Categoria: attività dall’osservatorio

Osservatorio del Sud: fissare orizzonte, direzione, finalità, obiettivi. Perseguirli con intelligente eccletismo di Mimmo Rizzuti

Osservatorio del Sud: fissare orizzonte, direzione, finalità, obiettivi. Perseguirli con intelligente eccletismo di Mimmo Rizzuti

L’iniziativa del 2 Dicembre scorso a Lamezia per la costruzione dell’Osservatorio, fortemente voluta da Piero Bevilacqua e materialmente organizzata da Gianni Speranza e Giacomo Panizza, parte dalla constatazione di una condizione del Mezzogiorno connotata da una sequenza di negatività che hanno portato all’oscuramento di quella che una volta era la questione nazionale per eccellenza.

Con tutti gli indicatori politici, economici , sociali , culturali, istituzionali in scivolamento costante verso il basso, ancorchè a macchia di leopardo, a testimonianza dell’articolazione della realtà meridionale, il Sud è progressivamente scomparso dalla scena .

Una recente, interessante ricerca curata da Daniele Petrosino e Onofrio Romano con prefazione di Franco Cassano, di cui è coautore Tonino Perna, si intitola emblematicamente “ BUONANOTTE Mezzogiorno”

Una ricerca, come sottolinea Cassano nella prefazione, che in maniera analitica registra l’oscuramento e l’impasse in cui si trova il Mezzogiorno da cui, nello scenario dato, non si riesce a trovare una via di fuga.

Per uscire da questo cono d’ombra occorre avere ben chiari i fenomeni che l’hanno generato e che purtroppo tendono a stabilizzarlo.

Dominante appare in ogni manifestazione o tentativo di riprendere un discorso sul Sud, un senso di RASSEGNAZIONE, di ACCETTAZIONE COME INEVITABILE DELLA CONDIZIONE DATA,DEI PARADIGMI E DELLA VISIONE DOMINANTE.

Una condizione che pervade le classi dirigenti tutte, politiche in primo luogo.

Da cosa deriva questo stato?

Piero, nelle ragioni in cui motiva questa iniziativa e nella sua introduzione, individua e indica nella “grave trasformazione e degenerazione della vita pubblica nazionale degli ultimi 70 anni.” il fenomeno che ha determinato questo stato di cose .

Registra come “quelli che erano stati i grandi partiti popolari, gli “organizzatori della volontà collettiva”, come li chiamava Gramsci,  i produttori di indagine e di cultura sociale finalizzati alla modernizzazione del Paese, si siano “trasformati in raggruppamenti di comitati elettorali.

Come gli stessi si siano dissolti in ceto politico, un corpo frantumato e dominato dall’individualismo competitivo  

, che opera al fine sempre più esclusivo e assorbente della vittoria elettorale. Vale a dire  l’ingresso alla gestione del potere.

A tale scopo, che non è quello della trasformazione del Paese secondo i suoi emergenti bisogni collettivi, l’indagine sociale e la conoscenza non servono. Servono i sondaggi”.

Come siamo arrivati a questo stato di cose?

Sulla scia della sua introduzione, credo sia opportuno sottolineare come questa condizione si sia determinata a conclusione di due momenti distinti della storia del nostro Paese : dal dopoguerra a tutti gli anni 70 del 900 e dagli anni 80 ad oggi.

Due periodi in cui il problema degli squilibri Nord –Sud del Paese sono stati declinati ed affrontati con due diversi paradigmi.

Nel primo periodo “ La questione Meridionale”, come problema politico nazionale resta oggetto dell’intervento dello stato centrale, attraverso l’intervento straordinario(CASMEZ) che sarebbe dovuto essere un intervento aggiuntivo volto a colmare gli squilibri storici delle due aree del Paese registrati al momento della unificazione (1860) ed accentuatesi successivamente , con una certa attenuazione nei gloriosi anni 30 del dopo seconda guerra mondiale, in cui il Sud ( anni 60 /70 del 900) aveva attenuato il divario.

In ogni caso il Sud, in tutto questo arco storico, è stato uno dei pistoni di maggiore spinta dello sviluppo del NORD (fornitore risorse umane preziose e mercato di sbocco per le sue imprese).

Forse sarebbe il caso che nel dare – avere conteggiato dalle classi dirigenti del Nord di questo periodo di crisi profonda dello Stato, che puntano a trattenere le tasse che si pagano nei propri territori, fossero conteggiati anche questi enormi credi ti del Sud.

La questione meridionale ha mantenuto una sua centralità fino a quando il quadro sociale si è organizzato intorno allo stato-nazione.

 

Entrato in crisi l’assetto Stato centrico (O Connor 73-97 ) il Mezzogiorno è progressivamente uscito di scena e negli ultimi decenni la questione meridionale( nel nuovo assetto della globalizzazione neoliberista) ha assunto un inedito protagonismo la questione settentrionale.

Caduto il muro di Berlino nell’89 modificatosi l’assetto geopolitico , e perduto il ruolo dell’Italia di “confine” il senso ed il tessuto della solidarietà nazionale si è vieppiù lacerato.

Agli inizi del secolo presente Cassano , Zolo, Amoroso, Bevilacqua, Alcaro, Barcellona, Perna, con varie accentuazioni pongono il tema del recupero di uno specifico ruolo centrale del Mezzogiorno nel nuovo scenario del Mediterraneo.

