Mese: ottobre 2024

Lettera aperta al ministro Giuli sul Museo Alarico

Lettera aperta al ministro Giuli sul Museo Alarico

I sottoscritti ritengono che l’attuale Amministrazione comunale di Cosenza commetta un grave errore nel continuare l’opera dell’ex Sindaco Occhiuto dicendo di voler “imprimere un’accelerazione”, come affermato dall’attuale Sindaco Franz Caruso, alla ripresa dei lavori di costruzione del Museo Alarico già fermata nel novembre 2018 da un provvedimento dell’allora Direzione generale del Mibac che revocava, in autotutela, il permesso paesaggistico concesso, all’epoca, dal Soprintendente ABAP di Cosenza, Mario Pagano.

I sottoscritti chiedono che il MiC per mezzo dei suoi organi centrali, Direzione generale, e periferici, Soprintendenza Abap di Cosenza, impedisca la costruzione di un qualsivoglia manufatto- che, del resto, sarebbe del tutto privo di reperti attribuibili ad Alarico o ai Goti- ai piedi del Centro storico della città di Cosenza che ha già un vincolo diretto e un vincolo paesaggistico sin dal 1969.

Un qualunque edificio costruito in quel luogo con forme, tecniche e materiali moderni sarebbe del tutto fuori contesto rispetto al tessuto architettonico e urbanistico della città antica. Auspichiamo che al posto dell’ormai abbattuto ex Hotel Jolly venga allestito, invece, un giardino pubblico alberato, un luogo destinato alla visione paesaggistica della confluenza dei due fiumi, come è stato già dagli anni ’20 del XX secolo (in foto).

I sottoscritti si chiedono, ancora una volta, cosa spinga anche questa Amministrazione comunale, a voler costruire un Museo -in totale assenza della più piccola testimonianza materiale alariciana e per un costo fra i 7 e i 10 milioni di euro- intitolato ad un invasore che, dopo aver saccheggiato Roma e tutta la penisola nel 410 d.C., secondo un racconto poco attendibile del solo Iordanes, l’apologeta dei Goti vissuto 150 anni dopo i fatti- muore, per caso, nei pressi di Cosenza.

Dal racconto di Iordanes, se pure fosse verificato, si deduce che, a causa dell’accidentale morte del re nei pressi di “Consentia”, centinaia di antichi cosentini furono costretti dai Goti prima a deviare il fiume e, poi, a seppellire Alarico con il bottino frutto del saccheggio di Roma e di tutta l’Italia meridionale. Per evitare di lasciare testimoni ed eventuali, futuri cercatori di tesori, i Goti assassinarono tutti i prigionieri cosentini che avevano partecipato alla sepoltura. Perché, dunque, celebrare Alarico e i Goti che avrebbero trucidato, milleseicento anni or sono, centinaia di progenitori dei cosentini?

I sottoscritti ritengono che l’intitolazione di un museo ad un personaggio storiograficamente controverso e il seduttivo vagheggiamento del ritrovamento di una sepoltura leggendaria, della quale non è stato rinvenuto neanche il più piccolo frammento, siano elementi che concorrono attivamente all’offuscamento della coscienza collettiva e della conoscenza della Storia che conduce all’estrema e perversa conseguenza di una pericolosa ed infondata invenzione identitaria.

I sottoscritti ritengono che la costruzione di un Museo Alarico, che non potrebbe contenere nulla che sia materialmente riconducibile ad Alarico o ai Goti, sia non solo storicamente sbagliata e socio-antropologicamente manipolatoria, ma anche umiliante per una città -dal IV sec. a.C. capitale dei Brettii e, poi, importante municipium romano- ed una popolazione che, nel corso dei secoli, hanno saputo esprimere ben altre, e più alte, personalità: Aulo Giano Parrasio, Bernardino Telesio, Sertorio Quattromani, Valentino Gentile, Francesco Saverio Salfi, Giovan Battista Amico, Alfonso Rendano, Pasquale Rossi et cetera.

I sottoscritti sono convinti che solo il restauro complessivo e capillare -che deve necessariamente comprendere gli edifici privati e non, come l’attuale Amministrazione comunale sta facendo, solo gli edifici di proprietà pubblica- della Cosenza storica potrebbe mettere in moto un meccanismo virtuoso nel quale la “redditività” del patrimonio culturale cosentino e calabrese non risiederebbe solo nella sua commercializzazione e nel turismo che esso potrebbe produrre, ma in quel profondo ed indispensabile senso di appartenenza e di cittadinanza ispirato dalla propria Storia e dai valori simbolici ad essa collegati.

