata dai sottoscritti così come di seguito descritto.
Ad Ovest, partendo dal perimetro del vincolo paesaggistico esistente di cui al D.L. del 1969, raggiunge viale della Repubblica, comprende il settore di Via Misasi e scende lungo la Via Arabia fino a comprendere le vie Cattaneo, Mazzini e Marini. Da tale ambito sale a Nord lungo la direttrice di via XXIV Maggio- via Medaglie d’Oro, si raccorda al viale Mancini fino a raggiungere il confine con il Comune di Rende.

Da tale limite comunale scende lungo la riva sinistra del Crati fino a raccordarsi con l’area della vecchia Stazione Ferroviaria e giungere al ponte Alarico a Sud, collegandosi all’area già precedentemente vincolata dal suddetto D.L. del 1969, relativa al settore in sinistra del fiume Crati. Il citato D.M. del 15.07.1969, la cui estensione lungo il lato Est, settore in destra del fiume Crati, interessa le colline presilane, breve tratto della strada statale silana per Aprigliano, lo sviluppo della strada vicinale di Serra Caruso, il tratto del fiume Crati sino alla sua confluenza con il torrente Ispice, i limiti comunali dei Comuni di Rovito e Zumpano fino alla confluenza del canale Cannuzzo col Crati per raccordarsi al ponte di Alarico.

La nostra proposta di vincolo paesaggistico -le cui motivazioni dettagliamo di seguito- completa, pertanto, i contenuti del vincolo paesaggistico già in vigore, contribuendo significativamente alla salvaguardia delle aree oggetto di interventi così da esaltarne il significato e il valore.

DESCRIZIONE E MOTIVAZIONI STORICHE, ARCHITETTONICHE, URBANISTICHE,
ARCHEOLOGICHE E AMBIENTALI DELLA RICHIESTA DI VINCOLO

L’area sita nel comune di Cosenza, posta nell’area valliva compresa tra i due fiumi e in continuità espansiva con l’abitato storico, già sottoposto a tutela ambientale e paesaggistica ai sensi della legge 29.06.1939 n°1497 con decreto ministeriale 15.07.1969, costituisce l’insediamento lungo le rive dei fiume Crati e Busento, completando la composizione urbana, già dotata di impianti pubblici di notevole interesse monumentale, con palazzi privati che riflettono le visioni urbanistiche e architettoniche di sviluppo nella prima metà del Novecento. In tale contesto la città di Cosenza completa, nel periodo indicato, la definizione del processo insediativo urbano portato poi avanti a partire dagli anni ’60 del XX sec.

L’espansione era storicamente presente nel quartiere suburbano dei Rivocati, già in età romana. Insediamento consolidato in età medievale con funzione mercantile (Fiera della Maddalena – 15 al 30 luglio e la fiera dell’Annunciata dal 1551, con il 25 marzo di ogni anno, nella grande spianata del Carmine.
Presenti l’impianto della Riforma, ubicato in corrispondenza dell’altura dominante e derivante da impianti religiosi del XIII sec. e dei Domenicani, dal XV sec.

Tali strutture costituiscono la conferma dei nuovi indirizzi di sviluppo, legati al processo economico di trasformazione ed evoluzione dell’abitato lungo la valle del Crati.

L’asse principale risultava sempre quello costituito dalla via Consolare romana Annia-Popilia con il polo della Riforma, nel quale convergevano gli insediamenti del sistema collinare pedemontano dell’Appennino tirrenico. Era presente un sistema di fondaci nel rione Rivocati-Carmine, posti nel settore Nord appena oltre il Busento.

La presenza della popolazione nella seconda metà del XIII secolo si attestava intorno alle 3.000 unità fino alla metà del XV secolo, con incremento dal 1550 con 7.000 unità circa, sotto il dominio spagnolo, fino a registrare un incremento di circa 10.000 abitanti alla fine del secolo, mantenutosi stabile fino alla fine del ‘700. Gli incrementi demografici si osservano nel primo quarto dell’800, fino a raggiungere il numero di 13.700 nel 1853 e 16.000 con l’Unità d’Italia nel 1861 e oltre 19.000 presenze alla fine del secolo.

Le esigenze della popolazione portarono all’avvio delle opere per il rifacimento dei condotti delle acque nere e potabili, la necessità di dotarsi di strutture pubbliche per le abitazioni e gli uffici e la costruzione di servizi di uso pubblico derivanti anche dalla sistemazione degli alvei fluviali e arginature dei fiumi.