Siamo in una fase, a metà degli anni 90 in cui prende piede nell’ Unione , dopo il trattato Di Maastricht (1992),il processo di Barcellona ( 1995), per dare vita al Partenariato Euro Mediterraneo, cioè ad una strategia comune europea per la regione mediterranea, interessata a quell’epoca( 1993) dall’avvio del processo di pace israelo palestinese che dava vita all’incontro di Oslo, con protagonisti Arafat e Rabin e Clinton.

Iniziative di breve vita che però avevano suscitato grandi speranze ed acceso entusiasmi.

Sono del 2006/ 2007 due volumi collettanei fondamentali di questo tentato tentativo di porre come scenario per l’Europa la questione Mediterranea in cui il Sud Italia acquista piena centralità.( E’ Il paradigma dell’Autonomia). Il primo del 2006, la Frontiera Mediterranea, curato da Pietro Barcellona e Fabio Ciaramelli.

Il secondo del 2007 è Il volume curato da Franco Cassano e Danilo Zolo cui segue nel 2009 un altro libro di Cassano “Tre modi di vedere il Sud” in cui definisce il paradigma che connoterà la lettura e orienterà gli interventi nel Mezzogiorno come Localismo Virtuoso.

Un intervento bottom up ( dal basso) che nella logica della modernizzazione punta tutto sulle risorse endogene . E comunque su questo paradigma si dispiegano nell’arco del primo decennio di questo secolo, quasi tutte le energie intellettuali pur con diversità di accenti e tematiche affrontate, impegnate sul tema da Trigilia 93 a Magnaghi, Cersosimo, Donzelli, Donolo, Viesti, Barca che , da Agenda 2000 ad oggi, con incarichi dirigenziali ed istituzionali, Ministro delle politiche della coesione sociale e territoriale nel governo Monti, ne è stato l’attore principale sia sul versante della programmazione che su quello della gestione.

Ed è di questa fase il lavoro interessante delle Riviste MERIDIANA , diretta all’epoca da Piero Bevilacqua, Città Futura di Antonio Pioletti a Catania e Ora Locale diretta dal mai abbastanza compianto Mario Alcaro, fautore più di altri del paradigma dell’Autonomia , nel sostenere come alcune caratteristiche dell’identità meridionale, quali ad esempio la socievolezza ed il familismo, possano essere fatte valere come carte vincenti da giocare nella partita dello sviluppo e della competitività, dentro un’identità mediterranea di cui il parametro fondamentale è costituito dalla natura dove “ la visione del cosmo e il modo di rapportarsi al naturale danno vita a un naturalismo immaginifico e potente, di cui la modernità ha smarrito il senso”.

Temi che in altro contesto e scenario aleggiano nel recente volume di Riccardo Petrella “ nel nome dell’Umanità “ un patto sociale mondiale tra tutti gli abitanti della Terra” e che impattano frontalmente i temi dell’ambiente, della natura umana ed dei sistemi che la dominano.

Ma , anche in questa visione, il sud non è decollato. Restano gli squilibri di cui conosciamo fin troppo i numeri e le ricadute sulle popolazioni del mezzogiorno.

Anzi il Mezzogiorno è scomparso tout court dalla scena anche mediatica.

La ricerca PRIN “ Il sud e la Crisi” pubblicata nel libro“BUONANOTTE MEZZOGIORNO” economia, immaginario e classi dirigenti nel Sud della Crisi, curato da Romano e Petrosino, edito recentemente da Carocci , fornisce un’immagine inequivocabile dell’eclissi in cui è sprofondato il sud nella crisi su cui si è abbattuta la lunga recessione, analizzata nella ricerca da Tonino Perna e Fabio Mostaccio.

Anche se annotano gli autori nella introduzione, qualche debole segnale, peraltro non scontato, di esistenza , emergono dagli ultimi due rapporti Svimez.

Se diamo anche una fugace occhiata alla narrazione del Mezzogiorno, in termini quantitativi e qualitativi nel trentennio che va dal 1980 al 2010 al TG1 e ai due maggiori quotidiani italiani, e pur nella strutturale diversità ai siti web e alle pagine facebook, abbiamo la certificazione della scomparsa della questione.

Alcuni numeri:

Sul totale dei servizi esaminati nel periodo indicato il 91% non fa riferimento alcuno al Sud( 1678 ) contro il 9% riferiferiti al Sud (166). Se ancora si guarda il totale dei servizi dal 2000 al 2010 cambiano i numeri , 1433 a 150 ma le percentuali restano immutate. 91% e 9% .

E così possiamo continuare con rapporti analoghi sul numero delle edizioni in cui il sud è menzionato nei due periodi .Se poi andiamo a vedere le parole chiave in valore assoluto usate dai sevizi televisivi sul sud in testa la cronaca (53) , di cui quella nera rappresenta il 93% , seguita a ruota da Criminalità 42 ,seguite con distacco dal meteo 25 ( alluvioni e disastri) e dal welfare (sanità 63%.

Lo stesso andamento lo troviamo su Repubblica e Corriere della Sera, i due quotidiani esaminati

In totale su Repubblica su 2417 articoli articoli , 2005 coprono il periodo 1980 -1999. 412 il 2000-2010.

Nel corriere su 1251 articoli 941 coprono l’ultimo ventennio del 900 e 225 il primo decennio del 2000.