I sottoscritti chiedono, dunque, al competente Ministro, Alessandro Giuli, di usare gli strumenti a sua disposizione -amministrativi, di governo e anche di impulso legislativo- per impedire la costruzione del Museo di Alarico e auspicano, invece, il restauro degli edifici pubblici e privati del cadente Centro storico di Cosenza che permetterebbe di restituirlo ai cosentini, prima che un acquazzone un po’ più forte lo porti via.

Battista Sangineto, archeologo, Unical
Armando Taliano Grasso, archeologo, Unical
Salvatore Settis, archeologo, Accademia dei Lincei
Pier Giovanni Guzzo, archeologo, Accademia dei Lincei
Tomaso Montanari, storico dell’arte, Rettore Univ. Stranieri Siena
Vito Teti, antropologo e scrittore, Unical
Paolo Liverani, archeologo, Università di Firenze
Lucia Faedo, archeologa, Univ. di Pisa
Franco Cambi, archeologo, Univ. di Siena
Alessandra Anselmi, storica dell’arte, Univ. di Bologna
Alberto Ziparo, urbanista, Univ. di Firenze
Roberto Budini Gattai, urbanista, Univ. di Firenze
Tonino Perna, economista, Univ. di Messina
Francesco Raniolo, politologo, Unical
Mariafrancesca D’Agostino, sociologa, Unical
John Trumper, linguista, Unical
Marta Maddalon, linguista, Unical
Enzo Scandurra, urbanista, Univ. La Sapienza Roma
Donatella Loprieno, costituzionalista, Unical
Maria Teresa Iannelli, archeologa, già funzionario Mibac
Maurizio Pistolesi, archeologo, Cosenza
Pino Ippolito Armino, storico
Annarosa Macrì, giornalista, Cosenza
Paolo Veltri, ingegnere idraulico, Unical
Alessandra Carelli, storica dell’arte, Cosenza
Mauro Minervino, antropologo, Accademia Belle Arti CZ
Teresa Liguori, Consigliere nazionale Italia Nostra
Maria Cristina Lattanzi, Consigliere nazionale Italia Nostra
Liliana Gissara, Consigliere nazionale Italia Nostra
Laura Comi, Consigliere nazionale Italia Nostra
Federazione provinciale Rifondazione Comunista Cosenza
USB, Federazione di Cosenza
Associazione La Base, Cosenza
Forum Ambientalista Calabria
Antonio Trimboli, ingegnere, Cosenza
Massimo Ciglio, dirigente scolastico, Cosenza
Ida Selene Broccolo Tommasi, operatrice culturale, Cosenza
Sergio Nucci, medico, Cosenza
Stefano Catanzariti, attivista civico, Cosenza
Sergio Aquino, imprenditore, Cosenza
Ercole Barile, imprenditore, Cosenza
Argia Morcavallo, architetto, Cosenza
Francesco Saccomanno, attivista politico, Cosenza
G. Pino Scaglione, architetto, Univ. di Trento
Monica Nardi, chimica, Università Magna Grecia
Francesco Gaudio, docente, Fermi-Brutium” Cosenza
Angelo Broccolo, medico, Corigliano
Vincenzo Reda, vicepreside Fermi Brutium Cosenza
Emilio Nigro, poeta, Cosenza
Luigi Gallo, docente, Cosenza
Valerio Formisani, medico, Cosenza
Antonio Curcio, bibliotecario, Cosenza
Maria Pia Funaro ingegnere ambientale, Cosenza
Rosanna Tedesco, docente, Liceo Classico Telesio
Giuseppe Bornino docente, Liceo Amantea
Antonio Romeo, docente, Liceo Classico Telesio
Simona Serra, docente, Liceo Fermi
Lisa Sorrentino, cittadina, Cosenza
Franca Garreffa, sociologa, Unical
Pino Scarpelli, cittadino, Cosenza
Maurizio Nuccio, avvocato Cosenza
Giusy Branda, docente ” Scorza” Cosenza
Francesco Cirillo, giornalista e scrittore
Andrea Bevacqua docente, IstC Cosenza
Pierluigi Grottola, docente Convitto Nazionale Telesio
Giorgio Marcello, sociologo, Unical
Eliodoro Loffreda, docente, Liceo Telesio
Giulia Fragale attivista, Cosenza
Francesco Morelli, cittadino, Cosenza
Maria Grazia Francesca Cavaliere, cittadina, Cosenza
Giuseppina Calvelli, cittadina, Cosenza
Patrizia Gallo, dottore commercialista, Cosenza
Sergio Crocco, Associazione Terra di Piero
Giuseppe Cirò, cittadino, Cosenza
Giovanni Sole, storico e antropologo, Unical
Ida Rende, sociologa, Cosenza
Loredana Bruselles, cittadina Cosenza
Massimo Sisca commerciante, Cosenza
Alessandro Iantorno cittadino, Cosenza
Paola Pietramala, matematico, Cosenza
Francesca Canino, giornalista, Cosenza
Eduardo Zumpano, storico, pres. Anppia Cosenza