Nella seconda metà dell’800, pertanto, l’edificazione si avvia lungo la direttrice Rivocati- Riforma e in direzione Carmine (via Sertorio Quattromani), su cui si affacciava l’Ospedale Civile (XV sec.). Pertanto in tale contesto dalla fine del XIX sec. si é proceduto all’edificazione degli spazi tra l’ex convento del Carmine e i pochi edifici presenti lungo la via Provinciale (corso Mazzini), fino a giungere alla Riforma a Ovest e la via XXIV Maggio lungo la direttrice Nord della riva sinistra del fiume Crati.

Con il Piano di ampliamento comunale del 1887, predisposto dal Comune, si avvia anche la ristrutturazione dei predetti rioni Carmine e Rivocati, con l’ampliamento delle aree a Ovest e parzialmente a Nord, condotti a termine successivamente nel primo quarto del ‘900. Quartieri già attivi sin dall’età romana con funzioni mercantili, nundinae, e idonei a contribuire allo sviluppo urbano per il costante sviluppo economico, oltre che demografico.
La nuova area urbana, impostata su una viabilità a maglie regolari ortogonali, di probabile derivazione agrimensoria romana, si spinge a valle fino all’attuale Via Piave, con sviluppo lungo il lato Ovest a includere i settori della Riforma e l’attuale via Riccardo Misasi.

Iniziative continuate col Piano di Ampliamento del 1910-1912, tramite il quale si realizzano i progetti di sviluppo ed espansione dell’abitato, mediante la ristrutturazione urbanistica a fini insediativi del rione Rivocati, la costruzione di strutture pubbliche lungo il Busento e il riordino del quartiere Carmine – Annunziata.
Interventi completati nel primo quarto del ‘900 e integrati col piano del 1936, con estensione lungo il settore Nord, oltre alla formazione di piazze urbane di riferimento come direttrici di sviluppo: Piazza Francesco Crispi, Piazza Giovanni Amendola, Piazza Paolo Cappello a monte e Piazza Municipio, Piazza XI Settembre a valle, lungo la direttrice del Corso Mazzini.

L’edilizia privata riporta la composizione formale di estrazione classica rivisitata con gli apparati prospettici ancora visibili lungo il Corso Umberto, Via Trieste, Viale della Repubblica, Via Riccardo Misasi e il già citato Corso Giuseppe Mazzini. Altrettanto individuabili gli interventi privati, all’interno di tale vasto settore, con le direttrici parallele al Corso Mazzini, quali Via San Michele, Via Monte Grappa, Via Monte Santo e le traverse laterali Via Piave, Via Isonzo e Via Brenta; comprendente anche la scala interna di collegamento, proposta per ridurre la consistente differenza di quota (Scala dei due leoni), oltre alla realizzazione di edifici di interesse pubblico tra il Rione Michele Bianchi e la nuova direttrice di Viale degli Alimena.

Interventi, questi ultimi consolidatisi negli anni ’30 del XX sec., con la preliminare dotazione di servizi e completati poi nel secondo dopoguerra. In tali ambiti l’architettura varia tra visioni ottocentesche di cultura essenzialmente classica e rivisitazioni interpretative, intercalate da proiezioni moderniste di stile avanzato, che costituiscono un patrimonio urbanistico e compositivo dotati di interessante personalità, indicativa di un processo di sviluppo da salvaguardare per la complessa e notevole particolarità urbana unita alle espressioni architettoniche.

Pertanto, in tale contesto, l’area si configura come una necessaria palese estensione del centro storico di Cosenza, conservando nel tempo una sostanziale permanenza della evoluzione morfologica urbana, già presente nell’insediamento antico. A tal proposito si evidenzia che tutta l’area della riva sinistra del fiume Crati possa essere interessata da rinvenimenti archeologici perché, come dimostrato dal recentissimo ritrovamento di sepolture di epoca romana nei pressi del rondò sulla Via Popilia subito a nord del Centro commerciale. È molto probabile che in quella area, dal Centro storico verso nord, vi passasse la Via Annia-Popilia (Via ab Regio ad Capuam) costruita nella seconda metà del II secolo a.C.

Avendo le indagini archeologiche dimostrato che lungo le strade romane, soprattutto nei pressi dei centri abitati, sorgevano necropoli, colombari, steli, monumenti funebri e mausolei è del tutto necessario tutelare, rendendola inedificabile, tutta l’area che va dalla riva sinistra del Crati fino alla linea degli edifici già costruiti per arrivare fino al confine comunale a Nord.