Le parole chiave sono criminalità 46% cronaca 18% Politica 13% Welfare 7% cultura 5% , Migranti 1% economia 2% ambiente 2% Lavoro 3% Società 3% meteo 0%

L’immagine che ne viene fuori non ha bisogno di illustrazioni.

La ricerca poi si pone il problema di esaminare l’immaginario delle classi dirigenti e con un campione composto da industriali , professori ordinari, politici e nuove leve .

Ne esce un quadro di sfiducia   e rassegnazione e comunque una volontà di trascinarsi dentro l’attuale modello di localismo e di modernizzazione progressista , nonostante gli esiti.

L’indice più alto di sfiducia e rassegnazione si registra in Calabria. Il più basso in Puglia.

In una situazione del genere diventa difficile imbarcarsi su sentieri nuovi di cui non si intravedono, segnali, dopo la chiusura della fase dell’intervento straordinario ancorata al Paradigma del Sud Questione Nazionale, nel solco dell’art. 3 della Costituzione e dell’impegno a rimuovere <<Gli ostacoli di ordine economico e sociale che ostacolano limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini>> e il quasi fallimento della mobilitazione dal basso della società Civile, paradigma del localismo virtuoso sostenuto dalle programmazioni dei fondi comunitari da Agenda 2000 a quelli della programmazione 14/20 in atto, che puntava molto sul recupero e rivitalizzazione delle zone interne.

Senza una visione catalizzante ed attrattiva come lo sono state in condizioni diverse le due precedenti, è comunque, possibile rimettere in moto un qualche processo?

Credo che la questione richiede un approfondimento.

Entrambi questi paradigmi, ci ricorda Cassano, scontano il fatto di trascurare gli elementi strutturali che nel contesto più vasto e generale regolano i rapporti tra centro e periferia e che potrebbe essere positivo, senza aspettare super paradigmi interpretativi, riconoscere ognuno la propria parzialità, e provare a dar vita, dialogando a formulare teorie più eclettiche, per cercare di arrestare l’effetto S. Matteo suggerito da R. Merton richiamando quel versetto dell’evangelista che recita <<a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha>>.

E allora bisogna vedere come si inverte la logica di questo versetto in una situazione dominata dalla logica di entità economico finanziarie astratte, che detengono in mano poteri illimitati.

Considerato anche che l’altro paradigma importante, quello dell’autonomia e dell’Alternativa Mediterranea diventa sempre più problematico considerato il Caos regnante nell’area che va dal sud del Mediterraneo, al Sahel, alla Penisola Arabica e dal Corno d’Africa all’Hindu Kush .

Ma noi siamo chiamati a misurarci con questa situazione e con i problemi che ci pone innanzi.

E allora forse l’indicazione di Cassano di ricorrere ad un eclettismo non banale tra i diversi paradigmi può consentirci un rapporto più laico con la realtà e smuovere una situazione stagnante in cui migliaia di persone hanno bisogno di risposte irrinviabili per la propria esistenza.

Azzardiamo:

La globalizzazione liberista ha generato , ormai in maniera conclamata , quello che Bruno Amoroso, già nel 2000 definiva un sistema di Aparthaid globale .

Un sistema in cui , se è vero che alcune aree e realtà sono uscite da condizioni di assoluta sopravvivenza ( questo, è anche vero che lo stesso ha prodotto una condizione di esclusione e povertà drammatica nel mondo.

Basti pensare che oggi , 8 miliardari possiedono nel mondo la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone.

Questo sistema di cui è parte fondamentale una politica , ormai struttura servente dell’economia e della finanza, ha gettato nel Caos l’intero medio oriente e tagliato fuori da una vita accettabile un intero continente : l’Africa.

In questa vasta area , definita da Limes Caoslandia, si incrociano alla perfezione i 4 fattori strutturali delle migrazioni: : demografia, economia, clima e geopolitica.

La geopolitica ha scatenato in quell’area un condizione di guerra permanente di posizionamento geostrategico delle potenze mondiali e regionali che , in tanta parte, agiscono per procura delle prime.

Tutto ciò dà vita ad un fenonome migratorio destinato a non arrestarsi, e ai fenomeni che inondano in maniera enfatica i telegiornali e generano il clima che percepiamo ad ogni angolo: paura, odio, violenza ottusità mentale.

Tenendo presente che in queste condizioni nessuno potrà fermare questi flussi migratori che peraltro stanno nei limiti della normalità e rientrano in quella che è la normale storia dell’umanità,

il governo di questo fenomeno può divenire un elemento costitutivo di un nuovo paradigma che riprende in parte quello sull’autonomia e l’Alternativa Mediterranea , partendo non da impossibili, oggi, accordi intergovernativi o processi di partenariato simili a quello di Barcellona 95 e lo coniuga con i bisogni e gli interessi di un continente, L’Europa , in progressivo rapido invecchiamento e decadimento che ha bisogno di ricambi generazionali per l’insieme dei sistemi sociali , produttivi e territoriali dei Paesi della sua Unione?

E noi Mezzogiorno e Calabria, possiamo muoverci , sulla scorta di esempi di accoglienza e inserimento paradigmatici ( Riace in primis , ma non solo) per intrecciare a livello di Comunità Locali (istituzionali e associative ) gli interventi della programmazione comunitaria 14/20 con gli interventi di stato per l’accoglienza e l’inserimento dignitoso ed umano di chi scappa dall’inferno?

