Mese: settembre 2024

Cassese sta preparando l’imbroglio dei nuovi Lep.-di Gianfranco Viesti

Cassese sta preparando l’imbroglio dei nuovi Lep.-di Gianfranco Viesti

Molte importanti vicende relative all’autonomia differenziata sono state e continuano a essere caratterizzate dal segreto: per i suoi promotori è opportuno che i cittadini non siano informati (se non a cose fatte), di quel che si viene decidendo. È quel che è successo con la lista delle 500 funzioni trasferibili alle Regioni, prodotta da Calderoli e mai resa pubblica. È quel che continua a succedere riguardo ai Lep (livelli essenziali delle prestazioni): si tratta dei diritti che devono essere garantiti, con apposite risorse, a tutti gli italiani, ovunque vivano. Quante risorse? Dove? Tema caldo, come si vede anche dalle recenti prese di posizione di Forza Italia. La questione è complicatissima, ma il suo senso profondo dovrebbe essere chiaro.

Il Clep è un importante Comitato guidato da Sabino Cassese, che dopo iniziali posizioni molto preoccupate è divenuto uno dei principali sostenitori del progetto leghista di differenziazione, fatto proprio dall’intero governo. Il Clep ha compiuto una ricognizione legislativa dei Lep. Lo ha fatto, come ha tenuto a scrivere l’ex governatore Visco prima di lasciare la carica, “in termini troppo generici”. E non per quelli relativi alle materie già di competenza regionale, che dovrebbero essere il punto di partenza dei meccanismi finanziari validi per tutti; solo di quelli relativi alle materie che le regioni “secessioniste” pretendono che lo Stato ceda loro. Ora si tratta di associare a questi diritti numeri precisi: il fabbisogno finanziario.

Punto cruciale: più basso è, più resta lo status quo (a danno dei cittadini delle regioni più deboli) e si giustifica la pretesa del governo di non stanziare risorse aggiuntive. Per definire i principi su cui basarsi per i conti è stata nominata da Cassese una Commissione di dodici esperti. Praticamente tutti sostenitori dell’autonomia differenziata. Il presidente, un ex deputato veneto del Pd (Stradiotto) che lavora da tempo sul federalismo fiscale: anche nel periodo in cui fu deciso che laddove non c’erano asili nido, il fabbisogno era conseguentemente pari a zero.

E che le donne si sarebbero dovute arrangiare. Fra gli altri, la potente presidente (D’Orlando) della importantissima Commissione tecnica fabbisogni standard (Ctes, di cui si dirà fra un attimo), fino a poco fa consulente di Zaia; un docente (Giovanardi) che è tuttora contemporaneamente consulente di Zaia e componente della Ctes; un altro (Guzzetta) determinatissimo sostenitore della “secessione dei ricchi” e già consulente della Lombardia. L’elenco potrebbe continuare, includendo alcuni esponenti meridionali assai contigui al governo, fra cui l’onnipresente presidente dell’Anvur, Uricchio.

Cassese ha convocato per il 25 settembre una riunione del Clep per approvare il documento predisposto dai 12: che nonostante l’avversione di alcuni suoi componenti per la discussione pubblica è stato possibile visionare. Un documento snello ma politicamente esplosivo; in esso si sostiene che i fabbisogni standard vanno calcolati “in base alle caratteristiche dei diversi territori, clima, costo della vita e agli aspetti sociodemografici della popolazione residente”.

Dunque, i fabbisogni (e quindi i diritti) vanno differenziati. Innanzitutto, in base allo storico cavallo di battaglia della Lega, e cioè il supposto diverso costo della vita: dato che al Sud la vita costa meno, gli stipendi possono essere più bassi, e quindi il servizio deve costare meno; bastano meno soldi. Magari bastano già quelli che ci sono, e il governo fa tombola. Poi vanno differenziati in base alle dinamiche demografiche. Possibile interpretazione: dato che al Sud nascono meno bambini, perché spendere per gli asili nido? Invertendo la logica socioeconomica e politica, dato che la bassa natalità è anche conseguenza della relativa carenza di servizi. Chissà come verranno interpretate le caratteristiche climatiche. E c’è poi un jolly: le “caratteristiche dei diversi territori”.

In base a questi principi, la Ctes presieduta dall’ex consulente di Zaia, di cui si diceva, farà i calcoli: con metodologie estremamente complesse, sensibili ai criteri di partenza (specie se è chiaro il risultato che si vuole raggiungere). I suoi numeri, i fabbisogni finanziari, saranno impossibili da ricostruire e quindi da discutere. Il Parlamento e l’opinione pubblica dovranno passivamente accettarli, perché prodotti dagli “esperti”.

