Il Mezzogiorno implode di Tonino Perna
Partiamo da un fatto: i dati sull’emigrazione dal Mezzogiorno al resto del mondo sono decisamente sottostimati, soprattutto quelli che riguardano l’emigrazione Sud-nord nel nostro paese. Il motivo è semplice: dalla Svimez all’Istat tutti analizzano l’emigrazione servendosi dei dati relativi ai cambiamenti di residenza . Ora, come molti di coloro che vivono nel Mezzogiorno sanno, la gran parte dei giovani che emigra nel Centro-Nord Italia per i primi anni non cambia residenza. Le ragioni sono tante: dal viaggio gratuito o scontato al momento delle elezioni, all’aumento per l’Imu come seconda casa che scatterebbe per chi ha una casa di proprietà nel Sud, al fatto che per molti l’emigrazione è un processo controverso e non una scelta definitiva. Dobbiamo, infatti, tener conto che per una fetta importante dell’emigrazione giovanile al Nord non rappresenta più una certezza in termini di occupazione stabile e definitiva, come avveniva negli anni ’50 e ’60 per i loro nonni, ma una continuous looking for employment, con molte sconfitte e pochi successi. Infatti, sono tanti i giovani che arrivano e ripartono dalle regioni del Centro-Nord dove hanno trovato per un breve periodo – il caso più comune è una supplenza a Scuola – un posto di lavoro a termine. Ci sono poi quelli che pur trovando un lavoro per un periodo più lungo non ce la fanno , dato il basso salario, a coprire i costi dell’inurbamento e così ritornano indietro o ricorrono al contributo dei genitori. E quest’ultimo è un dato paradossale che rovescia i parametri dell’emigrazione storicamente conosciuta: negli anni ’50-’60 erano i migranti meridionali al Nord che mandavano i soldi ai propri familiari che restavano nel Mezzogiorno, con cui sono state costruite quelle case, spesso mai finite, nei nostri paesi (così come fanno o hanno fatto i migranti albanesi, rumeni, marocchini, ecc. ) ; oggi sono le famiglie meridionali che trasferiscono una parte dei loro risparmi al Nord per mantenere i propri figli al lavoro. Li pagano per farli lavorare lontano da casa ! E’ pazzesco. In questo dato di fatto c’è tutta la disperazione per la condizione giovanile nel Mezzogiorno nel XXI secolo. Come emerge dai dati analizzati nel volume “Mezzogiorno Buonanotte” a cura di Daniele Petrosino e Onofrio Romano, l’impatto della Lunga Recessione nel Mezzogiorno è stato devastante. Dato il peso della spesa pubblica nella composizione del Pil meridionale, i tagli lineari dei governi dal 2007 a oggi hanno inciso il doppio rispetto al Nord in termini di caduta del reddito pro-capite, consumi e investimenti. Il divario Nord-Sud è diventato un abisso come mai c’era stato nella storia d’Italia. E i governi al di là delle lacrime da coccodrillo sulla condizione giovanile che cosa hanno fatto ? niente o peggio di niente. Hanno ignorato questa che è la vera emergenza , l’unica insieme a quella ambientale vera priorità oggi. Le altre, a partire dall’allarme per l’invasione migratoria, sono inventate da chi specula sull’umana sofferenza. La seconda grave e inquietante novità che colpisce il Mezzogiorno riguarda il cambiamento registratosi nelle classi dominanti. Come sappiamo, dopo la seconda guerra mondiale agli agrari è subentrata una borghesia commerciale, delle professioni e soprattutto legata alla politica e all’uso e abuso delle risorse pubbliche. Dagli anni ’80 del secolo scorso è emersa una nuova classe di capitalisti che controllavano e gestivano /gestiscono ancora grandi flussi di denaro: la borghesia mafiosa. Essa si è sostituita progressivamente alla vecchia e pavida borghesia meridionale, penetrando nelle istituzioni rappresentative e mettendo le mani anche sui fondi europei. Ma, grazie alla legge Rognoni-La Torre e ad un risveglio della magistratura dopo la strage di Falcone e Borsellino, sono stati confiscati molti beni a questa borghesia che aveva investito una parte dei loro enormi profitti nei luoghi d’origine. Purtroppo, solo in parte questi beni confiscati sono stati socialmente utilizzati (introducendo una importante redistribuzione del reddito nel nostro territorio), ma molte volte, specie per le imprese non agricole, questi beni sono rimasti inutilizzati per via delle lungaggini burocratiche e della mala gestione di commercialisti e avvocati nominati dalla magistratura per curare queste aziende confiscate. Risultato : si sono perse molte attività e la borghesia mafiosa meridionale investe sempre meno nel Mezzogiorno e trasferisce sempre più gli extraprofitti nei mercati del Nord Italia, Nord Europa e nel resto del pianeta. Ma, continua a mantenere ancora un controllo territoriale in Calabria e Campania (molto meno in Sicilia) per mantenere vivo il bacino da cui scaturisce il cosiddetto “esercito criminale di riserva” , fenomeno che spiega perché dopo decine di migliaia di arresti negli ultimi venti anni, ‘ndrangheta e camorra mantengono il controllo della gran parte del territorio di queste regioni. Pertanto, tenendo conto della fuga dei giovani – due su tre tra i 18 e i 32 anni secondo una nostra stima hanno lasciato il Sud dal 2007 ad oggi- della fuga dei capitali e degli investimenti (mafiosi e non) , della presenza dello Stato che non va oltre la pura repressione di alcuni segmenti dell’economia criminale, il futuro del Mezzogiorno è nerissimo. Se continua questo trend la popolazione meridionale scenderà di altri due milioni di abitanti nel prossimo decennio, tenendo conto del saldo negativo nati vivi-morti e di un flusso positivo di immigrazione da paesi terzi (spesso però adesso di solo passaggio dal Sud). Che fare ? Non è più tempo di analisi e dibattiti inconcludenti , è tempo di fermare questa emorragia. L’unica cosa da fare con urgenza è richiedere al Governo Nazionale che sblocchi il turnover nella Pubblica Amministrazione, che finanzi l’Università con borse di studio e assegni di ricerca per i giovani laureati, che gli ospedali riprendano ad assumere così come i servizi sociali comunali e regionali. Insomma, ci vuole un deciso intervento pubblico e smetterla di regalare soldi alle imprese o fare l’elemosina ai ceti medio-bassi come è stato con gli 80 euro. Le risorse finanziarie ci sono per un grande piano di assunzione dei giovani meridionali. E’ solo la volontà politica che manca.