La politica non parla più di Napoli e del Sud.-di Massimo Villone
Sappiamo da sempre che il voto amministrativo nelle grandi città ha un rilievo politico. Così sarà anche questa volta, e forse persino in misura del tutto particolare. Lo apprendiamo da Letta, che nella direzione Pd di venerdì scorso ha delineato un cambio di strategia nazionale che trova diretta origine in quel che accade sul fronte locale.
Nell’assemblea della sua investitura aveva sostanzialmente annunciato la stagione di un nuovo Ulivo, con alleanze strategiche pre-elettorali supportate da un sistema elettorale maggioritario. Era un disegno ambizioso di ritorno al bipolarismo. Si è infranto, al momento, sulla difficoltà di allearsi nel voto amministrativo. Se si va in battaglia frontale oggi, è davvero difficile pensare domani in vista del voto politico a una alleanza strategica e strutturata. Si ritorna allora a un modello multipolare, in cui con un sistema elettorale proporzionale ognuno corre per sé. Le alleanze per il governo si costruiscono dopo il voto, in parlamento.
Letta aveva sottovalutato le convulsioni che attanagliano M5S, in parte originate proprio nella politica regionale e locale. Accade anche a Napoli. Colpisce, però, che nessuno parli di questioni di merito, di progetto, di futuro della città. Invece, è colluttazione permanente su alleanze e persone. Sappiamo di Catello Maresca, candidato tuttora non-candidato che però è già di fatto in campagna elettorale, e ha dato luogo a perplessità per la funzione ricoperta. Sappiamo dei tormenti di Fico che M5S – ma non tutto – vorrebbe candidato. Sappiamo di Manfredi, della sua attesa per alcune telefonate cruciali, e di condizioni da lui poste. Sappiamo che Amendola è in ribasso.
Sappiamo delle 24 liste che il segretario Pd Sarracino mette intorno a un tavolo, e speriamo che almeno lo faccia da remoto. Sappiamo di Bassolino, candidato e da tempo in campo. Sappiamo di una fine che potremmo definire ingloriosa della sindacatura de Magistris, e della debole candidatura della Clemente. Sappiamo di un consiglio comunale ormai moribondo, che non ha nemmeno la forza di esalare l’ultimo respiro. E potremmo continuare.
Al di fuori delle candidature, l’attenzione della politica sembra concentrarsi sui vaccini, sui ricoverati, sui defunti, da un lato, e sulle riaperture più o meno progressive e auspicate dall’altro. Eppure, qui e ora ci giochiamo una parte importante del futuro. Consegnato a Bruxelles il testo definitivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), avremmo ritenuto indispensabile e urgente che i soggetti politici e le assemblee elettive avviassero un approfondimento dei contenuti e delle conseguenti iniziative.
Per quel che sappiamo, almeno per il momento non accade. Eppure, da discutere c’è, e molto. Per una parte, il Piano dipenderà da come verrà concretamente attuato, e su questo si potrà cercare di incidere. In qualche caso già le cifre sono significative. Ad esempio, se si guarda agli stanziamenti per l’Alta velocità sbandierati come cruciali per il Mezzogiorno, si nota che la gran parte delle risorse nei primi anni è destinata al Nord. Per il Sud – sull’asse Salerno-Reggio Calabria – vanno fondi in prevalenza dopo la chiusura del 2026.
Questo significa che i fondi al Nord sono garantiti dalle strette condizionalità poste dall’Europa. Quelli al Sud rimangono affidati alla volatilità della politica nazionale del dopo Piano. Tutto dipenderà da quale paese avremo nel 2026. Quale destino si prefigura per Napoli? La risposta non è certo un carcere a Bagnoli. Né basta colluttare sul debito pregresso. Ad esempio, cosa fare di Napoli Est? Su queste pagine il presidente dell’Unione industriali vede l’area come centrale nella transizione energetica, in cui la Campania ha un ruolo primario per eolico, idrogeno e mare.
È una prospettiva non banale. Cosa ne pensa la politica? E cosa pensa di quel che il Piano dice sui porti e retroporti nel Mezzogiorno? Basta a configurare un sistema Sud proiettato come piattaforma logistica nel Mediterraneo per tutto il paese? In caso contrario, si può recuperare tale vocazione? E come?
Il rilancio del Mezzogiorno come sistema produttivo alla pari con il resto del paese è un obiettivo da non perdere mai di vista. Il Sud non può vivere solo di turismo e cultura. E ancor meno sopravvivere solo con il reddito di cittadinanza. Vediamo in campo molte meritorie iniziative di approfondimento da parte di associazioni, studiosi, esperti. Ma non bastano. Sono indispensabili le voci della politica e delle istituzioni. Sempre che abbiano voglia di ritrovare il ruolo che ogni giorno di più sembrano dimenticare.
da “la Repubblica Napoli” 16 maggio 2021
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