Potremmo, ad esempio, in un momento di impasse, degli stati nazionali riaprire le vie di un rapporto con l’Africa , a cominciare da quella a noi attaccata per provare, in una rete di scambi autonomi con le comunità locali di provenienza dei migranti, a costruire un rapporto che si richiami idealmente a quelli rilanciati e rimodulati, parecchio dopo il crollo dell’impero romano, dalle prestigiose repubbliche marinare dall’XI/a tutto il XIV secolo e oltre.Con Genova che inventava il capitalismo moderno (1407), mentre in parallelo e in concorrenza Venezia, si muoveva già, attraverso il mediterraneo Orientale lungo le vie dall’Asia al Mediterraneo , che oggi riprende, XI Jinping, in ottica di globalismo sino centrico, sotto il nome di nuove via della seta.?

Fu quella delle repubbliche marinare una presenza ed una influenza durata secoli che faceva registrare ancora tra fine ottocento e inizi 900 in circa un milione gli italiani in diaspora tra Marocco e Anatolia.

L’italiano fino a quell’epoca era una sorta di lingua franca degli scambi commerciali, diffuso dall’Egitto al Mar Nero, usato anche per la redazione di trattati internazionali.

Il velleitarismo geopolitico dell’Italietta di Giolitti prima , ripreso con particolare violenza e virulenza da Mussolini poi, distrusse in pochi anni la nostra rete mediterranea , fondamentale per i rapporti con l’ISLAM.”

A me sembra che sarebbe necessario, pur nella piena consapevolezza delle difficoltà, provare a mettere insieme, per il Mezzogiorno e la Calabria, un paradigma capace di tenere uniti alcuni aspetti del paradigma Mezzogiorno come questione nazionale, con quelli che recuperano le parti vitali e fresche del paradigma noto come Localismo Virtuoso, dentro gli aspetti praticabili di quello dell’Autonomia e dell’Alternativa Mediterranea.

A me sembra che una posizione del genere ci consentirebbe di mettere a frutto la nostra posizione di perno geografico del Mediterraneo, capendo che non è più il Mare Nostrum “ il sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in una unità originale” che ci proponeva 30 anni fa Fernad Braudel, ma “è sempre più un nastro trasportatore che, in senso est-ovest, solletica le ambizioni egemoniche della Cina, già largamente presente in Africa” . E poi ci sono gli altri .

In questo scenario mutato Noi , partendo dall’impatto dei movimenti migratori e dal ruolo nevralgico che assumono le comunità locali all’interno di una adeguata strategia di accoglienza/integrazione /assimilazione possiamo recuperare in parte la visione Braudeliana e rilanciare il ruolo del nostro Paese nell’Europa.

In questa ottica, determinante diventa una convergenza di politiche nazionali, comunitarie e locali .

Perciò credo che l’osservatorio che propone Piero dovrebbe essere articolato per sezioni per monitorare i vari aspetti della politica a cominciare da quella dell’accoglienza dei migranti.

Per la Calabria penso che dovrebbe lavorare con altri soggetti già operanti sul territorio alla costruzione di :

  1. un percorso che sfoci in un incontro annuale di conoscenza e scambio, UN MERCATO MEDITERRANEO, tra le nostre comunità di accoglienza e quelle di provenienza dei migranti;
  2. una struttura di coordinamento formazione, servizio per tutte le nostre comunità interessate, finalizzata al potenziamento della cooperazione decentrata, e al massimo e migliore utilizzo dei fondi comunitari ad esse attribuiti.

Mi piace ricordare concludendo che proprio a Lamezia il 23 Maggio del 2008 si tenne un importante attivo nazionale della SEM presieduto dal caro compagno Gianni Lucchino,

L’attivo fu concluso nel ridotto del teatro Grandinetti, con una tavola rotonda coordinata da Matteo Cosenza , direttore del Quotidiano della Calabria e con la partecipazione del sindaco di Lamezia di Gianni Speranza, che dava il via al primo atto concreto per la costruzione di un “Cantiere per l’area del Mediterraneo” con la presentazione del VII rapporto sul Mediterraneo, curato da Bruno Amoroso , Nino Lisi e Gianfranco Nicolais, edito da Rubbettino che si sviluppava sul tema culture ed economie del mediterraneo e, con un approccio tipicamente braudeliano, guardava al Mediterraneo come una Mesoregione in evoluzione , luogo di confronto, incontro e conflitto tra culture ed interessi geopolitici e geoeconomici.

Nel dibattito che ne seguì emersero , anche con differenza di toni, i temi intorno ai quali il rapporto si era sviluppato: dalle culture mediterranee e dalla modernità europea , alle culture e società civili presenti nell’intera area del bacino, alla politica estera e cooperazione economica, alla nuova centralità del Mediterraneo e alla logistica che lo interessa, agli obiettivi ed alle metodologie della cooperazione per un benessere condiviso fra le Regioni dell’Europa Meridionale ed i Paesi della Sponda Sud del mare , indagando le divergenze e cercando le convergenze possibili.