RINVENIMENTI ARCHEOLOGICI NEL COMUNE DI COSENZA

Nel complesso il sistema edilizio appare ancora in parte conservato, seppur condizionato in termini episodici da interventi di trasformazione che ne hanno modificato la percezione compositiva.
In ragione di tale potenzialità, la tutela di tale contesto urbano discende dalla necessità di evitare attività di sostituzioni dell’edilizia privata esistente, con contenitori urbani di dimensioni consistenti, già in atto nell’area individuata e al di fuori della logica conservativa del modello di sviluppo avvenuto nel corso di un lungo processo storico insediativo, al fine di non modificare e trasformarne le qualità sostanziali.

Trattasi di ambiti e tessuti edilizi che hanno contribuito a caratterizzare lo sviluppo della città, per i quali necessita un percorso di riqualificazione edilizia in grado di esaltarne i valori, al di fuori di visioni sostitutive da considerare totalmente inidonee.

Pertanto, la perimetrazione di tali ambiti costituisce una palese continuità dell’area già sottoposta a tutela paesaggistica. Tenuto conto che il vincolo comporta, in particolare, l’obbligo da parte del proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile ricadente in tale settore, di presentare ai competenti organi istituzionali per la preventiva approvazione, qualunque progetto di opere che possano modificare l’aspetto esteriore della composizione urbana e architettonica del contesto.

Tale condizione discende dal riconoscimento che la zona predetta ha notevole interesse pubblico perché essa ha come fulcro i quartieri di edificazione realizzati dalla fine dell’Ottocento fino agli anni ’40 del XX sec., a completamento del processo di evoluzione insediativa avviato dopo le arginature dei fiumi e in estensione delle direttrici storiche originarie sin dal XIII secolo.

AMBITO DELLA DICHIARAZIONE DI NOTEVOLE INTERESSE PUBBLICO,
ART. 136, C 1 LETT. C, DECRETO LEGISLATIVO N. 42/2004 E S.M.I.

Tale zona, che amplia e completa le località e gli ambiti già sottoposti a tutela ambientale e paesaggistica, ex lege 29.06.1939 n°1497, D.M. 15.07.1969 G.U. n°208 del 14.08.1969, è delimitata nel modo seguente:
Cominciando da Est ha come limite il fiume Crati in direttrice Nord. In corrispondenza della traversa di Via Cesare Marini risale su Corso Mazzini, fino all’innesto con Via Ambrogio Arabia, sulla quale ultima si inserisce fino a raggiungere la chiesa di Santa Teresa che viene lambita lungo il lato Sud, con risalita fino alla soprastante via Roma.
Da tale arteria, che percorre in direzione Nord, raggiunge Via Carlo Cattaneo e, circuendo il parco “Emilio Morrone”, risale lungo il settore Ovest fino a raccordarsi con il Viale della Repubblica.

Da tale arteria principale ritorna in direzione Sud fino a includere, con limitata area, le case popolari per Mutilati e Invalidi di guerra del 1931, per ritornare sulla medesima direttrice verso Sud fino all’incrocio con la Via Domenico Migliori. Indi, da tale confine continua lungo la SS.19 delle Calabrie – SP 241, fino all’incrocio con la Via Francesco Principe. Da tale ultima strada discende in direzione Est raccordandosi interamente al perimetro dell’area già sottoposta a tutela paesaggistica con il citato Decreto ministeriale 15.07.1969.

Relativamente al settore in Sx Crati, il perimetro interessato dalla definizione del completamento di tutela paesaggistica, per i motivi esposti, perimetra il tratto stradale del Ponte Alarico fino all’ex Stazione Ferroviaria, ora dismessa, prolungandosi lungo il lato sinistro del “Centro i Due Fiumi” fino a raggiungere Via XXIV Maggio. Prosegue lungo tale arteria in continuazione su Via Medaglie d’Oro fino all’incrocio con via Adolfo Quintieri. Da tale traversa scende fino a raggiungere Viale Giacomo Mancini proseguendo in direzione Nord fino all’intersezione del tondo con allineamento alla Via Caduti di Razzà, al confine col Comune di Rende, per continuare lungo la direttrice di Viale Crati.