Meloni taglia la torta: i Comuni ringraziano.-di Tonino Perna

Meloni taglia la torta: i Comuni ringraziano.-di Tonino Perna

La legge di bilancio comporterà nel triennio prossimo un taglio agli enti locali di 4 miliardi di euro, di cui 1,3 miliardi colpiranno i Comuni. Contemporaneamente nel prossimo triennio verranno meno i fondi del Pnrr, e si passerà alla fase di restituzione dei 90 miliardi prestati dalla Commissione europea all’Italia che vanno a sommarsi al già pesante debito pubblico.

Allo stesso tempo il quadro internazionale non promette niente di buono con una netta divisione del mercato mondiale in due blocchi sempre più in rotta di collisione. Insomma, è finito il tempo delle vacche grasse e sta per iniziare un lungo periodo di vacche magre. A farne le spese saranno innanzitutto i Comuni e chi li amministra che dovrà far fronte alle proteste dei cittadini che verranno penalizzati da questi tagli.

Il direttore Massimo Razzi in un suo recente editoriale aveva posto con chiarezza il nodo politico da affrontare domandandosi: chi vorrà fare il sindaco nel prossimo futuro? Anche il sottoscritto, scusate l’autocitazione, ha scritto un saggio “Le città ingovernabili” (Città del sole ed. 2016) partendo da alcuni casi concreti. Poi, la pandemia, che ha rilanciato il ruolo dei sindaci e messo in secondo piano il deficit comunale e le varie inefficienze, e successivamente il Pnrr che ha riempito il budget degli enti locali, hanno fatto dimenticare la crisi strutturale di molti enti locali soprattutto nel Mezzogiorno.

Si tratta, infatti, di una crisi strutturale che deriva da tre fattori. Il primo è legato ai debiti degli enti locali che sono cresciuti negli ultimi decenni in tutto il mondo (in Cina, per esempio, in maniera esponenziale). Il secondo ad una legge che impone il pareggio di bilancio in alcuni servizi (come la raccolta rifiuti) e costringe i Comuni in deficit a portare le imposte locali al massimo con gravi ripercussioni sui bilanci delle famiglie a reddito medio-basso.

Infine, la recessione economica che finora è stata occultata grazie a una pioggia di miliardi e che dal prossimo anno emergerà chiaramente mettendo in difficoltà famiglie e imprese. Sinergicamente questi tre fattori portano a un risentimento popolare, una rabbia che spesso si scarica sul primo cittadino, anche su chi ci mette l’anima per la propria città.

Se questi elementi accumunano diversi Paesi occidentali, e non solo, lo specifico del caso italiano è che abbiamo un debito pubblico pari a oltre il 140 per cento del Pil che comporta un esborso di quasi 100 miliardi l’anno per pagare gli interessi. Una cifra enorme di cui beneficia la rendita finanziaria e non gli investimenti, di cui hanno goduto finora i rentiers e le banche, ma che sta diventando insostenibile.

Da qui la necessità di ridurre il nostro debito pubblico, che non è un capriccio dei burocrati di Bruxelles ma una necessità se vogliamo trovare le risorse necessarie a mantenere il nostro welfare. Purtroppo, tutte le forze politiche hanno finora criticato l’austerity come una mannaia impostaci dai falchi di Bruxelles, mentre la vera domanda è: “quale austerità” praticare, chi deve pagare la riduzione del debito pubblico?

Con questa manovra finanziaria per il 2025 si potevano colpire gli extraprofitti delle banche (che arriveranno quest’anno a circa 20 miliardi), mentre il governo ha scelto di colpire le Università, la scuola e la sanità. Alle banche ha chiesto solo un timido anticipo su tasse future da pagare, in modo da poter dire alla popolazione, ignara di partite di giro, che anche le banche sono state colpite come nel programma del governo e uno dei cavalli di battaglia della Premier. Purtroppo, anche l’opposizione si limita a criticare questa linea di politica economica senza però indicare con coraggio chi dovrebbe essere tassato e chi dovrebbe avere dallo Stato maggiori sussidi, salari e benefici.

