Con la legge ‘Salva-Milano’ città sempre più cementificate e diseguali.-di Battista Sangineto
La proposta di legge numero 1309 -votata il 21 novembre scorso alla Camera da Pd, Iv, Azione, +Europa e destra- è in discussione, in questi giorni, alla commissione ambiente del Senato e dovrebbe essere votata in aula nelle prossime settimane. Si tratterebbe di un’”interpretazione autentica” delle principali leggi urbanistiche e, sostanzialmente, estende il modo di costruire usato a Milano negli ultimi dieci anni a tutto il Paese.
È stata chiamata “Salva-Milano” ed è la risposta politica alle indagini giudiziarie sull’urbanistica milanese. Nata come un condono per sanare le irregolarità del passato, il “Decreto del Fare” n. 69/2013 del governo Letta, è stata ora trasformata in provvedimento “di interpretazione autentica” che, se approvato definitivamente, imporrà come legge -in tutta Italia e per sempre- la pratica urbanistica seguita a Milano, annullando, in sostanza, le disposizioni che impongono la pianificazione attuativa delle città, a garanzia dei servizi dovuti a tutti i cittadini.
Una pratica, quella milanese, che, del resto, è già stata messa in atto in tutta la Calabria e, in particolare, a Cosenza dove si stanno demolendo piccoli e medi caseggiati per ricostruirvi, al loro posto, enormi e altissimi palazzi in aree già densamente urbanizzate e, spesso, di pregio storico e architettonico.
Questa proposta di legge cambierà radicalmente in peggio il futuro delle nostre città, rendendole sempre più cementificate e più diseguali. Toglierà ai Consigli comunali il potere di controllare che i costruttori e i fondi immobiliari facciano l’interesse pubblico e cioè realizzino, insieme ai nuovi palazzi, anche i necessari servizi per la città: edilizia sociale, parcheggi, marciapiedi, giardini, piste ciclabili, parchi, scuole, biblioteche et cetera.
Grazie a questa proposta di legge -come scrivono i 140 studiosi che hanno firmato una lettera-appello per fermarla- lo spazio urbano sarà occupato da edifici senza un disegno unitario, senza un piano, senza una visione di città, se non quella dei costruttori, degli speculatori edilizi e dei fondi immobiliari. Verrà ampliata a dismisura la categoria della ristrutturazione edilizia, nella quale rientreranno, a maggior ragione, le ri-costruzioni senza alcun rapporto formale e volumetrico con quanto demolito.
In tal modo le demolizioni/ricostruzioni avranno, rispetto alle costruzioni ex novo, oneri concessori molto ridotti perché eseguite in aree già urbanizzate e, di conseguenza, l’enorme risparmio dei costruttori si tradurrà in una drastica riduzione delle entrate e, quindi, delle disponibilità finanziarie dei Comuni per la realizzazione della parte pubblica delle città.
Se dovesse passare questa legge, l’ormai desemantizzata “rigenerazione urbana” si potrà praticare liberamente senza un piano e con oneri ridotti nelle aree già infrastrutturate mentre tutti i cittadini sanno quanto verde, quanti parcheggi, quanta edilizia sociale e quanti servizi come acqua e raccolta dei rifiuti scarseggino, proprio lì dove la città già esiste, soprattutto al Sud ed in Calabria.
La densificazione urbanistica, del resto, fa inevitabilmente salire la domanda di servizi per la cittadinanza e molte città, in particolare quelle meridionali, non se lo possono materialmente permettere già ora.
Questa legge, insomma, impedirà definitivamente, soprattutto nel Mezzogiorno, di promuovere politiche di vera rigenerazione e riqualificazione delle nostre città e delle periferie, ridurrà il verde e i servizi, innescherà dinamiche finanziarie che aumenteranno i prezzi dell’abitare e accresceranno le disuguaglianze nelle nostre città.
Questo provvedimento imporrebbe in tutta Italia un modello neoliberista che vede il pubblico cedere la pianificazione urbana al privato in un momento nel quale le città hanno un estremo bisogno di una strategia pubblica di governo per far riacquistare ai cittadini un indispensabile diritto alla città.
Altro che fusioni di città, bisognerebbe iniziare a fare piani urbanistici davvero a ‘cemento zero’, senza alcuna ‘perequazione urbanistica’, senza nessuna demolizione/ricostruzione con variazione di forme e aumenti di volumetrie, ma con la, vera, ristrutturazione degli antichi edifici dei Centri storici e degli edifici moderni in rovina o fuori norma. Il Consiglio comunale di Cosenza, per esempio, potrebbe fermare l’approvazione del Psc adottato dalla precedente amministrazione e provare a modificarne l’impianto adeguandosi, alla lettera, alle prescrizioni europee del ‘consumo di suolo zero’ e, magari, potrebbe provare ad armonizzarlo con quello, già esistente, di Castrolibero e, soprattutto, con un nuovo Psc che il prossimo Consiglio comunale di Rende appronterà e approverà, da qui a qualche mese.
da “il Quotidiano del Sud” del 17 dicembre 2024