Un processo pericolosissimo, sul quale sarebbe opportuna una attenzione assai maggiore dei parlamentari di opposizione. È la politica, e non dodici “esperti”, che deve definire alla luce del sole i criteri di calcolo: e questo prima che i dati vengano prodotti. È indispensabile un aperto dibattito pubblico. Non ne va solo della “secessione dei ricchi”, ma delle stesse modalità di funzionamento della democrazia nel nostro Paese.

da “il Fatto Quotidiano” del 20 settembre 2024

Partiti dove siete? Tormate in campo!-di Filippo Veltri

Partiti dove siete? Tormate in campo!-di Filippo Veltri

La conclusione della crisi al Comune di Catanzaro, di cui potete leggere nelle quotidiane e puntuali cronache del Quotidiano, una cosa alla fine la suggerisce: i partiti sono spariti. O perlomeno si sono frantumati e fatti a pezzi, sotto il peso predominante di chi aveva ed ha il potere di vita o di morte dell’istituzione in questione. Il Sindaco e il Comune nel caso d’esempio.

Ora non ci interessa tanto approfondire lo specifico del capoluogo regionale (ci torneremo con piu’ calma nei prossimi giorni) ma andare oltre in una riflessione che nei mesi scorsi aveva riguardato, ad esempio, anche la frantumazione dei partiti in quel del Comune di Reggio Calabria.

E’ un fatto grave di cui da decenni si discute nel nostro Paese ma che poi ci ritroviamo tra i piedi nelle occasioni di casa nostra, come per ultimo Catanzaro, senza potere dare una degna risposta. Eppure gli sforzi non mancano per tentare di ricostruire un tessuto connettivo disperso e lacerato (sabato scorso sul Quotidiano abbiamo ad esempio segnalato la rinascita delle Feste dell’Unità in Calabria su iniziativa del PD) ma è poco ed è slegato dalla vita concreta e quotidiana in cui vivono gli stessi partiti, o meglio quel che resta di loro.

Ancora una volta il caso Catanzaro insegna che non bastano certo le Feste dell’Unità per fare contare davvero il partito!
Nel tramonto della Repubblica dei partiti, Diari 1985-1989 di Antonio Maccanico che qualcosa dei vecchi partiti sapeva, Sabino Cassese nella prefazione ha così scritto: «… un mondo in briciole, dove uomini di partito e di governo, capitani d’industria, giudici, si muovono disordinatamente, senza un obiettivo che non sia quello personale, senza rispettare sequenze e procedure o altre regole, richiedendo continue cuciture, arbitrati, compromessi. Insomma, il contrario dei tanto favoleggiati “poteri forti” o della sempre evocata “stanza dei bottoni”».

Nell’ultimo decennio sono venuti al pettine tutti i nodi irrisolti della democrazia repubblicana il cui rinnovamento è stato impedito da gruppi di potere, vecchi e nuovi, e da partiti immobilisti. Il mancato ricambio periodico degli esponenti della classe politica, la più importante risorsa delle democrazie dell’alternanza, ha prodotto guasti per l’economia, per la società, per il sistema politico. La novità rilevante non sta nella semplificazione del quadro politico con la nascita di un sistema bipolare, ma nel cambiamento delle forme di organizzazione della politica che vede mutata la natura stessa dei partiti o, per dirla più semplicemente, vede la scomparsa del partito politico di massa.

Il pensiero di Luciano Canfora è netto: le forze politiche hanno ormai ceduto il passo a oligarchie fondate sulla ricchezza. E scrive così: «Obbrobrio di tutti i partiti, tremate! È il secondo verso della quarta strofe della Marsigliese. Il verso precedente recita: «Tremate, tiranni!», cui segue appunto la drastica condanna dei «partiti» in quanto potenziale fonte di «obbrobrio». L’invettiva è interessante, ancor più se si considera che prima della Rivoluzione non vi erano «partiti», e che essi erano sorti, proprio come effetto e come vettori della Rivoluzione’’.

Appunto: sta qui la contraddizione delle contraddizioni. O i partiti si rendono conto che possono essere i vettori se non di una rivoluzione quantomeno di un vero cambiamento o la crisi si aggraverà. Sempre più aumenterà il distacco tra cittadini e istituzioni, sempre più dilagherà il malessere e il mugugno e al comando ci saranno e ci resteranno i vertici delle istituzioni e i loro commensali, che da 2 mila a 9 mila euro al mese (queste le retribuzioni medie lorde di consiglieri, assessori e sindaci dei comuni capoluoghi) governeranno indisturbati Comuni e Regioni. Alla faccia di quel che resta dei partiti.

da “il Quotidiano del Sud” del 22 settembre 2024

Appello per Capo Colonna a Crotone. L’Eni fermi i lavori.

Appello per Capo Colonna a Crotone. L’Eni fermi i lavori.

Le immagini della fenditura del terreno sempre più lunga, 12 metri, e sempre più larga, 40 centimetri, che ci giungono dal promontorio di Capo Colonna a Crotone ci preoccupano moltissimo. Ci preoccupano perché se è vero che il fenomeno dell’erosione e dei vistosi crolli del promontorio- sul quale sorgono il tempio di Hera Lacinia e l’abitato della colonia romana di Kroton- è noto da molto tempo, è vero, però, che questo fenomeno ha subìto un’accelerazione che sembra essere tutta di natura antropica.