Pochi sanno che nei Paesi della Ue la spesa pubblica rappresenta tra il 45 e il 50 per cento del Pil determinando pesantemente nelle fasi recessive una ripartizione tra salari e profitti nella distribuzione del Reddito nazionale. Qualcuno potrebbe anche pensare che una linea di demarcazione tra Destra e Sinistra dovrebbe passare da una netta scelta nelle voci di spesa e entrata dello Stato, dove si capisce quali ceti e classi sociali si vogliono privilegiare o colpire. E magari la cosiddetta Sinistra potrebbe ricordarsi che era nata e fondata sul principio della giustizia sociale, e non solo quando si sta all’opposizione.

da “il Quotidiano del Sud” del 29 ottobre 2024
Foto di xiaoou dong da Pixabay

Cosenza. Fusione, il cuore dice no.-di Filippo Veltri

Cosenza. Fusione, il cuore dice no.-di Filippo Veltri

Il mio amico e collega catanzarese Sergio Dragone (ma per tanti anni al lavoro a Cosenza nel Giornale di Calabria diretto da Piero Ardenti) non ha avuto dubbi: lui se potesse – ha scritto- voterebbe no. Io invece, potendo, voterò proprio NO a quel referendum che forse – come dicono in molti -non servirà a nulla, essendo già tutto deciso a tavolino con una procedura arruffona, senza senso e tutta piegata a logiche di potere.

Ma voglio proprio vedere se e come si andrà avanti egualmente se tra un mese e mezzo arriverà una valanga di NO da Cosenza, Rende e Castrolibero! Io intanto vi dico il mio NO in maniera molto semplice e poco intellettualistica se volete e poco politica: voterò NO perché non si cancellano identità, storia, radici, appartenenza in questo modo pasticciato, accelerato, senza un vero coinvolgimento dei cittadini e nemmeno delle istituzioni dei tre comuni.

Senza soprattutto un dibattito che vada a vedere quello che già c’è da decenni e che potrebbe, può, andare avanti e anzi rafforzarsi senza appunto distruggere secoli di storia. Se è vero che Cosenza Rende e Castrolibero sono infatti ormai un’unica cosa dal punto di vista urbanistico e logistico il lavoro da fare sarebbe magari quello di una definitiva unificazione dei servizi primari, un abbattimento dei costi di gestione e altre utility come oggi si chiamano.

Ma non vado avanti su questo terreno perché altri molto più competenti di me in materia di urbanistica lo stanno scrivendo da anni, per ultimo Battista Sangineto su questo giornale.https://www.osservatoriodelsud.it/2024/10/03/altro-fusione-meglio-tre-citta-piccole-misura-duomo-battista-sangineto/

Oltre c’è però il cuore, il senso profondo cioè di una comunità che non può e non deve essere cancellato e mischiato. Questo discorso vale ovviamente per tutte e tre le comunità ma per me cosentino nativo della Massa ancor di più forse. Cioè del cuore vecchio e antico della città, che mi sentirei storpiato in una ammucchiata improvvisa.

Non sono un urbanista nè un esperto di logistica (lo ripeto fino alla noia) e nemmeno uno dei tanti politici di professione che oggi sono per il sì e domani cambiano idea (o viceversa ma il risultato alla fine è lo stesso), ma il mio NO è solo di cuore, di sentimento e di amore.

Troppo poco? Troppo sentimentale? Troppo antico? Troppo antistorico? Sarà tutto questo forse ma una città e una comunità se non vivono anche di quelle cose di che cosa vivono? Che cosa saranno? Che ci saranno oltre i palazzi che già oggi uniscono Cosenza Rende e Castrolibero ? Che ci sarà dentro quei palazzi e dentro quelle case? Pensiamoci un attimo.

da “il Quotidiano del Sud” del 15 ottobre 2024

Altro che fusione, meglio tre città piccole e a misura d’uomo.-di Battista Sangineto

Altro che fusione, meglio tre città piccole e a misura d’uomo.-di Battista Sangineto

Le città sono la rappresentazione materiale dei più importanti conflitti politici, sociali, culturali ed economici del nostro tempo e l’unificazione dell’area urbana di Cosenza è, in Calabria, quella più importante e gravida di significati e interessi politici, economici e sociali.

