…..e anche le badanti lasciano il Sud di Tonino Perna
C’è un fenomeno sociale poco conosciuto e sottovalutato che rappresenta una possibile chiave di lettura della situazione drammatica che vive il Mezzogiorno oggi. Non lo troverete nelle statistiche, così come non trovate il dato reale dell’emigrazione giovanile: Svimez, Istat ecc. registrano solo i cambiamenti di residenza quando è noto che la gran parte dei giovani in fuga dal Sud cambiano la residenza dopo molti anni che hanno abbandonato la terra d’origine. In questo caso ci riferiamo al movimento lento, ma costante, ad un fuga che avviene fuori dai riflettori dei mass media: le badanti straniere stanno lasciando la gran parte delle città meridionali per recarsi al Nord.
Chi sono queste badanti straniere di cui nessuno parla? Secondo stime credibili ammontano a circa 1,2 milioni di persone, per la stragrande maggioranza donne, anche se esistono badanti maschi, soprattutto per funzioni secondarie (come dog-sitter). In grandissima maggioranza provengono dai paesi dell’est – rumene, ucraine, georgiane, moldave, ecc.- ma anche dalle Filippine e, in misura minore, da qualche altro paese asiatico (come il Bangladesh) o dell’America Latina (Equador soprattutto). Sono veramente rari i casi di badanti dell’Africa Sub-sahariana, per diversi motivi, non ultimo il colore della pelle. Sono un esercito silenzioso, che vive nell’ombra, stanno 24 ore su 24 nelle case delle persone anziane (per lo più non autosufficienti) ed hanno diritto per contratto a sole due uscite a settimana, il pomeriggio dalle 15 alle 20. Senza di loro sarebbero saltati molti equilibri familiari e centinaia di migliaia di anziani non autosufficienti sarebbero finiti in ospizi o abbandonati, dato che la maggior parte delle famiglie non dispone di un reddito tale da mantenerli in centri per anziani adeguati.
Nel Mezzogiorno fino a pochi anni fa le badanti straniere erano circa 400-450mila, una percentuale, rispetto alla popolazione, leggermente superiore a quella del Nord. Molteplici i motivi: la carenza di centri per anziani convenzionati con le Regioni, una sorta di “riprovazione sociale” rispetto all’allontanamento del genitore dalla sua abitazione, la facilità con cui, fino a qualche anno fa, si trovavano badanti straniere che accettavano di lavorare per pochi soldi e senza essere registrate.
Negli ultimi anni la situazione sta rapidamente cambiando: molti stranieri provenienti dall’est europeo stanno tornando a casa, soprattutto giovani che hanno messo da parte un po’ di denaro risparmiato, ma anche donne che facevano le badanti. Hanno iniziato otto anni fa i polacchi, seguiti dai rumeni e dagli albanesi, per cui si sta riducendo l’offerta di “serve” a tempo pieno. Il peggioramento della situazione economica italiana e il relativo miglioramento nei paesi d’origine fa sì che questi andamenti continueranno nei prossimi anni. Ma, mentre nel Nord Italia la risposta è stata quella di aumentare il salario delle badanti, al Sud non ci sono state variazioni di rilievo a livello di retribuzioni e di condizioni di lavoro: 600-700 euro al mese contro le 900-1000 delle grandi città del Nord Italia.
Pertanto le badanti straniere se ne vanno via dal Mezzogiorno e vengono sostituite solo parzialmente dalla forza-lavoro locale, in quanto è difficile trovare una donna meridionale che si sacrifichi tutto il giorno e che rimanga costantemente la notte a casa di un estraneo. Avveniva una volta, quando le giovanissime figlie dei contadini venivano mandate presso le case dei “Gnuri” per svolgere questo ruolo, ed in cambio quando diventavano adulte veniva loro regalato un corredo matrimoniale. Dagli anni ’60 del secolo scorso questa tradizione servile è finita, per fortuna, e le donne meridionali non sono più disponibili a questi lavori servili, in cui sei a disposizione del padrone/a giorno e notte.
Se questo trend verrà confermato gli anziani appartenenti al ceto medio meridionale, che è il più colpito dall’emigrazione dei figli, si troveranno in una condizione grave di abbandono e desolazione. Una situazione che ci porta a fare alcune riflessioni e proposte per i prossimi anni.
Innanzitutto è chiaro, anche nel Sud del “familismo amorale” come l’aveva definito Banfield, la famiglia allargata è scomparsa da tempo (rimangono delle testimonianze nelle aree interne) e quella nucleare è entrata in una crisi profonda. L’emigrazione di massa ha accelerato questi processi e ora ci porta di fronte a delle scelte ineludibili: o si trovano nuove strade per il welfare che organizzi dei servizi collettivi adeguati o lasceremo una gran parte della popolazione. Gli anziani soli e abbandonati che hanno una pensione dignitosa potranno seguire i figli che sono emigrati, per gli altri non ci resta che piangere. Salvo che i corpi intermedi della società meridionale non reagiscano, a partire dai sindacati che dai pensionati ricevono il maggior contributo economico, e si costruisca un’altra struttura di welfare adeguata ai nuovi bisogni.