Le caratteristiche geomorfologiche, litologiche, geostrutturali, idrologiche e geotecniche del promontorio determinano, in corrispondenza della falesia, distacchi di blocchi nella placca rigida silico-arenitica e calcarenitica. La suddetta placca poggia su un basamento argilloso molto erodibile per una serie di concause: scadenti caratteristiche geotecniche, sfavorevoli condizioni geostrutturali delle formazioni geologiche, presenza di circolazione idrica sotterranea in periodi piovosi, azioni chimiche dell’acqua marina sulle argille e l’alterazione prodotta da fattori antropici.

Siamo convinti che la circolazione idrica sotterranea, per iniziare, possa essere aumentata a seguito della mancata copertura dei molti scavi, non solo archeologici, che hanno messo allo scoperto le fondamenta dei monumenti, esponendoli agli eventi meteorici, all’erosione e allo slittamento della placca verso il mare.

Già in uno studio del 1998 si sosteneva che le alterazioni antropiche erano attribuibili alle vibrazioni per il passaggio di autoveicoli e alla concentrazione di turisti e pellegrini sul promontorio. Si immagini quante e quali vibrazioni hanno provocato, e provocano, le trivellazioni per la ricerca e l’estrazione del gas praticate, sulla terraferma ed in mare, da decenni per opera dell’Eni.

Allo stato attuale vi sono numerosi pozzi per l’estrazione del gas metano e tre piattaforme di proprietà dell’Eni che si ergono nelle immediate vicinanze dell’area marina protetta più grande d’Europa e di uno dei più importanti siti archeologici della Magna Grecia, il promontorio di Capo Colonna.

Le associazioni culturali di Crotone -come Italia Nostra, il Gak ed altre- cercano, da decenni, di fermare le trivellazioni che l’Eni, nel silenzio di tutte le amministrazioni comunali di Crotone, compie in mare e sulla terraferma a poche centinaia di metri addirittura dal promontorio di Capo Colonna, ma, finora, senza successo.

Si deve rilevare, altresì, che il problema qui esposto non sembra aver avuto sufficiente attenzione da parte della Soprintendenza Abap delle province di Catanzaro e Crotone nonché della direzione dei Musei e dei parchi archeologici di Sibari e Crotone a cui spetterebbe il compito di interrare o proteggere gli scavi effettuati e di tentare di fermare l’erosione e i distacchi mediante, per esempio, la costruzione di scogliere artificiali sotto forma di strutture modulari in cemento armato, posate e accostate sul fondale marino attorno al promontorio e, sul promontorio, di ‘cuciture’ realizzate costruendo reti di pali d’acciaio orizzontali.

I sottoscritti chiedono al Sindaco di Crotone, al presidente della Regione Calabria, al Ministero della Cultura, alla Soprintendenza Abap ed al direttore dei Musei e dei parchi di Sibari e Crotone di provare a far arrestare o, almeno, sospendere le trivellazioni dell’Eni nelle prossimità del promontorio e di provvedere con la massima urgenza alla salvaguardia di uno dei siti archeologici più importanti del Mediterraneo, ricordando che non può esserci valorizzazione senza la tutela dei monumenti o, come si sta rischiando in questo caso, senza i monumenti medesimi che potrebbero finire in mare.

Battista Sangineto, archeologo, Università della Calabria
Salvatore Settis, archeologo, già rettore Scuola Normale Superiore di Pisa
Tomaso Montanari, storico dell’arte, Rettore Università per stranieri di Siena
Piero Guzzo, archeologo, Accademia Nazionale dei Lincei e I.N.A.S.A.
Maria Teresa Iannelli, archeologa, già Soprintendenza archeologica Calabria
Roberto Spadea, archeologo, già Soprintendenza archeologica Calabria
Lucia Faedo, archeologa, già Università di Pisa
Paolo Liverani, archeologo, Università di Firenze
Franco Cambi, archeologo, Università di Siena
Maria Cecilia Parra, archeologa, già Università di Pisa
Paul Arthur, archeologo, Università del Salento
Teresa Liguori, professoressa, presidente sezione Italia Nostra Crotone
Anna Rotella, archeologa, vicepresidente sezione Italia Nostra Crotone
Vincenzo Fabiani direttore Gruppo Archeologico Krotoniate
Ferdinando Laghi, medico, consigliere Regione Calabria
Giuseppe Hyeraci, archeologo, Università di Napoli Suor Orsola Benincasa
Maria Cerzoso, archeologa, direttrice Museo dei Brettii e degli Enotri Cosenza
Bernarda Minniti, archeologa, Università di Genova
Fulvia Soffrè, già dir. Ammin., Soprintendenza archeologica della Calabria
Matteo Enìa, antropologo, Sapienza Università di Roma
Chiara Dodero, archeologa, Università di Genova
Anna Murmura, professoressa, presidente ArcheoClub sezione Vibo Valentia
Rocco Gangemi, architetto, delegato Ambiente FAI Calabria

foto da “il Crotonese” del 10 settembre 2024

Regionalismo differenziato: dal no alla proposta.-di Massimo Veltri

Regionalismo differenziato: dal no alla proposta.-di Massimo Veltri

Dire no al regionalismo differenziato si deve, e opporsi allo scellerato progetto che sta prendendo corpo per iniziativa del governo e segnatamente della Lega di Salvini è un atto che si deve perseguire non soltanto da parte dei cittadini del sud ma di coloro che hanno a cuore il destino dell’Italia intera.