Mimmo Rizzuti

 

 

 

Il riuso delle città di Roberto Budini Gattai

Il riuso delle città di Roberto Budini Gattai

Il contenimento della espansione della città contemporanea, pur nella consapevolezza delle necessità crescenti dell’abitare, si può ripensare sia attraverso il riuso generalizzato, sia ribaltando una consuetudine nel modo di porre l’attività edificatoria. La produzione edilizia moderna e contemporanea si manifesta generalmente mediante l’occupazione delle aree libere e, nei casi migliori, con l’applicazione dei modelli tradizionali: quartieri, città giardino, grandi unità abitative e sempre di più centri direzionali, commerciali, universitari, strade, ecc., i cosiddetti “poli.”

Contrariamente a tali modalità di ampliamento e di pretesa qualificazione (differenziale) della città, la progettazione urbanistica si può fare interprete di un diverso modo di porre il problema della città contemporanea.

In questo diverso modo è il vuoto che assume un ruolo decisivo; esso ridefinisce i confini del costruito, individua la soglia di passaggio da un sistema rurale ad un sistema urbano, oppure tra differenti sistemi insediativi dove s’interpongono spazi residuali.

Si tratta di spazi di soglia, densi di energie relazionali, dove si precisa il compito della progettazione nel ricollocare i frammenti edilizi e i vuoti urbani, individuando elementi alla scala superiore che identificano i caratteri irripetibili della città o del territorio, in un processo di memoria dei segni e delle tracce originarie, sui quali poter ancorare questi pezzi insediativi altrimenti indifferenti a qualsiasi configurazione urbana. (ovvero privi di memoria, seriali, uniformi).

La nozione di “sistema”, già introdotto nella normativa urbanistica (in Toscana), costituisce una novità nel modo di pensare lo spazio urbano e territoriale, perché induce alla trasformazione di entità astratte, quali le zonizzazioni, in una configurazione fisica dello spazio che materialmente rivela tutta la complessità delle relazioni sistemiche.

Con ciò, le differenti articolazioni, di pieni e di vuoti, di edificato e di spazi liberi e i loro rapporti geometrici, vanno a individuare le coordinate costitutive dei luoghi. In tal modo essi esprimono i caratteri specifici della qualità urbana.

Queste tracce di un passato riconosciuto, disegnano la realtà fisica, hanno una continuità nel tempo e costituiscono delle invarianti che la legge (ad es. toscana) precisa come “invarianti strutturali”.

Preferiamo ridefinirle “invarianti di trasformazione”.

Infatti le invarianti non identificano solo manufatti immutabili nel tempo, oggetti da ingessare una volta per tutte, ma questi devono essere piuttosto assunti nelle loro potenzialità a divenire altro dalle ragioni che li hanno originati (ma che sono sempre ricche di suggerimenti).

Il nesso tra le condizioni originarie e quelle attuali deve conservare il sistema delle relazioni morfologiche che è una costante (invariante, appunto), anche se le vicende storiche ne hanno mutato il significato. Le mura urbane, le sponde fluviali, i fronti a mare, i manufatti architettonici, le vie in curva e quant’altro debbono essere interpretati a partire dalla loro natura genetica, dentro la quale si possono scoprire gli elementi del nuovo, i princìpi del progetto.

Dal vuoto urbano, dal negativo, dal non costruito, si definisce la materializzazione del segno fisico che sta in equilibrio tra una forma del naturale e un atto artificiale, così da istituire un rapporto tra natura e architettura.

La definizione di “verde”in urbanistica, è un’accezione ancora tutta ideologica che tende a separare la natura dall’uomo e dalle sue forme di attività.

In ogni epoca questo rapporto dell’uomo con la natura si è manifestato sia attraverso una elaborazione intelligibile sia secondo un rapporto sensibile.

Così, ad esempio, l’ortus conclusus esprimeva la nostalgia dell’Eden, ossia la perfettibilità e l’armonia perduta contrapposta allo smarrimento prodotto dalla selva. Attraverso l’intelletto umano e la percezione sensibile del mondo, com’è nell’arte, questa natura imperfetta avrebbe fatto intravedere la bellezza eterna.

D’altra parte, le “divine proporzioni” costituivano la struttura intellettiva della città ideale del rinascimento, rappresentata nel disegno del giardino. Così alla purezza delle sue geometrie vi era opposta la materialità degli elementi naturali forgiati come da un processo alchemico.

Gli artisti che scoprivano nelle regole classiche le divine proporzioni e nell’utopia dell’armonia la risoluzione dei conflitti che animavano la società, con le loro opere hanno permeato le coscienze di tutto il mondo.

E ancora altre opere dell’uomo, nella loro sedimentazione, hanno dato luogo poi a quell’immagine totalizzante che, in modo distaccato, denominiamo “paesaggio”.

 

Il lavoro, la ricerca, la pratica progettante che propongo all’Osservatorio trova applicazione in alcuni luoghi che possono costituire dei modelli d’intervento nei territori rurali, fluviali, costieri, nei centri antichi o nei conglomerati urbani del sud dell’Italia e in generale dell’area mediterranea.

 

(dall’intervento a Lamezia del 2.XII.2017)

Il Mezzogiorno implode di Tonino Perna

Il Mezzogiorno implode di Tonino Perna

Partiamo da un fatto: i dati sull’emigrazione dal Mezzogiorno al resto del mondo sono decisamente sottostimati, soprattutto quelli che riguardano l’emigrazione Sud-nord nel nostro paese. Il motivo è semplice: dalla Svimez all’Istat tutti analizzano l’emigrazione servendosi dei dati relativi ai cambiamenti di residenza . Ora, come molti di coloro che vivono nel Mezzogiorno sanno, la gran parte dei giovani che emigra nel Centro-Nord Italia per i primi anni non cambia residenza.

