La legge-quadro è un ponte assai fragile di Massimo Villone
Due i fatti nuovi sull’autonomia differenziata, dopo lo stop al tentativo del ministro Boccia di forzare la mano traducendo la sua proposta di legge quadro in emendamenti alla legge di bilancio. È stata presentata la proposta di legge quadro – di cui peraltro già circolava un testo.
E la maggioranza si riunisce sul tema. Un passaggio certamente non privo di ostacoli, che si aggiunge alle tante turbolenze endo-governative, dal Mes alla prescrizione.
La proposta di legge quadro è – come ho già scritto su queste pagine – debole. Il cardine si trova nel l’art. 1, che impegna lo stato a rispettare alcuni parametri nella sottoscrizione dell’intesa. Si vuole cioè vincolare la delegazione trattante statale nel confronto con la delegazione regionale, precludendo la stipula di intese non conformi alle prescrizioni della legge-quadro. In tal modo si vorrebbe assicurare stabilità e uniformità di trattamento per tutte le regioni.
Dov’è il punto debole? Anzitutto, nel fatto che le intese sono approvate a loro volta con una diversa e successiva legge, specificamente prevista dall’art. 116 della Costituzione. Se venisse stipulata un’intesa non conforme ai dettati della legge quadro, tale difformità verrebbe coperta e sanata con la legge successiva che approva l’intesa. Un governo, magari espressione di una diversa maggioranza, che volesse favorire questa o quella regione, non incontrerebbe alcun insuperabile ostacolo.
Ad esempio, l’art. 1, co. 1, lett. d), sembra stabilire che le funzioni siano trasferite solo dopo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (lep) e dei fabbisogni standard. Mancando i lep, trascorsi dodici mesi le funzioni sono trasferite in base alla spesa storica. Ma una legge recante le intese che stabilisse l’immediato trasferimento delle funzioni prevarrebbe sul rinvio di dodici mesi. D’altronde, le regioni favorite dalla spesa storica avrebbero interesse a impedire o ritardare la determinazione di lep e fabbisogni standard.
È questa essenzialmente la ragione per cui i lep sono rimasti nel cassetto per quasi vent’anni. Ed è ormai provato oltre ogni ragionevole dubbio, e contro la vulgata generale, che la spesa storica ha favorito e favorisce le regioni del Nord.
Inoltre, i parametri utilizzati nella legge sono tanto generici da poter rimanere di fatto ininfluenti, o da recare danno. Ad esempio, quali competenze legislative, non correlate al trasferimento di risorse, l’intesa può attribuire con decorrenza immediata (art. 1, co. 1, lett. e)? Per di più, nelle materie di competenza concorrente si tratta di quote della potestà legislativa statale di principio. La legge-quadro consente che lo stato in futuro abbia il potere di dettare leggi di principio per alcune regioni, ma non per altre. Con quali effetti sul sistema paese?
Il punto debole è che la proposta nulla dice sulla trasferibilità di potestà legislative. Ci sono limiti assoluti? Si garantisce l’attinenza alla specificità dei territori?
Come? O se ne prescinde? Come più volte detto, scuola, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti oggi nazionali si possono regionalizzare o no? E la tutela ambientale? E i beni culturali di primario rilievo? Sulla perequazione strutturale in specie l’art. 3 è poi vistosamente insufficiente, e quasi incomprensibile nella formulazione.
L’Italia degli staterelli è un rischio reale. L’unità della Repubblica oggi passa attraverso il recupero dell’obiettivo – fatto esplicitamente proprio dalla Costituzione nel testo del 1948 – di ridurre il divario tra Nord e Sud, e di rendere l’Italia una piattaforma logistica essenziale nello scacchiere euro-mediterraneo. Questa scommessa è vincente, è nell’interesse del Nord e del Sud, può dare forza a una rinnovata solidarietà.
Può darsi che Boccia abbia l’intento di fare il pontiere in un paese diviso, e non solo di dare un assist a Bonaccini nel voto emiliano. Ma non bastano le buone intenzioni. I contrasti di interessi sono reali e vanno assunti e mediati, non occultati o dissimulati. La questione delle autonomie va affrontata perseguendo obiettivi politici chiari ed espliciti, da porre a fondamento delle mediazioni certamente necessarie. La legge quadro è un ponte assai fragile, perché vistosamente carente nel progetto politico. Anche i ponti devono avere un’anima.