Dire no significa mobilitarsi nelle piazze, sottoscrivere la richiesta di referendum abrogativo, far sentire al palazzo che i problemi del mezzogiorno e del paese sono un unicum, che sarebbe un errore gravissimo puntare sullo spaccottamento piuttosto che sul riequilibrio.

Un riequilibrio cui si rinuncio allorché ormai quasi venticinque anni fa il governo di centrosinistra modificò il Titolo V della Costituzione-da lì è partito tutto, è bene ricordare-investendo nell’operoso nord e lasciando alla deriva il sud in perenne sofferenza: l’eufemismo più in voga era ‘in ritardo di sviluppo’.

La questione meridionale, il dualismo fra le parti simmetriche del paese venivano risolte in maniera tranchant, semplicemente eliminando uno dei corni del dilemma, quello più fragile.

Il dibattito che si è sviluppato da allora ha risparmiato poche pieghe delle tante che rivestono l’affaire: mettere alla prova il sud, i LEP, i servizi essenziali, era meglio non fare L’Unità d’Italia, con i Borboni si stava meglio, facciamola dal sud, la secessione. Perché un dibattito c’è stato, e c’è, anche nelle regioni meridionali, e anche con evidenti distinguo nelle forze politiche, a cominciare dalla moderata Forza Italia che mostra di non gradire. Un dibattito che però si sviluppa esclusivamente sul versante difensivo e d’opposizione al disegno di Salvini, come se conservare lo status quo fosse la soluzione.

Invece no, non è la soluzione perché è sotto gli occhi di tutti la divaricazione sempre più stridente fra allocazione delle risorse, disponibilità di servizi, occasioni di lavoro, efficienza delle prestazioni, capacità di spesa, treni che partono con direzioni e versi privilegiati se non esclusivi.

Perché il sud è rimasto indietro, c’è stato chi documenti alla mano ha indicato d’indagare sulla inadeguatezza delle classi dirigenti a sud di Roma: se per un periodo la tesi ha mostrato la sua fondatezza non di meno la parzialità della diagnosi balza comunque agli occhi con l’incalzare degli eventi. Non già per assolvere l’indifendibile ma per assegnare a un intero sistema ruoli e responsabilità che non possono che essere collettivi, plurali bisogna dire che un impegno diffuso e costante è ciò che attende la comunità politica e civile, culturale ed economica delle regioni del sud.

Perché è dal sud, se si vuol dare per davvero il segno della credibilità della svolta, che si deve dare inizio a ridisegnare funzioni e attribuzioni, assegnare equilibri e risorse, secondo un assetto della macchina pubblica che non nasconda zone d’ombra, riconosca limiti e introduca correttivi secondo criteri di equità e di merito, in uno Stato del terzo millennio.

Può partire dal sud un ragionamento siffatto, ci sono da noi intelligenze e passioni capaci di mostrare la via, con spirito unitario e non subalterno, propositivo e non rivendicazionistico?

Provare a misurarsi in tale impresa val la pena, altrimenti sarà il cartello del no a vincere ancora una volta, o il perpetuarsi dell’eterno pantano.

da “il Quotidiano del Sud” del 17 settembre 2024

Lettera agli ambientalisti miopi.-di Tonino Perna

Lettera agli ambientalisti miopi.-di Tonino Perna

Il movimento contro le pale eoliche che offendono il paesaggio, ha avuto ed ha un notevole consenso tra le associazioni ambientaliste del Mezzogiorno, in particolar modo in Calabria e Sardegna. Il motivo principale dell’opposizione alle grandi pale eoliche è il paesaggio. Un bene immateriale importante che deve essere preso in considerazione senza ignorare quello che dovrebbe essere il principale obiettivo degli ambientalisti: la salvaguardia del pianeta, e quindi della nostra vita, dagli effetti perversi dell’inquinamento della terra, dei mari, dei fiumi, laghi e il moltiplicarsi degli “eventi estremi”.

Non possiamo non chiederci: perché non c’è questo tipo di mobilitazione per l’aumento della C02 legata all’uso dei combustibili fossili che sta sconvolgendo l’ecosistema? Perché non ci si mobilita per la plastica che ha invaso il pianeta e che ormai ha riempito i nostri mari, gli oceani, entrando nella catena alimentare? La Commissione Ue aveva cercato di far passare un provvedimento per mettere lo stop alla produzione di plastica, ma il governo italiano si è opposto perché deve salvaguardare la nostra industria degli imballaggi e confezioni in plastica di cui ci vantiamo di essere i primi in Europa.