Da qualche decennio accade che sull’idea di città in troppi si esprimano in libertà tanto da far diventare luogo comune l’idea che la grandezza, la ‘Bigness’ delle città, e delle loro più o meno sterminate periferie-‘sprawl’, garantirebbe alla nostra società, in un mondo di città sempre più grandi e globalizzate, prosperità e benessere. Secondo questa ricetta neoliberista l’agglomerazione urbana farebbe della dimensione in quanto tale (attraverso le economie di scala e gli effetti di rete) un fattore che innescherebbe di per sé il successo delle grandi città.

La grandezza delle città avrebbe il vantaggio di trasformare la dimensione stessa in un motore di creatività attraverso la competitività di produttività, di successo e, dunque, di felicità. La ‘Bigness’ e l’urbanizzazione delle campagne circostanti alle città, invece, non è altro che uno dei tanti modi che il neoliberismo ha trovato per estrarre più ricchezza dalle città sempre più grandi trasformando lo spazio in merce e aumentando, per mano della speculazione edilizia, la diseguaglianza sociale ed economica (Settis 2017).

Per mettere le mani sulla città gli speculatori e la politica si affidano agli urbanisti e all’urbanistica che era nata, come disciplina autonoma, durante la rivoluzione industriale con la vocazione di correggere lo sviluppo industriale e i danni causati dal capitalismo. A partire dagli anni ’80 essa ha perduto, però, la sua originaria vocazione riformatrice per diventare, con le sue competenze giuridiche e tecniche, un potente strumento nelle mani dei governanti, amministratori pubblici, immobiliaristi e, persino, finanzieri, per manipolare e condizionare lo sviluppo delle città e il governo del territorio nella direzione della speculazione, dello sviluppo edilizio infinito e incontrollato (Scandurra 2024).

Un sviluppo incontrollato che, per esempio, a Cosenza si manifesta con le demolizioni/ricostruzioni nella porzione nobile della città otto-novecentesca in Via Rivocati, Corso Umberto, via Parisio, (come denunciato dal Coordinamento ‘Diritto alla città’), ma ora anche l’ecomostro di lusso alto più di 15 piani con ben 19.000 mq. di estensione che vorrebbero costruire lungo via Popilia, mentre a Catanzaro è, persino, più evidente perché si vogliono demolire, addirittura, l’ex Convento della Maddalena (XVI sec.) nonché il Convento della Stella (XVI-XVII sec.) e l’ex Convento di S. Agostino (XVI sec.) per ricostruirli, tutti, sotto forma di residenze per militari e per altre destinazioni d’uso (come denunciato da un appello di Italia Nostra).

La questione dello sviluppo infinito non riguarda solo gli specialisti di sviluppo urbano, di geografia economica, di architettura e urbanistica, ma deve riguardare la politica, soprattutto quella di sinistra, perché riguarda l’interesse generale dei cittadini. In un recente studio multidisciplinare pubblicato sul prestigioso “Cambridge Journal of Regions, Economy and Society”, alcuni studiosi europei sostengono che “il successo di una città non dovrebbe misurarsi dalla sua grandezza né dalla sua capacità di competere con altre città di egual dimensione, ma piuttosto dalla sua capacità di distribuire al proprio interno beni e servizi che possano garantire la vita civile del più gran numero possibile dei suoi cittadini” (Engelen, Johal, Salento, Williams 2017).

E se la principale caratteristica di una città bella e buona consiste, come credo fermamente, nella sua “capacità di distribuire al proprio interno beni e servizi”, bisogna avere, come già proposto da molti urbanisti e studiosi della città negli anni ’70, città più a misura d’uomo, rifacendosi, per esempio, al modello delle piccole e medie città storiche italiane (La Cecla 2015).

Non capisco, dunque, perché la sinistra politica– o quel che ne rimane a Cosenza, Rende e Castrolibero- non si opponga fermamente alla città unica che si presenta come un’annessione di Rende e Castrolibero alla città capoluogo, configurandosi come un’altra, inutile e ingovernabile, “nebulosa urbana” pensata per ridurre ancor di più lo spazio a merce.

Un’annessione, come quella che vorrebbe il presidente Occhiuto, che costringerebbe, peraltro, i cittadini di Rende e Castrolibero a pagare, oltre che per i propri, anche per gli enormi debiti fatti dalle Amministrazioni di Cosenza. Ci sono, per di più, almeno due fondamentali questioni che riguardano l’esercizio democratico dei diritti da parte dei cittadini: 1) il referendum non può essere né consultivo, né complessivo, ma deve essere ‘decisivo’ e valevole per ogni singolo comune i cui cittadini devono avere il diritto di manifestare, a maggioranza, la propria volontà di aderire o meno all’unificazione 2) il referendum ‘decisivo’ non può avvenire prima delle nuove elezioni comunali a Rende perché la condizione di una comunità politicamente acefala -per altri sei mesi, in tutto due lunghissimi anni- renderebbe l’espressione del voto dei suoi cittadini democraticamente più debole.