Il perimetro lascia Viale Crati in corrispondenza della Via Pietro Nenni, per continuare parallelamente, e in aderenza al tratto ferroviario della linea Cosenza-Giovanni in Fiore, fino a connettersi alla Via Catanzaro, quest’ultima posizionata in intersezione con il perimetro sopra riportato. Detto perimetro contiene edifici privati, altri a destinazione sociale (case popolari), infrastrutture collettive e gli impianti pubblici riportati, la cui edificazione spazia dalla fine dell’Ottocento a metà circa del Novecento.

In sintesi, con questa proposta, si ampliano i limiti del predetto decreto dell’anno 1969, completandone e estendendone l’area di tutela e salvaguardia. All’interno di tale area si trovano edifici monumentali di interesse pubblico, costruiti a partire del primo quarto del XX sec. e completati anche nel secondo dopoguerra, in alcuni dei quali hanno prestato opera di progettazione architetti di fama nazionale quali Giovanni Battista Milani, Giorgio Calza Bini, Mario de Renzi, Vittorio Ballio Morpurgo.

La perimetrazione dell’insediamento della “città nuova” a completamento dell’abitato di Cosenza, unita al suo intorno paesaggistico, è soggetto a conservazione integrale. In essa è vietata la realizzazione di interventi, anche puntuali, che comportino il rischio di alterarne i caratteri d’identità paesistica e di continuità percettiva.

BENI IMMOBILI SOGGETTI A TUTELA MONUMENTALE

Beni immobili da tutelare

Sulla base di quanto scritto finora occorre, dunque, la conservazione integrale del sistema urbano (all’interno del perimetro in rosso della cartina in calce si evidenziano le principali emergenze monumentali e architettoniche).
I nuovi interventi edilizi non devono costituire, per forma e per volume, barriere alle visuali verso i principali elementi del sistema urbano e architettonico esistente. Conseguentemente, gli interventi di trasformazione previsti all’interno degli strumenti urbanistici e relativi piani attuativi devono prevedere assetti e composizioni formali tali da rispettare e salvaguardare le visuali compositive e architettoniche finalizzate alla conservazione dei valori esistenti.

Nelle aree ad elevato valore percettivo, deve essere mantenuta la coerenza architettonica degli interventi con il contesto, con esclusione delle opere e degli interventi in grado di alterare gli aspetti qualitativi e formali dell’apparato urbano esistente.

Sul patrimonio edilizio esistente sono ammessi gli interventi di rifacimento e riuso tali da privilegiare dal punto di vista formale l’attuale assetto compositivo, con l’eventuale impiego di materiali naturali e a basso impatto ambientale.
Sono ammessi esclusivamente gli interventi edilizi tendenti alla conservazione, alla manutenzione ed al riutilizzo, anche diverso dalla funzione originaria, con esclusione comunque delle opere di snaturamento dell’apparato formale e compositivo esistente.

Eventuali sistemazioni complementari degli spazi liberi dovranno essere concepiti in modo da non ostacolare la visibilità e l’assetto esistente, al pari del verde esistente. Il tutto nel rispetto delle visuali di fruizione proprie dei luoghi.

Coordinamento delle Associazioni civiche cosentine “Diritto alla città”

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

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E. Galli, Per la Sibaritide, studio topografico e storico con la pianta archeologica di Cosenza, Ristampa dell’opuscolo del 1907, Cosenza s.d.
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A. Battista Sangineto, Cosenza antica alla luce degli scavi degli ultimi decenni, in “Rivista dell’Istituto Nazionale d’archeologia e storia dell’arte”, 69, III, serie XXXVII, 2014 (2016), pp. 157-182.
F. Terzi, La città ripensata. Urbanistica e architettura a Cosenza tra le due guerre, Progetto 2000, Cosenza 2010.
F. Terzi, Cosenza medioevo e rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014.

L’implosione del Mediterraneo ci riguarda.-di Tonino Perna

L’implosione del Mediterraneo ci riguarda.-di Tonino Perna

Come calabresi e meridionali assistiamo, angosciati e impotenti, a questo massacro della popolazione civile a Gaza che rischia di coinvolgere altri paesi del Medio Oriente e la stessa Nato, di cui, obtorto collo, facciamo parte. Appare sempre più evidente che Il governo Netanyahu sta portando al suicidio Israele, facendo crescere in tutto il mondo una ondata di sdegno e di proteste che spesso sfociano nel razzismo nei confronti degli ebrei, che in parte rilevante sono le vittime dell’attuale governo israeliano e ne subiscono le conseguenze.