E ancora, perché non ci si mobilia contro i tanti enti locali, scuole, che hanno installato i pannelli solari e non li hanno mai collegati? La Calabria è piena di pannelli solari abbandonati da enti pubblici per il menefreghismo che li contraddistingue.
Vogliamo renderci conto che stiamo andando velocemente verso la catastrofe ambientale?! I radicali cambiamenti climatici che nella storia della Terra richiedevano secoli se non millenni adesso avvengono in poche decine di anni.

Ne abbiamo mille prove ma facciamo finta di niente perché la nostra unica e vera preoccupazione è la crescita economica misurata da un indicatore, il Pil, che da tempo tanti contestano ma senza incidere su questo mito del nostro tempo che trasforma in ricchezza monetaria la distruzione ambientale (basti pensare solo al fatto che una parte del commercio delle droghe contribuisce ad accrescere il Pil, quanto gli incidenti stradali, ecc.).

Tra i mille segnali di un cambiamento climatico accelerato vorrei citarne uno che è poco conosciuto. Riguarda l’acqua del mare dello Stretto di Messina, da secoli la più gelida tra tutte le acque che bagnano la nostra penisola per via delle impetuose correnti che risalgono, a causa di una montagna che attraversa questo tratto di mare, da una profondità di 2000 metri (di fronte a Taormina) ad una profondità di 90 metri (tra Scilla e Cariddi). In breve l’acqua gelida degli abissi risale in superficie.

Bene, negli ultimi due anni gli abitanti dello Stretto hanno riscontrato con meraviglia che l’acqua di questo mare è aumentata incredibilmente di diversi gradi. Secondo il Diving Center di Scilla, che da trent’anni fa il monitoraggio della temperatura dell’acqua nell’area di sua competenza siamo di fronte ad un fenomeno inspiegabile, visto il vistoso cambiamento e il breve tempo in cui si è registrato.

Cosa vogliamo di più per capire che ci sono delle priorità e che non c’è più tempo da perdere. Certo, ogni regione dovrebbe avere un piano energetico particolareggiato che indichi priorità, luoghi, modalità di installazione impianti di energia rinnovabile. Questa dovrebbe essere una battaglia di civiltà che dovrebbe impegnare tutti, uscendo ognuno dal proprio giardinetto e guardando non il proprio dito, ma la luna che abbiamo di fronte.

da “il Quotidiano del Sud” del 12 settembre 2024
Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

Cosenza. Richiesta di estensione del vincolo paesaggistico.-di ‘Diritto alla città’

Cosenza. Richiesta di estensione del vincolo paesaggistico.-di ‘Diritto alla città’

Nel ribadire il nostro consenso per il vincolo da Voi recentemente proposto per la parte otto-novecentesca della città di Cosenza (in rosso nella TAV. I), noi Coordinamento ‘Diritto alla città’ riteniamo, altresì, che tale proposta si possa, e si debba, estendere e completare per mezzo di un vincolo storico, artistico e archeologico ai sensi del Dlg. 42/2002, art. 10, comprendendo, come già in precedenza richiesto e proposto con apposita planimetria (in blu nella TAV. I), anche un’altra area avente caratteristiche di tutela di rilievo paesaggistico ex Dlg. 42/2002 – Codice dei beni culturali e del paesaggio, Parte III – Beni paesaggistici, artt. 131-159, in relazione alla qualità degli ambiti e in ragione dei ritrovamenti archeologici emersi nel corso degli ultimi cento anni.

Relativamente al settore in Sx Crati, il perimetro interessato dalla definizione del completamento dell’area per la quale necessita della tutela paesaggistica, per i motivi esposti e in seguito ulteriormente approfonditi nel presente testo, perimetra:
Il tratto stradale del Ponte Alarico fino all’ex Stazione Ferroviaria, ora dismessa, prolungandosi lungo il lato sinistro del “Centro i Due Fiumi” fino a raggiungere Via XXIV Maggio.

Prosegue lungo tale arteria in continuazione per risalire su via Cesare Marini, fino all’incrocio con Corso Giuseppe Mazzini.
Risale su tale arteria per giungere a Piazza Carlo Bilotti fino all’incrocio con via Adolfo Quintieri.
Da tale traversa scende verso Est fino a raggiungere Viale Giacomo Mancini per poi proseguire in direzione Nord fino all’intersezione del tondo con allineamento alla Via Caduti di Razzà, al confine col Comune di Rende, per continuare lungo la direttrice di Viale Crati.
Il perimetro lascia Viale Crati in corrispondenza della Via Pietro Nenni, per continuare parallelamente, e in aderenza al tratto ferroviario della linea Cosenza-Giovanni in Fiore, fino a connettersi alla Via Catanzaro, quest’ultima posizionata in intersezione con il perimetro sopra riportato (TAV. I).