Per quel che riguarda il potere esercitato dai tre commissari insediatisi nella Casa comunale di Rende si deve lamentare un abbassamento della tensione democratica perché essi non hanno voluto, in nessun modo, tener conto delle molte, e differenti, istanze avanzate dai cittadini e dalle loro associazioni riguardo ad argomenti importanti quali: la radicale decimazione del verde pubblico, la complessiva riduzione dell’illuminazione delle strade, l’insostenibilità delle piste ciclabili sempre deserte, l’affidamento di beni pubblici come parchi, impianti sportivi o mercatali a privati a titolo gratuito o a prezzi risibili, il disturbo della quiete pubblica provocato da circhi con animali esotici e assordanti luna park nel pieno centro della città, nonché la musica ad altissimo volume proveniente da locali e da sedicenti feste durante 3 settimane in un parco pubblico, addirittura patrocinate dai commissari medesimi, la mancata disinfestazione cittadina mentre si diffonde, in provincia di Cosenza, il contagio del virus West Nile, trasmesso dalle zanzare.

Non sarebbe meglio, forse, continuare ad avere, nell’area urbana cosentina, tre città, due medio-piccole ed una piccola, per poter governare meglio ambiti territoriali a misura d’uomo e a misura delle limitate capacità di governo dimostrate (se si escludono poche lodevoli eccezioni) dalle Amministrazioni comunali? Non sarebbe, forse, meglio avere tre piccole città che facciano insieme scelte e infrastrutture urbanistiche ed abbiano, questo sì, i servizi essenziali unificati: trasporti, spazzatura, mense e viabilità?

Un’opposizione di merito, la mia, dunque e non, come giustamente lamenta il mio amico Enzo Paolini riguardo a quasi tutte quelle fin qui avanzate, di bassa cucina da ‘politique politicienne’.

Il modello al quale bisognerebbe ispirarsi è proprio quello della piccola e media città storica italiana, quella nella quale si va a piedi, si può andare in bicicletta in un reticolo urbano denso e pluristratificato dal punto di vista funzionale, sociale ed economico, con una corposa densità abitativa ed una armoniosa compattezza architettonica che permette tragitti brevi ed elevata funzionalità sociale.

Un modello che non è solo architettonico e urbanistico, ma che rappresenta anche l’unica possibilità di restituire a tutti il ‘diritto alla città’ perché per i cittadini la priorità non è che la loro città diventi più competitiva e più di successo di altre, ma che sia un luogo nel quale la vita quotidiana sia più gradevole e più equa per coloro che vi abitano.

da “il Quotidiano del Sud” del 3 ottobre 2024

Foto di ZENON JUSZKIEWICZ da Pixabay

Pochi nati, sempre più anziani. Sono i migranti la vera risorsa.-di Tonino Perna

Pochi nati, sempre più anziani. Sono i migranti la vera risorsa.-di Tonino Perna

Da qualche anno è stato lanciato l’allarme relativo al cosiddetto “inverno demografico”. Diciamo subito che, a livello globale, se i paesi industrializzati hanno fatto registrare tutti un netto calo delle nascite nel nuovo secolo, è una fortuna in quanto abbiamo superato la soglia degli 8 miliardi ed è un bene che si inverta una tendenza iperbolica: agli inizi del XX secolo eravamo 1,6 miliardi!

Detto questo, per mettere in chiaro che non si tratta di una epidemia, per alcuni paesi industrializzati il fenomeno presenta seri problemi che finora sono stati male affrontati. Il calo delle nascite, il tasso di fertilità delle donne è, in generale, correlato al grado di sviluppo economico e di modernizzazione/occidentalizzazione di un determinato paese. In Niger, Mali, Ciad ogni donna mette al mondo più di sette figli, nella Ue 1,4 e in Italia 1,2.

Ci si sposa sempre più tardi, le donne mettono al mondo figli in età avanzata (per l’Italia in media a 32 anni il primo figlio) e spesso si preferisce non farne o al massimo arrivare a farne due. È un fatto culturale. Non ci sono incentivi e politiche per la famiglia che possano spostare questi comportamenti esistenziali se non in modo marginale.