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Emergenze ambientali e territoriali: anche nel Mezzogiorno la svolta innovativa deve arrivare “dal basso” di Alberto Ziparo

Emergenze ambientali e territoriali: anche nel Mezzogiorno la svolta innovativa deve arrivare “dal basso” di Alberto Ziparo

1.Introduzione

La crisi climatica sta accelerando; e i suoi effetti vengono esasperati spesso dalle condizioni territoriali,colpite da degrado e ipercementificazione, che ne cancellano progressivamente la struttura ecologica , le componenti organismiche, indebolendo fortemente le sue capacità di reazione, di resilienza.

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Un Osservatorio per il Sud di Franco Blandi

Un Osservatorio per il Sud di Franco Blandi

Ho accolto con slancio l’invito di Piero Bevilacqua e lo ringrazio per avermi coinvolto in questa esperienza. Credo che mai come in questo momento ci sia bisogno di parlare, discutere, confrontarsi su alcuni temi che sembrano scomparsi dalle agende della politica e, più in generale, dal dibattito sociale. Porto il mio contributo sintetizzando in poche parole alcuni temi che, chiaramente, richiederebbero maggiori approfondimenti.
Mi piace documentare e spesso vado in giro, prevalentemente in Sicilia. Per farlo utilizzo strumenti diversi: scrivo, filmo, fotografo. Mi interessano le storie poco conosciute di uomini e donne; i paesaggi, magari poco osservati e vissuti; La natura, bella, ignorata e ferita. Spesso queste storie si mescolano e in alcune comunità, a fatica, trovo ancora alcuni elementi di equilibrio, di armonia tra le attività dell’uomo e l’ambiente attorno a lui.

Cosa ho visto in questi anni, quale evoluzione?
Nel mio girovagare ho visto molti paesi svuotarsi, i centri storici deturpati e abbandonati, il cemento avanzare sulle spiagge. Ho visto scomparire le piccole botteghe e i piccoli artigiani e ho visto nascere enormi isole del consumismo ai margini delle città. Ho visto città, paesi e campagne sommerse dai rifiuti, il mare invaso dalla plastica e da liquami di ogni genere. Ho visto i paesi montani perdere servizi essenziali come le scuole, gli ospedali, gli asili, presidi delle forze dell’ordine. E contemporaneamente, ho visto in questi stessi paesi i giovani andare via e solo gli anziani rimanere a presidiare la loro stessa esistenza. Ho visto poveri, vecchi e nuovi, divenire ancora più poveri e ricchi, vecchi e nuovi, in combutta con mafiosi, vecchi e nuovi, diventare ancora più ricchi.
Ho visto l’insoddisfazione incunearsi inesorabilmente nella vita di molti. Ho visto il clamore suscitato dall’arrivo di tanti giovani migranti, prontamente chiusi nei recinti reali e mentali, da chi pensa che la strategia migliore sia tenerli quanto più possibile lontani dalla vita. Ho visto il silenzio sui molti giovani siciliani che lasciano la nostra terra (ogni anno sono più di 30000). Altri restano, i più senza lavoro, o trovano “occupazione”, quando va bene, a 400 euro al mese.
Ho visto, in definitiva il fallimento storico e sociale del capitalismo, del liberismo, delle scelte politiche scellerate.
Ho visto, però, anche uomini e donne che ogni giorno operano per contrastare questa realtà. Credono e vivono nella convinzione che un’altra prospettiva sia possibile. Spesso in solitudine, lontani dai riflettori e dalle cronache, si oppongono con caparbietà questa deriva, spesso senza trovare sponde alle quali aggrapparsi.

Cosa fare?
Credo che bisogna partire proprio da qui. Da questi eroi silenziosi, dai fermenti vivi che la società meridionale riesce a esprimere, offrendo loro una sponda, un punto sicuro di approdo da cui ripartire. Non partiamo, quindi, dal nulla. Dobbiamo avere al nostro fianco quanti in questi anni hanno dedicato il proprio tempo a rendere reale la prospettiva di cambiamento. Mi riferisco al mondo delle associazioni, al volontariato, al mondo della ricerca, ai movimenti, ai gruppi informali, nati con l’obiettivo di promuovere la solidarietà, il rispetto per l’ambiente, un nuovo modello di sviluppo. Io credo che il nascente Osservatorio per il Sud possa diventare il punto d’incontro, di raccordo e promozione di questo mondo. Il luogo di incontro tra quanti pensano a una società nuova, diversa, più equa e solidale. L’obiettivo non è né facile, né immediato. Qualcuno, però, deve pur cominciare.
Sono profondamente convinto che qualsiasi cambiamento per essere reale e duraturo, debba necessariamente partire dal basso. Ci vuole, come dice Franco Arminio, un nuovo umanesimo. Un umanesimo da rintracciare nelle felicità di cui parla Piero Bevilacqua. Ci vuole attenzione verso il paesaggio in tutte le sue articolazioni: umano, naturale, dei luoghi, culturale. Occorre comprendere che la tutela dell’ambiente è di per sé ricchezza. Occorre ripartire dall’istruzione educando non solo ai mestieri, ma al rispetto dei principi universali della convivenza, oggi, ahimè, troppo spesso smarriti. Occorre mettere al centro il sapere, l’arte, la solidarietà e il rispetto della legalità. Occorrono esempi virtuosi e concreti, utili a delineare un nuovo modello sociale in equilibrio armonico tra le attività umane e la generosa natura delle nostre terre.