Si ribadisce che tutta l’area delle due rive del fiume Crati è interessata da rinvenimenti archeologici (TAV. II con relativo elenco), come dimostrato anche dal recentissimo ritrovamento di sepolture di epoca romana nei pressi del rondò sulla Via Popilia, posto a Nord-Est del Centro commerciale “I due Fiumi” nelle dirette adiacenze. È molto probabile che in tale area, a partire dal Centro storico e procedendo in direzione Nord, sia stato posto il tracciato della via Annia-Popilia (Via ab Regio ad Capuam) costruita nella seconda metà del II secolo a.C.

Si deve ricordare, per sovrappiù, che la denominazione per tale importante asse stradale nella toponomastica cittadina di Via Popilia, in sostituzione di Via Milano, fu assegnata con Delibera del Consiglio Comunale del 20 gennaio 1955 e successiva approvazione prefettizia del 12 Marzo 1955: “Nulla osta sentita la Soprintendenza ai Monumenti ed alle Gallerie della Calabria” (Allegata Delibera Consiliare), proprio all’arteria viaria che correva parallela alla riva sinistra del Crati costituente, quest’ultima, l’area più vicina alla tumultuosa urbanizzazione del secondo dopoguerra.

Tale denominazione, documenta che negli amministratori di più di 70 anni or sono era viva e percepita come profondamente identitaria la tradizione storica bimillenaria dell’antica via consolare che, secondo gli scrittori antichi e gli studiosi moderni e contemporanei, affiancava la riva sinistra del Crati.

Del resto, come puntualmente dimostra la planimetria (TAV. II) dei rinvenimenti archeologici effettuati dall’inizio del XX secolo e fino ai giorni nostri (A. B. Sangineto, Cosenza antica alla luce degli scavi degli ultimi decenni, in “Rivista dell’Istituto Nazionale d’archeologia e storia dell’arte”, 69, III, serie, XXXVII , 2014 (2016), pp. 157-182.), tutta l’area è potenzialmente interessata da siti archeologici che necessitano non solo di adeguata protezione e tutela paesaggistica, ma anche di tutela archeologica diretta.
I siti e le segnalazioni di rinvenimenti archeologici nell’area sulla riva sinistra del Crati, in accordo con la numerazione della planimetria allegata (TAV. II), sono i seguenti:

2 = Località: SAN DOMENICO – VIA PIANA (attuale via S. Quattromani), probabile necropoli di epoca ellenistica;
12 = EX STAZIONE FF.SS. (attuale P.zza Mancini), presenza di tombe risalenti all’epoca romana;
13 = RIVOCATI, Edoardo Galli segnalava, in più punti, avanzi di strutture antiche;
22 = PIAZZA RIFORMA, durante i lavori di spianamento della strada, che conduce al convento dei Padri Riformati e prosegue nella zona di Cardopiano, vennero ritrovati pavimenti in mosaico. Anche nell’area del primitivo sito delle monache di S. Chiara venne dissotterrato un monumento;
25 = PIAZZA XX SETTEMBRE, Resti di tombe e di un’epigrafe sepolcrale;
26 = VIA MONTESANTO, durante la costruzione di alcuni edifici, ancora esistenti, vennero rinvenute, in corrispondenza di palazzo Cipparrone, alcune tombe databili al II a.C.;
27 = CORSO MAZZINI, durante la costruzione della Banca Commerciale, emerse del materiale archeologico costituito da: laterizi, monete e numerosi oggetti di uso comune di epoca ellenistica e romana;
28 = PETRARA (attuale area p. Mancini – via Catanzaro), furono rinvenuti resti di tombe, a sinistra del Crati, con probabile presenza di un anfiteatro;
29 = LOC. “CANNUZZE”, rinvenimento di una brocchetta del tipo “oinophoros” databile alla fine del III d.C. (ora al Museo dei Brettii e degli Enotri), alla confluenza del torrente Rovella con il Crati. Nella stessa località vennero ritrovati, inoltre, un contenitore di bronzo e un oggetto chirurgico, forse un bisturi, sempre in bronzo;
30 = RIFORMA – CARDOPIANO, nei primi anni del ‘900 il Galli afferma che in questa area (Riforma- Cardopiano) venne ritrovato un miliario in frantumi, oggi disperso;
32 = COLLINA DI MOJO (o Moio), nel 1933, durante i lavori per la costruzione dell’attuale Ospedale Civile dell’Annunziata, vennero ritrovate delle tombe, circa 70, appartenenti ad una necropoli di età brettia (IV – III a.C.).
(Si rimanda alla Tav. II – siti archeologici con legenda completa sui ritrovamenti).

Avendo le indagini archeologiche, condotte in Italia e nel bacino del Mediterraneo, dimostrato che lungo le strade romane, soprattutto nei pressi dei centri abitati, sorgevano necropoli, colombari, steli, monumenti funebri e mausolei riteniamo che sia del tutto necessario tutelare, rendendola inedificabile, tutta l’area già sopra descritta.

