Autonomia, una legge che non si potrà blindare di Massimo Villone
Sul regionalismo differenziato in salsa lombardo-veneta l’allarme sale in modo esponenziale, e grazie al ministro Bussetti siamo certi che mai battaglia fu più giusta. Fico vuole rassicurarci sul ruolo dell’assemblea elettiva. Ma seguirà o no la prassi delle intese con i culti acattolici?
Per cui il disegno di legge governativo sarebbe inemendabile? Vogliamo dare una mano. Una prassi non è imposta da regole cogenti, ma è costruita sull’esperienza e sui precedenti. È sempre modificabile, in base alle esigenze, e può a tal fine bastare anche una diversa lettura delle norme applicabili. Nella specie, si vuole trasferire la prassi ex articolo 8 della Costituzione per i culti acattolici al regionalismo differenziato ex articolo 116, perché in entrambi i casi si giunge alla legge «sulla base di» intesa. Ma la formulazione testuale non è di per sé decisiva. L’intesa ex articolo 8 definisce la diversità e la conseguente separatezza che una minoranza protetta – il culto acattolico e la sua fede – vuole garantirsi nei confronti della maggioranza che si traduce nella legge. Da qui l’inemendabilità. Tra l’altro, nemmeno tali intese sono ritenute in principio assolutamente inemendabili.
Nell’articolo 116, invece, e nel complesso di regole costituzionali sul regionalismo, è garantita l’eguaglianza prima della diversità. Veneti e lombardi sono pur sempre cittadini italiani, titolari dei medesimi diritti e doveri di tutti gli altri. Quale diversità e separatezza potrebbe o dovrebbe difendere una inemendabilità dell’intesa? Con l’aberrante conseguenza di impedire il concorso dell’assemblea rappresentativa alla formulazione di scelte che toccano la vita di tutti?
Nell’articolo 116 la formula «sulla base di» può e deve essere letta diversamente rispetto all’articolo 8. Come?
L’articolo 116 dice solo che l’intesa precede l’approvazione della legge. Ma non prescrive come e dove si collochi nel procedimento di formazione della legge, né che intervenga tra regione e governo, e tanto meno che si traduca in un disegno di legge inemendabile. Basta allora qualificare come pre-accordo l’intesa trasfusa nel disegno di legge che il governo presenta in parlamento, sul quale vanno applicate le regole generali per la discussione e l’approvazione, inclusa l’emendabilità. Nel lavoro parlamentare il testo non è più modificabile quando si arriva alla «doppia conforme», cioè quando le due camere hanno approvato un’identica formulazione testuale. Nel momento precedente il voto finale sull’intero testo – ormai consolidato – si può verificare che sussista l’intesa, nuovamente da parte dell’esecutivo, o in alternativa da parte della Commissione parlamentare per le questioni regionali, cui comunque già compete di esprimere un parere sul disegno di legge. Se l’intesa c’è, si procede con il voto e la promulgazione.
Diversamente, si riapre la trattativa e si ripete il procedimento. Avrebbe bisogno il presidente di assemblea dell’assenso del governo per innovare la prassi? No. Tutto rientra nel quadro dei poteri del presidente e delle norme vigenti e applicabili alla formazione della legge, anche per quanto riguarda l’ipotesi di coinvolgere la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Si può fare senza alcun ritocco delle regole. Diversamente, il rischio di incostituzionalità è alto. Sappiamo (da ultimo, l’ordinanza della Corte 17/2019) che è legittimato al ricorso per conflitto tra poteri il singolo parlamentare nel caso di «una sostanziale negazione o un’evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita al ricorrente». Tale innegabilmente è il caso se al parlamentare è precluso ogni emendamento su una proposta che tocca la Nazione – tutta – che egli rappresenta. Per di più, mancando le situazioni eccezionali che hanno contribuito alla inammissibilità del ricorso per la legge di stabilità.
La preclusione degli emendamenti potrebbe poi essere vista come un vizio in procedendo della legge, sia in un ricorso diretto da parte di una regione, o in un giudizio in via incidentale stimolato da chi avesse ricevuto prestazioni dei servizi civili e sociali inferiori a quelle di una regione beneficiaria della maggiore autonomia. Ma questo si vedrà dopo. Intanto, consigliamo a oppositori o dissenzienti in senato di affilare le armi e preparare le carte bollate, qui e ora. Già un solo ricorso potrebbe bloccare l’ingranaggio.
A rischio il Servizio sanitario pubblico con l’«autonomia differenziata»
Il Manifesto
12.2.2019