Purtroppo, il conflitto israeliano-palestinese è solo la punta estrema di una propagazione dei conflitti in tutta l’area del Mediterraneo, dalla Libia alla Siria, passando per il Libano, che sta facendo implodere la sponda sud-est del mare nostrum. L’Ue è fuori gioco, come uno spettatore bollito davanti alla Tv. Il governo italiano non ha nemmeno votato la risoluzione Onu per un immediato cessate il fuoco, come hanno fatto Francia, Spagna e Portogallo, non a caso paesi dell’Europa mediterranea che ben capiscono che questa guerra li riguarda da vicino.

Per decenni ci siamo nutriti di retorica sulla nostra comune cultura mediterranea, sul nostro Sud al centro di questo meraviglioso mare, con centinaia di convegni, di associazioni e progetti tra la Ue e i paesi del Mediterraneo. Ma, una politica euro-mediterranea, da parte della Ue e dell’Italia, è scomparsa dalla fine del secolo scorso. L’ultimo atto politico significativo è stata la Conferenza di Barcellona nei giorni 27 e 28 novembre del 1995 in cui ci si è posti il fondamentale obiettivo del raggiungimento della pace e stabilità nell’area mediterranea operando su tre livelli: politico, economico-finanziario e socio-culturale.

Avendo personalmente partecipato con una delegazione del Centro regionale d’intervento per la cooperazione, all’epoca una delle più significative Ong italiane e l’unica che aveva una strategia di cooperazione Sud-Sud, ne ero rimasto entusiasta, per la quantità e qualità dei partecipanti, e perplesso per il prevalere di un approccio neoliberista che puntava ad un libero scambio delle merci e non delle persone, non tenendo conto delle disparità dei soggetti in campo, per cui il free trade favoriva i paesi più forti. Comunque ci aspettavamo che dalle nobili dichiarazioni di principio seguissero fatti concreti.

Come sappiamo le cose sono andate diversamente. L’Ue ha progressivamente spostato il suo asse e il suo sguardo verso est, abbandonando completamente ogni politica o attenzione a quello che avveniva nel Mediterraneo, un’area economica piccola rispetto al mercato mondiale che si formava con la caduta del muro di Berlino e l’apertura della Cina. In questo secolo la Ue ha fatto anche peggio. Francia e Inghilterra, con il supporto Usa, hanno avuto un ruolo importante e devastante nell’abbattimento del regime di Gheddafi, fomentando una guerra civile che ha portato al collasso un paese che viveva tranquillo anche se sotto una dittatura.

Pochi sanno che il caos e la guerra civile in Libia ha interrotto un rilevante flusso migratorio proveniente dai paesi del Sahel. Circa un milione e mezzo di africani vivevano come immigrati in Libia lavorando nell’edilizia, in agricoltura, nei servizi, nell’industria petrolifera. Questi giovani del Sahel mandavano a casa i loro risparmi, si costruivano la casa o compravano un pezzo di terra, senza dover pagare trafficanti e rischiare di morire nel deserto.
Anche la Siria, che era un paese a reddito medio, assorbiva una parte di manodopera migrante proveniente dal Sudan e altri paesi limitrofi, è entrata dal 2011 in una guerra civile in cui hanno giocato un ruolo diverse potenze straniere (Turchia, Usa, Gran Bretagna, ecc.) .

Infine, il Libano che era chiamato “la Svizzera del Medio Oriente” è oggi al collasso economico (ci vogliono 100mila lire libanesi per un dollaro quando cinque anni fa ce ne volevano due), e tende ad espellere un milione e trecento mila rifugiati siriani e duecento mila palestinesi, dal ‘1948 “ospitati” da questo paese, senza cittadinanza, in attesa del ritorno nella propria terra!

Presto, purtroppo, toccherà alla Tunisia e all’Egitto che stanno attraversando una crisi economica, sociale e politica molto pesante. Possiamo chiamarci fuori da un Mediterraneo che implode? Possiamo pensare che spostando le nostre frontiere nel Nord Africa potremo bloccare la fuga dei disperati, delle vittime di queste guerre fomentate dalle potenze straniere, dai nuovi imperi che sono ritornati sulla scena del mondo?

Come si fa a pensare che il Mezzogiorno possa avere un futuro in questo mare che è diventato un cimitero liquido in mezzo a terre insanguinate e distrutte dove non è più possibile vivere? Come è possibile che il nostro paese con abbia dagli anni ’80 un governo con un straccio di politica mediterranea, che dobbiamo rimpiangere personaggi controversi come Andreotti o Craxi?

da “il Quotidiano del Sud” dell’1 novembre 2023