L’uso del suolo e lo sviluppo insostenibile di Massimo Veltri di Massimo Veltri
L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) è un ente pubblico di ricerca, istituito con legge dello Stato nel 2008 e operativo dal 2010. E’ sottoposto alla vigilanza del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e, fra le sue meritorie iniziative, produce periodicamente un rapporto sul consumo di suolo in Italia. Un rapporto che assume la forma di un volume di centinaia di pagine, ricco di dati, elaborazioni, cartine, grafici, raffronti, stime e valutazioni oltre che di suggerimenti e proposte. Articolato, dopo uno studio a scala nazionale, per regioni e province si avvale del contributo delle agenzie regionali del Ministero cui è sottoposto e, per come si va configurando negli anni, assume il significato oltre che il valore di un vero e proprio indispensabile vademecum per chi si occupa, a diverso titolo, di discipline, studi e interventi sul territorio.
Il terzultimo Rapporto, in ordine di tempo, sul consumo del suolo fu presentato nel 2015 a Cosenza alla presenza fra gli altri del presidente pro-tempore dell’Ispra, prof. Bernardo de Bernardinis. Ci fu una animata e partecipata discussione con gli interventi di tecnici, ricercatori, ambientalisti, operatori politici e amministrativi riassumibile, forse un po’ troppo drasticamente, nella constatazione di come fosse indispensabile intervenire al più presto in termini normativi con una legge sulla limitazione e\o regolazione dell’uso del suolo, sull’arresto di nuove edificazioni, sull’accentrare l’attenzione sul recupero e la riqualificazione dell’esistente.
In Parlamento giacevano all’epoca disegni di legge orientati in tal senso, così come pure in periferia e in Calabria era nettamente percepibile l’attenzione verso il recupero dei centri storici, il riequilibrio territoriale fra aree collinari e montane con quelle vallive, un allarme non solo declamatorio per le varie situazioni ambientali che via via andavano aggravandosi.
Oggi, a quattro anni di distanza, coglie in qualche modo di sorpresa il fatto che sia passata sostanzialmente sotto silenzio la presentazione del rapporto 2019 sul consumo del suolo nel nostro paese. Un rapporto ancora più ricco dei precedenti, più ‘informato’, più articolato e territorialmente dettagliato, illustrato e analiticamente descritto: sarebbe proprio il caso di adoperare l’espressione ‘strumento didascalicamente indispensabile’. Sotto silenzio, dicevamo, proprio quando il clamore dell’uragano Greta è arrivato fino alle Nazioni Unite, nelle nostre scuole si sciopera perché i ghiacciai si stanno sciogliendo, tutti i parlamenti di mezza Europa, e non solo, annunciano che l’emergenza ambientale è a tutti gli effetti una priorità.
C’è, oggettivamente, uno stridore nel non cogliere i nessi evidenti fra i due accadimenti e sarà perciò utile soffermarsi brevemente qui nel ricordare sostanzialmente due fatti. Il primo risale allo sviluppo e ai suoi limiti: senza andare al Club di Roma di Aurelio Peccei e ai suoi sodali degli anni sessanta del secolo scorso non si può non ribadire – ma non per fare il verso a coloro i quali predicano la decrescita felix (inattuale e impraticabile) – che talune ma prevalenti ipotesi che si sorreggevano sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, quali che fossero, rinnovabili o meno, sono pesantemente da rivedere e senza indugi, pena il collasso del mondo che abbiamo costruito. Da più parti e in maniera irresponsabile si odono irrisioni per i toni definiti allegramente catastrofistici mentre le validazioni scientifiche inoppugnabili dei dati e delle situazioni che abbiamo vanno univocamente verso la progressiva insostenibilità del sistema. Il secondo: si ripropone in tutta la sua capacità di mettere un freno all’entropia nella quale siamo immersi la necessità di avvalersi di strumenti di pianificazione. Strumenti non mastodontici, rigidi e onnicomprensivi ma agili e duttili, rimodellabili e ricalibrabili, in grado però di prefigurare nel tempo usi, destinazione di comparti e allocazione di insediamenti fra loro armonizzati e, soprattutto sostenibili.
Non si rinvengono elementi più efficaci e paradigmi più idonei di quelli che seguono, per rendere impellente e ineludibile una serie di azioni concertate volte a prospettare un’azione per il nostro futuro. Da una parte le parole di Martin Heidegger che, com’è stato di recente ricordato, nel 1951 a Darmstadt ammoniva: «I mortali abitano in quanto salvano la terra. Ma salvare la terra è qualcosa di più che riutilizzarla o addirittura affaticarla. Salvare la terra non significa dominarla né sottometterla, dalla qualcosa manca solo un passo allo sfruttamento illimitato». Dall’altra il ribadire assenza e ritardi governativi di una legge nazionale del consumo di suolo, evidenziando nel contempo la ridotta capacità delle amministrazioni regionali di arrestare la tendenza dei fenomeni di consumo e depauperamento del suolo e del territorio.
I dati sono impietosi: nel biennio 2017- 2018 il consumo di suolo in Italia ha riguardato più di cinquanta chilometri quadrati al giorno, con gli stessi altissimi ritmi del biennio precedente. I cambiamenti maggiori si sono verificati “nelle aree di pianura del nord, della Toscana, nell’area metropolitana di Roma, lungo le coste romagnole, nella bassa Campania, nel Salento, e dov’è localizzata la maggiore presenza di superfici artificiali si registra un incremento di temperatura estiva pari a due gradi centigradi”. Le aree del nord del paese a più alto gradiente di crescita mostrano i dati più allarmanti, a dimostrazione della fragilità di un modello di sviluppo tutto da rivisitare, ma anche quelle protette e vincolate, quelle ad alto rischio idraulico, da frana e sismico non evidenziano alcuna inversione di trend. ‘La velocità del consumo di suolo è in ogni caso molto lontana dagli obiettivi comunitari di azzeramento del consumo netto di suolo’.
Accanto a dati non confutabili e a impostazioni culturali e politiche scevre di ideologismi non si può che prendere atto della insostenibilità della situazione e promuovere rapide e consapevoli inversioni di tendenza. La parola ai responsabili: a partire dal Governo centrale, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. I dati e le considerazioni che costituiscono l’ossatura di queste note provengono da un Istituto che è sotto la sua tutela.