Se la priorità è la questione settentrionale di Gianfranco Viesti
La questione settentrionale pare la prima, forse l’unica, priorità del paese. Più vicende sembrano giustificare questa impressione. C’è la questione dell’autonomia delle regioni del Nord, in questi giorni sotto traccia ma pronta a scoppiare quando il Governo mostrerà le carte e se ne potranno capire tutte le conseguenze negative per il resto del paese. C’è la rappresentazione insistita del disagio “del Nord” per alcune delle misure di politica economica, con le iniziative delle associazioni territoriali e l’immagine del “Partito del PIL” che rappresenterebbe l’Italia che si dà da fare, lavora, investe e contesta l’”assistenzialismo”; e sta tutta ad una certa latitudine. C’è, naturalmente, l’azione politica della Lega, che rimane un partito che ha molto più a cuore gli interessi dei suoi tradizionali territori di insediamento rispetto al resto del paese, e che interviene su ogni misura per assicurarsi che il suo impatto territoriale sia favorevole; a fronte di un Movimento 5 Stelle che non sta certamente usando i moltissimi voti raccolti al Sud alle ultime elezioni per controbilanciare queste tendenze.
E c’è la vicenda dalla TAV Torino-Lione. Che certo balza all’attenzione delle cronache per i contrasti nel governo. Ma che assume una valenza prioritaria proprio perché viene vista e presentata come un’opera del Nord e per il Nord. Prova ne è l’idea del referendum, da attivare nel caso il governo decida negativamente sull’opera. Il Presidente della Regione Piemonte ha dichiarato “chiederò al Consiglio regionale di indire un referendum consultivo. Se lo riterranno, potranno unirsi i colleghi di Veneto, Lombardia, Valle d’Aosta, e Liguria, in modo da avere una giornata in cui tutto il Nord Italia si pronunci sulla Tav”. Subito sostenuto dal Presidente della Lombardia, così come dallo stesso Vicepresidente del Consiglio Salvini.
Curioso no? Specie se si considera che il costo della TAV verrebbe comunque sopportato da tutti i contribuenti italiani, e non solo da quelli del Nord. Ma l’eventuale potere di decidere sulla realizzazione dell’opera – a spese di tutti – starebbe solo a loro. Forse perché sono più seri, più capaci: non è chiaro. Un tempo le classi dirigenti italiane sostenevano che i valichi alpini erano della grandi opere di valenza nazionale, certamente non locale: per mettere in collegamento l’intero paese con il resto dell’Europa. Per permettere alle merci di risalire la penisola, ancor più a partire dalle aree più lontane dalle Alpi, e trovare sbocchi di mercato nelle grandi economie continentali. Per permettere ai passeggeri di poter viaggiare attraverso tutto il Continente. Come i grandi porti del Mediterraneo. Argomenti che sembrano appartenere ad un’altra era politico-culturale.
D’altronde non sono questioni nuove. Se si compara la mappa dell’alta velocità ferroviaria italiana con quella spagnola, francese, tedesca balza subito all’occhio una fondamentale diversità. In Spagna e in Francia le reti disegnano sostanzialmente una grande raggera, che parte dalla capitale e copre tutto il paese; in Germania un disegno molto fitto, che collega tute le città, a Nord e a Sud, ed Est e a Ovest. Solo in Italia ha la forma di una T: un asse verticale che sale da Napoli a Milano, e un asse orizzontale, in completamento, da Torino a Venezia. Tutto ciò che è a Sud di Napoli, o ad Oriente dell’Appennino, non conta. E la priorità è completare i collegamenti verso il Veneto (per un risparmio di tempi modesto, ad un costo molto alto), e verso Genova. Quest’ultima decisione assai opportuna, per collegare una città in gravissima difficoltà. Ma che non vale per tante altre città del paese: perché, non sono nell’Italia “seria”, quella di serie A. Senza parlare naturalmente dell’Italia – da questo punto di vista – di serie C: dove servono sei ore per andare da Ragusa ad Agrigento e quattro per andare da Cagliari ad Olbia.
Sembra che lo sguardo di una parte rilevante delle classi dirigenti politico-economiche del Nord (ben al di là del perimetro leghista) si sia decisamente accorciato. Interessa e conta solo ciò che si fa qui: siano le Olimpiadi invernali o lo Human Technopole o la Torino-Lione. Posizione assai miope, sia consentito dirlo. Non solo per motivi di equità, ma anche di efficienza. Se non si rilancia l’intero paese, se non si investe in tutte le sue città e in tutti i suoi territori, le stesse aree più forti ne soffriranno. Tenderanno a ridiventare, come in un passato non così lontano, piccole economie satelliti di quella germanica; e non la parte più avanzata di un grande paese.
Gianfranco Viesti