Nella Ue, ad esempio, nel 2022 sono nati 388.000 bambini rispetto a quasi 1,4 milioni del 2008! In Cina, nel 2022 si è registrato un netto calo demografico, con saldo negativo tra nati vivi e morti di 850.000 unità. Contemporaneamente aumenta in tutto il mondo l’età media della popolazione che nei paesi industrializzati comporta un vistoso aumento di persone over 65 anni che debbono essere assistiti dal welfare (pensioni, assistenza sanitaria, ecc.).

In base ai dati dell’OMS il Giappone è il paese con l’aspettativa di vita alla nascita la più alta (82 anni per i maschi e 86 per le femmine), seguito dalla Svizzera e con l’Italia che si colloca al settimo posto. E per il nostro paese la gestione di questo calo demografico, da una parte, e l’aumento dell’invecchiamento dall’altra, è particolarmente complesso e problematico dato il rapporto debito pubblico/Pil. Non siamo i soli, certo, ma da noi la questione delle pensioni può diventare esplosiva perché non possiamo più aumentare l’indebitamento e la contribuzione dei lavoratori e imprese è ogni anno più insufficiente. In altri termini, è chi lavora oggi che paga le pensioni e l’assistenza sanitaria per gli anziani. E il numero delle persone in età di lavoro diminuisce ogni anno e in un prossimo futuro diventerà drammatico.

Non voglio fare la cassandra ma i numeri ci dicono che nei prossimi anni, anzi a partire dal 2025, diversi governi nella Ue prenderanno provvedimenti per aumentare l’età pensionabile e/o ridurre la spesa con un taglio alle pensioni medie ed alte. Oltre al ceto medio, da dove verrà prelevato il maggiore contributo, saranno le aree più povere del nostro paese che verranno ulteriormente impoverite, a cominciare dalla Calabria dove il peso delle pensioni sul reddito regionale è il più alto d’Italia. Se dovesse altresì passare l’autonomia differenziata allora la situazione delle regioni meridionali sarebbe, sul piano sociale, davvero insostenibile.

Ci sarebbe un modo per contrastare questo inverno demografico? Lo scrive con chiarezza Francesco Billari, Rettore della Bocconi, nel suo ultimo saggio “Domani è oggi. Costruire il futuro con le lenti della demografia”. Con dati inconfutabili il Prof. Billari sostiene che non abbiamo alternative: dobbiamo organizzarci per accogliere, formare, inserire nella nostra società centinaia di migliaia di immigrati ogni anno. E invece cosa va l’Ue e il nostro governo?

Paga i paesi della sponda sud ed est del Mediterraneo per tenere nei lager i giovani che scappano da guerre e fame, impedisce agli aerei e navi delle Ong di salvarli in mezzo al mare con un cinismo che rasenta la strage intenzionale. La stessa Confindustria italiana dice che rimangono vuoti oltre trecentomila posti di lavoro, ma questo governo che ha fondato il suo successo sull’invasione dei nuovi barbari non demorde.

Se si moltiplicassero i corridoi umanitari, come ha fatto il Canada, se si creasse una aspettativa positiva per entrare nella Ue milioni di persone aspetterebbero il loro turno. Ne ho fatto esperienza diretta occupandomi dei corridoi umanitari con il Libano, prima di questa guerra maledetta guerra condotta da Israele. Per una famiglia che parte con i corridoi umanitari ce ne sono centinaia che aspettano il loro turno. È questo il modo più sicuro per contrastare i viaggi della disperazione sui barconi della morte.

da “il Quotidiano del Sud” del 2 ottobre 2024

Eolico. Siamo Sindaci o burattini? Si leva la voce dei primi cittadini italiani per una transizione energetica ecologica e democratica

Eolico. Siamo Sindaci o burattini? Si leva la voce dei primi cittadini italiani per una transizione energetica ecologica e democratica

Nel contesto autoritario nazionale e internazionale che si è creato i movimenti finanziari globali ( la cosiddetta “ volontà dei mercati “) determinano le decisioni dei governi e le leggi dei parlamenti. La transizione energetica si è avviata in Italia impedendo alle comunità locali da noi rappresentate di incidere sull’ubicazione degli impianti per la produzione di energia rinnovabile e su altri aspetti connessi, in grado di pregiudicare i già fragili equilibri dell’ambiente di insediamento delle nostre popolazioni.

La nostra osservazione comune è che ci troviamo nello stesso tempo di fronte a un sintomo e a una causa di aggravamento della crisi del sistema democratico. Per scongiurare la sindrome nimby, da tanti commentatori evocata e demonizzata quando danno conto delle diffuse proteste territoriali, la transizione energetica deve essere giusta, incardinata dentro percorsi politici e democratici e non può essere attuata in palese violazione del dettato costituzionale.