Si ricorda che, secondo le norme Dlg. 42/2004 e s.m.i. art. 10, in casi di questa natura e rilevanza è necessario effettuare ricerche di archeologia preventiva (D. Lgs. 50/2016, art. 25) su entrambe le rive del Crati in occasione di ristrutturazioni edilizie, di costruzioni ex novo di edifici, nonché di infrastrutture e sottoservizi pubblici e privati. Il tutto per evitare che beni archeologici possano essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico, oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione (Dlg. 42/2004 e S.M.I., art. 20, c. 1).

Nel complesso il sistema edilizio della città appare ancora in parte conservato, seppur fortemente condizionato in quest’area da interventi di trasformazione che ne hanno totalmente modificato la consistenza compositiva.
In ragione di tale potenzialità, la tutela di tale contesto urbano discende dalla necessità di evitare attività di sostituzioni dell’edilizia privata esistente, con contenitori urbani di dimensioni consistenti, già in atto nell’area individuata e al di fuori della logica conservativa del modello di sviluppo avvenuto nel corso di un lungo processo storico insediativo, al fine di non modificare e trasformarne le qualità sostanziali.

Trattasi di ambiti e tessuti edilizi che hanno contribuito a caratterizzare lo sviluppo della città, per i quali necessita un percorso di riqualificazione edilizia in grado di esaltarne i valori, al di fuori di visioni sostitutive da considerare totalmente inidonee. Pertanto, la perimetrazione di tali ambiti costituisce una palese continuità delle aree già sottoposte a tutela paesaggistica.

Tenuto conto che il vincolo comporta, in particolare, l’obbligo da parte del proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile ricadente in tale settore, di presentare ai competenti organi istituzionali per la preventiva approvazione, qualunque progetto di opere che possano modificare l’aspetto esteriore della composizione urbana, architettonica e paesaggistica del contesto.
Tale condizione discende dal riconoscimento di notevole interesse pubblico di entrambe le aree, sia quella da Voi proposta e sia questa che comprende le rive del Crati, aventi come fulcro i quartieri di edificazione realizzati dalla fine dell’Ottocento fino agli anni ’40 del XX sec., a completamento del processo di evoluzione insediativa avviato dopo le arginature dei fiumi e in estensione delle direttrici storiche originarie avviate sin dall’antichità romana.

Pertanto, si ribadisce che, per i motivi esposti si debba estendere all’area richiamata e perimetrata, riportata nella Tav. I, le caratteristiche di tutela di interesse paesaggistico ex D.lgs. 42/2002 – Codice dei beni culturali e del paesaggio, Parte III – Beni paesaggistici, artt. 131-159, in relazione alla qualità degli ambiti e in ragione dei ritrovamenti archeologici emersi.

Coordinamento ‘Diritto alla città’

Autonomia differenziata, i conti non tornano.-di Filippo Veltri

Autonomia differenziata, i conti non tornano.-di Filippo Veltri

Sull’autonomia differenziata infuria la buriana politica soprattutto dopo la raccolta firme per il referendum (è andata al di là di ogni più rosea aspettativa per i promotori) e in vista della prevedibile battaglia elettorale. Ma è nel merito che ci si sofferma poco, al Nord come al Sud, nonostante studi e ricerche non manchino.

Proviamo a fare due conti, con l’aiuto dell’Osservatorio dei conti pubblici Italiani dell’Università Cattolica. In attesa che vengano definiti i famigerati LEP (livelli essenziali di prestazione) che andranno garantiti su tutto il territorio nazionale, tre economisti dell’Osservatorio (Rossana Caccamo, Alessio Capacci e Giampaolo Galli) hanno fatto un paio di conti e viene fuori che, dato che l’economia del centro nord vale il 78% del PIL nazionale contro il 22 del Sud, ogni punto del PIL trattenuto dalla Regioni piu’ ricche peserebbe tre volte e mezzo in più per quelle più povere.

Si tratterebbe di un guadagno relativamente piccolo per le prime ma di una perdita consistente per le seconde finendo di mettere a rischio la tenuta dei servizi. Prendiamo la Calabria nella simulazione effettuata: su una spesa primaria di 24,5 (tutti i valori sono in miliardi di euro) c’è una entrata di 16,4, con un residuo fiscale di più 8,2.

La Lombardia ha invece una spesa primaria di 140,5, entrate per 189,3 e dunque un residuo fiscale in negativo di 48,5. Dunque la legge Calderoli finirebbe con l’estremizzare le disparità che già oggi dividono l’Italia anziché ridurle e non responsabilizzando la politica locale. In più il sistema della verifica anno per anno dell’allineamento tra il fabbisogno di spesa delle Regioni e il loro gettito fiscale renderebbe ancor più farraginoso il problema.

Anche su questo insistono due noti economisti italiani – Francesco Drago e Lucrezia Reichlin – in aperto contrasto con Sabino Cassese. Prendono in esame la sanità e scrivono: ‘’…La storia dei LEA (livelli essenziali di assistenza, già introdotti nel nostro paese nel 1999) insegna che quando la capacità amministrativa e le infrastrutture sono di bassa qualità come nelle Regioni del Mezzogiorno il finanziamento per ridurre i divari di prestazione non è sufficiente.