Come? Un esempio.
Nei centri storici, quelli non ancora del tutto distrutti, si potrebbe pensare a un piano straordinario di recupero sociale e edilizio, a un nuovo paradigma: basta con le nuove costruzioni, occorre recuperare! Recuperare significa spostare il costo degli interventi sulla forza lavoro (operai, artigiani, falegnami, fabbri, decoratori, progettisti, ecc.) e meno sui materiali. Al contrario, le nuove costruzioni, oltre a snaturare i centri storici, prevedono costi elevati per i materiali e sono spesso finalizzate al rapido profitto dell’impresa che ha, al suo servizio, sempre meno unità lavorative. Una strada già tristemente percorsa che ha snaturato, oltre ai paesi e le città, perfino molte campagne dell’entroterra. Dove il recupero dei centri storici è diventato realtà, si è registrata una inversione di tendenza: insediamento di nuove realtà commerciali e produttive all’interno de centri storici; miglioramento dell’economia per il diretto coinvolgimento delle persone nei piani di ristrutturazione; salvaguardia delle professioni artigianali; ripopolamento abitativo; ricadute positive sul turismo. Allo stesso tempo, la salvaguardia di servizi essenziali quali scuole, ospedali, asili nido, ha contribuito ad arginare l’esodo e lo svuotamento dei paesi e dei centri storici delle città.
Se volessi sintetizzare con degli slogan direi: “lavorare meno, lavorare tutti”, “piccolo e diffuso, anziché grande e concentrato”; “Lentezza, anziché frenesia”.

E gli intellettuali?
Mettere la propria visione delle cose a servizio della comunità, fornendo chiavi di lettura della realtà e offrendo soluzioni, soprattutto a vantaggio di chi vive relegato ai margini della società, produce ricadute positive. Serve, però, rifuggire dall’autocompiacimento dei circoli esclusivi e tornare nelle piazze, nelle campagne e nei quartieri, serve tornare in mezzo alla gente. Vivo in una terra nella quale in passato ci sono stati esempi virtuosi di intellettuali, non sempre siciliani, che hanno lasciato segni indelebili. Penso a Danilo Dolci, a Vittorio De Seta, a Ignazio Buttitta, a Carlo Levi e ai tanti altri che hanno speso le loro nel tentativo di dare dignità a chi non l’aveva mai avuta. Si sono messi al fianco degli ultimi, degli esclusi, dei diseredati. Il loro impegno ha fatto crescere consapevolezza e le ricadute della loro opera sono ancora oggi visibili in alcune zone della Sicilia.
E se è vero che i cambiamenti partono sempre dal basso, oggi occorre trovare il modo di recuperare questo legame con la comunità. In un periodo storico nel quale la società nel suo complesso e quella meridionale in particolare, sembrano avere smarrito la forza e la capacità di unirsi su comuni rivendicazioni, questa esigenza diventa non più procrastinabile. Occorrono idee, parole, uomini e strumenti nuovi per fare breccia nell’indifferenza e nello scetticismo dilaganti. L’urgenza deriva anche dal pressappochismo e dalla superficialità dell’attuale classe dirigente che rischia di minare definitivamente il rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni.
Proprio per queste ragioni credo che il nascente Osservatorio, oltre a stimolare e sensibilizzare la società sui temi discussi, possa svolgere un ruolo importante nel promuovere veri e propri percorsi di formazione alla politica, che preparino i giovani ad affrontare la complessità e le contraddizioni dell’attuale società. Ben venga, quindi, l’Osservatorio per il Sud con l’auspicio che possa contribuire ad agitare le acque nello stagno immobile del nostro paese. Sento questa responsabilità, quella di dare speranza sia ai tanti giovani che hanno scelto di non andare via e ogni giorno si misurano con l’inefficienza dello Stato e della burocrazia, che a quelli che sono partiti con la speranza di tornare in una terra migliore.

Franco Blandi

 

Lamezia, 2 dicembre 2017

A Sud di nessun Nord di Claudia Villani

A Sud di nessun Nord di Claudia Villani

Negli ultimi anni nei congressi internazionali di storia (storia mondiale, storia economica, storia delle relazioni internazionali, ecc.) si moltiplicano gli studi sulle “periferie” e dal punto di vista delle “periferie”, andando al di là degli studi sulle due grandi fasi della globalizzazione capitalistica, centrati sull’Occidente. In aggiunta, le stesse categorie di centro e periferia vengono trasferite dalla originaria dimensione economica e politica connessa con la formazione del moderno sistema mondiale dell’economia capitalistica ad una dimensione sociale e culturale più ampia, in coincidenza con il “linguistic e cultural turn” che ha attraversato le scienze sociali negli ultimi decenni. Si cerca quindi di anche ripensare la “territorialità” e la “sovranità” a partire dalla critica al concetto euro-centrico di territorialità ancorata allo Stato-nazione.