Grazie al rinnovato articolo 9 della Carta fondamentale, del patto fondativo che dal 1948 unisce gli italiani, la Repubblica tutela il paesaggio, gli ecosistemi e la biodiversità anche nell’interesse delle future generazioni. Nessun principio costituzionale può essere sacrificato per realizzarne un altro o, men che meno, per perseguire un contingente” prioritario interesse nazionale”: i singoli valori espressi e tutelati dalle disposizioni della Costituzione sono tutti assoluti e dello stesso rango, all’interno di un impianto complessivo orientato a promuovere la dignità della persona umana nel suo contesto ecologico e sociale.

Le leggi vigenti in materia energetica invece puntano a massimizzare i guadagni di un settore economico privato a scapito tra l’altro dei soldi versati al fisco dai cittadini. Noi sindaci chiediamo, interpretando la volontà del tessuto sociale dei luoghi da noi amministrati, che la produzione e la distribuzione dell’energia ridiventino un servizio pubblico essenziale: solo così la produzione energetica da fonti rinnovabili non sarà più insostenibile e non aggredirà il patrio suolo (con la sua funzione di fondamentale regolatore climatico), gli ecosistemi , la biodiversità e il paesaggio.

Solo enti pubblici collettivi, rappresentando l’interesse generale, potranno dedicarsi all’indispensabile passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili con interventi finalizzati alla riduzione degli sprechi energetici e all’utilizzazione in via primaria di suoli già consumati in tutta la nazione per l’ubicazione degli impianti (9000 chilometri quadrati secondo l’ ISPRA, una superficie grande quanto l’Umbria occupata da infrastrutture dismesse, capannoni agricoli e industriali, cave e miniere in disuso etc. , grazie alla quale si potrebbero abbondantemente superare gli 80 GigaWatt da raggiungere entro il 2030 ) .

I territori sono prima di tutto gli ambienti vitali di chi li abita, e non possono trasformarsi in zone di sacrificio assegnate alla monocultura energetica: devono essere vissuti dagli allevatori, dagli agricoltori, dagli apicoltori, da chi costruisce giorno per giorno un rapporto spirituale ed emotivo con il paesaggio, dagli operatori turistici, dai pescatori, insomma da tutte le categorie che noi rappresentiamo.

La crisi ecologica deve essere un’occasione per passare a una fase più avanzata della civiltà umana, per uscire tutti insieme da un dramma con un cambiamento di rotta, non un’ulteriore opportunità di guadagno per pochi nel solco già tracciato da un’economia anti ecologica, votata alla distruzione della vita e della bellezza del mondo.

Giulio Santopolo, sindaco di Petrizzi ( Catanzaro) ;
Michele Conía, sindaco di Cinquefrondi ( Reggio Calabria) e consigliere della Città
Metropolitana di Reggio Calabria ;
Giuseppe Cusato, sindaco di Agnana Calabra ( Reggio Calabria) ;
Luca Alessandro, sindaco di Polìa ( Vibo Valentia) ;
Domenico Stranieri, sindaco di Sant’Agata del Bianco (Reggio Calabria) ;
Angelo D’Angelis, sindaco di Serrata (Reggio Calabria) ;
Maurizio Onnis , sindaco di Villanovaforru (Sud Sardegna) ;
Mario Gentile, sindaco di Stalettì (Catanzaro) ;
DoNicolaenico Penna, sindaco di Roccaforte del Greco (Reggio Calabria) ;
Michele Tripodi, sindaco di Polistena (Reggio Calabria) ;
Giacomo Lombardo, sindaco di Ostana (Cuneo ) ;
Giuseppe Alfarano, sindaco di Camini (Reggio Calabria) ;
Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano ( Milano ) e consigliere
Metropolitano della città di Milano ;
Daniela Arfuso , sindaco di Cardeto (Reggio Calabria)
Luca Lepore, sindaco di Aiello ( Cosenza )
Nicola Fiorita, sindaco di Catanzaro
Antonio Lampasi, sindaco di Monterosso Calabro (Vibo Valentia)
Rossana Tassone. Sindaco di Brognaturo ( Vibo Valentia)
Danilo Staglianó , sindaco di Cardinale ( Catanzaro )
Alfredo Barillari, sindaco di Serra San Bruno ( Vibo Valentia)
Mimmo Donato, sindaco di Chiaravalle centrale ( Catanzaro )
Raffaella Perri, sindaco di Decollatura ( Catanzaro)