La riforma è un disincentivo per il rinnovamento della classe dirigente del Sud e la questione è importante perché il problema del Mezzogiorno sta proprio nel non essere riuscito ad esprimere una classe dirigente locale adeguata. Con l’autonomia differenziata gli incentivi alla formazione di classi dirigenti del Mezzogiorno responsabili e capaci diminuiscono’’.

I principi su cui poggia la riforma, inoltre, spiegano Drago e Reichlin – sono difficilmente attuabili e se ne discute dal famigerato anno 2001. Come hanno evidenziato la Banca d’ Italia e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio in piu’ di 20 anni poco o nulla e’ stato fatto. Determinare il finanziamento dei LEP è molto difficile ed occorre conoscere i costi standard di ogni bene e servizio che viene erogato in maniera efficiente, determinare il livello di prestazione minima e stabilire i fabbisogni. Missione quasi impossibile.

In sostanza i due economisti alzano l’allarme sul fatto che saranno allontanate le forze piu’ dinamiche della società e della politica locale e invece della responsabilizzazione delle classi dirigente del Sud si otterrà il contrario. ‘’Comunque si rigiri la frittata – secondo Drago e Reichlin – questa legge fa male sia al Nord che al Sud e rischia di gettare il Paese in un caos amministrativo di cui veramente non abbiamo bisogno’’.

Ora la parola passerà nuovamente ai partiti e alle istituzioni, forse alla Corte Costituzionale e probabilmente agli elettori. I dubbi espressi a livello scientifico sono quelli sopra espressi. Vedremo che accadrà nell’immediato futuro.

da “il Quotidiano del Sud” del 7 settembre 2024

Il Nord si prende anche il sole. -di Tonino Perna

Il Nord si prende anche il sole. -di Tonino Perna

È incredibile come le popolazioni del Mezzogiorno siano sempre lente a cogliere le opportunità, gli incentivi, i cambiamenti che possano valorizzare le proprie risorse naturali con un minimo di impatto ambientale. È il caso delle Comunità energetiche rinnovabili (Cer), ovvero di un insieme di utenti che volontariamente decidono di cooperare e condividere la produzione e utilizzazione dell’energia rinnovabile. Le Cer nascono dal basso, da parte di cittadini sensibili all’ambiente e desiderosi di fare qualcosa per migliorare la vita sul nostro pianeta, tendendo anche d’occhio la tasca, ovvero la spesa crescente delle famiglie per la bolletta elettrica.

Con il decreto attuativo del 22/1/2024 è diventato concreto anche un sistema di incentivi che offre lo Stato alla costituzione delle Cer e alla produzione di questa energia condivisa. In particolare, per i Comuni sotto i 5.000 abitanti, è previsto un finanziamento di 2,2 miliardi di euro, grazie ai fondi del Pnrr.

Al momento in Italia, secondo i dati forniti dal GSE (l’ente nazionale di gestione dell’energia) sono operanti 154 comunità energetiche, che utilizzano prevalentemente pannelli fotovoltaici e sono localizzate soprattutto nel Nord Italia. Il Piemonte, che guida questa classifica, con le sue 27 Cer in funzione riesce a produrre il 19% di tutta l’energia nazionale prodotta da queste comunità, più dell’intero Mezzogiorno, per non parlare della Calabria dove risultano costituite tre Cer, ma finora operante sembrerebbe ce ne sia solo una a san Nicola da Crissa. Il condizionale è d’obbligo perché abbiamo informazioni non univoche.

Insomma, come meridionali abbiamo il sole e il vento in gran quantità, e potremmo dare un grande contributo alla riduzione della CO2, ridurre la dipendenza dall’estero per l’importazione di combustibili fossili, e fare risparmiare famiglie e imprese. Che cosa ce lo impedisce? Questa volta non ce la possiamo prendere con la classe politica, ma dobbiamo prendere atto della nostra allergia congenita nel creare strumenti comunitari, nel condividere con altri beni e servizi.

Aveva ragione Robert Putnam che negli anni ’90 analizzando la differenza socio-economica tra Centro-Nord e Mezzogiorno aveva individuato nella carenza di “capitale sociale”, inteso nell’accezione di capacità di mettersi insieme per un bene comune, la debolezza cronica e storica del Sud Italia. La paradossale situazione delle Cer che si istituiscono al Nord , dove il sole è più avaro, e non al Sud dove l’irradiazione solare è anche eccessiva, conferma la tesi di Putman e di altri politologi e sociologi che su questa base hanno svolto altre ricerche e trovato altre conferme.

Ci possiamo consolare col fatto che Nord e Sud sono punti di vista a seconda di dove ci collochiamo: in Germania dove il sole, quando c’è, assomiglia più ad un a lampadina che ad una stella, sono operanti più di mille Cer che si sono costituite più di dieci anni fa!

da “il Quotidiano del Sud” del 2 settembre 2024