In questo contesto andrebbe collocata la riflessione sui territori del nostro Mezzogiorno. Esiste infatti più di un motivo per sottolineare le analogie tra il modo con cui è stata costruita/ interpretata/ pensata/ teorizzata la questione meridionale in Italia e il modo con cui viene costruita/ interpretata/ pensata/ teorizzata oggi la questione del cosiddetto Global South, erede del percorso storico avviato dal movimento dei non allineati nel secondo dopoguerra. Facciamo un esperimento. Se provassimo a riassumere le questioni poste dal Terzo Mondo nella seconda metà del Novecento, a partire dal problema del divario globale, forse potremmo leggere un testo simile:

 

Secondo il punto di vista del Terzo Mondo, le risorse dei paesi arretrati hanno giocato un ruolo funzionale, seppure non decisivo, per la modernizzazione e l’arricchimento dei paesi del Nord, anche e soprattutto per reggere la sfida del mercato internazionale. Una parte degli studiosi ha attribuito scarso peso all’apporto dei paesi del Sud, spesso ex-colonie, allo sviluppo del capitalismo settentrionale; un’altra parte, invece, ha indicato nello sfruttamento coloniale dei Sud un effetto delle scelte politiche degli Stati del Nord, che hanno favorito con effetti distorsivi l’industrializzazione del solo Nord; altri studiosi, infine, hanno visto un nesso organico, tra lo sviluppo agricolo e ritardato dei Sud e sviluppo industriale e capitalistico concentrato nel Nord.

 

Che sia condivisibile o meno questa sintesi nella sua schematicità, si tratta di una parafrasi letterale di un testo dedicato alla questione meridionale italiana[1]. La mia ipotesi è che alla base delle tante forme di meridionalismo – inteso come costruzione di un discorso storico, politico, culturale e quindi come costruzione di una identità politica e culturale – vi siano elementi comuni: la percezione di essere diversi rispetto ad altri territori caratterizzati da performance economiche e sociali migliori; il continuo ricorso all’indagine storica, alla ricerca delle “origini” del fenomeno e dei suoi “responsabili” (interni ed esterni); la consapevolezza di essere inseriti in un contesto più vasto di rapporti con altri, e quindi la consapevolezza del rapporto interdipendente tra il proprio territorio, che non controlla i meccanismi di scambio (“periferia”), e altri (“centri”); la consapevolezza della necessità di “riforme” interne, ma anche, soprattutto, per riconquistare margini di manovra, la consapevolezza della necessità di “riforme” che agiscano sui rapporti di forza economici e politici esterni alla dimensione locale (siano essi di dimensione regionale, nazionale, sovranazionale, ecc.). Per questo motivo la coppia concettuale centro/periferia, così come il modello (o se vogliamo la metafora) coloniale, diventano strumenti per descrivere e/o cercare di modificare i rapporti di forza.

Si potrebbero pensare, quindi, i diversi meridionalismi – i meridionalismi italiani, i meridionalismi globali nel secondo dopoguerra – come costruzioni di identità particolari. Il Sud/i Sud nascono quando nascono i Nord, sono “resi diversi” in relazione a qualche “Nord”, si sentono “oggetto” di una storia narrata e tessuta da altri, si percepiscono come tali e costruiscono il loro “meridionalismi” per rivendicare il ritorno come “soggetti” nella “Storia”. E’ l’ascesa di un Nord, è l’affermazione di un modello di modernizzazione, che consegna agli “altri”, ai “meno” moderni, il “dilemma dello sviluppo” e il “dilemma della sovranità territoriale”.

La storia del Mezzogiorno d’Italia e questo nostro tentativo di rilanciare un meridionalismo all’altezza dei tempi andrebbero inserite in questo contesto più ampio. Negli ultimi decenni, del resto, la stessa questione meridionale è stata declinata in relazione ad una molteplicità di livelli sovra-nazionali (dimensione internazionale, dimensione europea, dimensione mediterranea), oltre ad essere stata scomposta e decostruita anche in relazione alle molteplicità locali e territoriali, evidenziando pluralità e percorsi peculiari che mal si adattano alle semplificazioni delle variabili aggregate utilizzate per quantificare il “divario” tra Nord e Sud del paese. E’ l’approccio della World History allo studio delle relazioni costruite su più livelli tra territori e attori diversi, non solo e non tanto gli Stati-nazione.

Nel presente globalizzato in cui viviamo i “Sud” sono ovunque, attraversano i territori in tutte le dimensioni: da quella locale a quella nazionale, da quella regionale a quella globale. Per questo motivo, così come altri Sud possono imparare dalla storia italiana (e dalla storia della nostra questione meridionale), anche noi, oggi, possiamo imparare da altri meridionalismi, mettendo in rete conoscenze, teorie critiche, pratiche, proposte e progetti.

Mi sembra quindi inevitabile che il nostro Osservatorio (magari “sui Sud”, al plurale?), abbia un respiro e una ambizione (conoscitiva, scientifica, propositiva) di carattere globale, se è vero che, alla fine, “il mondo globalizzato sarà quel che i suoi Sud saranno” [2].

Claudia Villani, claudia.villani@uniba.it

Università degli studi di Bari

 

Lamezia Terme, 2 dicembre 2017

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[1] Pescosolido, la questione meridionale, http://www.treccani.it/enciclopedia/la-questione-meridionale_(Dizionario_di_Storia)/.

[2] E’ una parafrasi della celebre profezia di Mazzini: “L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”.