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L’immagine dei Bronzi e l’uso pericoloso del passato.-di Battista Sangineto

L’immagine dei Bronzi e l’uso pericoloso del passato.-di Battista Sangineto

I due Bronzi furono trovati da un giovane sub dilettante romano, Stefano Mariottini, a soli dieci metri di profondità e poi portati in superficie dai sommozzatori dei carabinieri aiutati da decine, centinaia di volontari. La spiaggia bianca di Riace si riempì d’una umanità accaldata e vociante. Li trassero a riva a braccia, li strofinarono per togliere la patina più superficiale, li adagiarono su materassi posati su improvvisate lettighe lignee che trasportarono, accalcandosi gli uni agli altri, come se portassero un loro parente ferito al Pronto soccorso o come se traslassero, in processione, le sacre reliquie di un loro santo.

A fronte di cotanta partecipazione popolare i giornali, come scrive Salvatore Settis, diedero pochissimo spazio al rinvenimento all’inizio: solo un trafiletto e poi, in un crescendo che si è intensificato per mesi, ha occupato sempre più spazio fino ad arrivare alle prime pagine dei giornali e dei telegiornali nazionali.

Un ritrovamento “spaesante” che ha prodotto, e produce ancora, una quantità imprevedibile di turbamenti dell’anima di quanti vengono a trovarsi al loro cospetto. Da quei lontani primi anni ‘70 i due atleti di bronzo -antichi, ma allo stesso tempo “nuovi” perché non più visti da alcuno da due millenni- sono stati un “affaire” non solo archeologico, ma anche antropologico e sociologico, un vero e proprio capitolo del costume italiano.

Un libro -uscito nel 2015 a cura di Maurizio Paoletti e Salvatore Settis (“Sul buono e sul cattivo uso dei Bronzi di Riace”, Donzelli)- aveva ricostruito il clamore che suscitò il ritrovamento dei bronzi e l’uso che se ne fece: reportage televisivi, giornalistici in Italia ed in tutto il mondo, poi, per gli otto anni necessari al primo restauro di Firenze, il silenzio. Silenzio che fu rotto dalla prima apparizione pubblica dei Bronzi, presso il Museo Archeologico di Firenze, in tutto il loro splendore classico. Il risultato fu un afflusso di centinaia di migliaia di visitatori tanto imponente ed entusiasta che i giornali dovettero parlare di un fenomeno collettivo di fascinazione, mai riscontrato prima.

Una reazione impropria e debole ebbero, invece, gli archeologi che, all’epoca, apparivano, ed erano, divisi in due opposte fazioni: gli storici dell’arte e gli archeologi militanti dell’allora nascente “cultura materiale”, ma gli uni e gli altri, secondo Settis, abdicarono alla propria missione civile lasciando il ruolo da protagonista non solo alla folla sulla spiaggia, ma anche alla folla nella mostra e nei musei in cui furono esposti.

Per volontà del presidente Pertini che -dopo Firenze, ma prima che tornassero al Museo di Reggio- volle che fossero esposti al Quirinale dove un’altra immane folla si recò in pellegrinaggio, dando, definitivamente, l’avvio a quel fenomeno delle ‘mostre-evento’ che da allora diventarono, purtroppo, frequentissime. A proposito dell’antico e del suo rapporto con il kitsch, che ne rovescia il senso come in uno specchio deformante, bisogna ricordare che i bronzi sono stati i protagonisti di un profluvio di pubblicità ruspanti o, nella maggior parte dei casi, grottesche.

Provocarono anche un turbamento erotico perché nella loro fulgente nudità vennero riconosciuti e usati, da quella che ora si chiamerebbe bolla mediatica, come portatori di una potenza sessuale quasi indistinta sia verso le donne, sia verso gli uomini, come è testimoniato dalle decine di pubblicità e copertine di giornali, dibattiti sulla sessualità e, persino, dalla pubblicazione di fumetti pornografici.

In un’epoca nella quale i media erano già capaci di omogeneizzare qualsivoglia notizia e di porgerla alle masse depotenziata da ogni valore intrinseco è venuto facile alla classe dirigente della regione nella quale erano stati rinvenuti e poi musealizzati, “calabresizzare” le statue.

Se è vero che ricordando il passato gli uomini lo ricreano attribuendogli un senso che è in relazione alla loro idea del presente e che i gruppi sociali selezionano, reinterpretano e rifondano il passato alla luce di quello che sono oggi, i calabresi, in maggioranza, l’hanno fatto accettando, passivamente e mimeticamente, la titolarità identitaria di magnogreci. I bronzi da Riace nobilitano e, per ellissi di attribuzione, inverano, più di ogni altra cosa, questa identificazione che ha disseccato, malauguratamente, tutte le altre radici del nostro passato storico.

L’uso del passato è una materia pericolosa che va trattata con accortezza perché è molto facile che sia manipolata dalla classe dirigente per trarne vantaggi politici, economici e di consenso sociale.

Basti pensare, per esempio, alla grottesca vicenda del Museo del saccheggiatore di Roma Alarico che, nonostante sia stato bloccato nel 2018 da un intervento della Direzione generale dell’allora Ministero dei beni culturali, viene ora riproposto dall’Amministrazione del Comune di Cosenza in carica che aveva assicurato, in campagna elettorale, di non volerne sapere di un altro Museo virtuale ai piedi del Centro storico.

La “calabresizzazione” dei Bronzi dovrebbe comportare, insieme all’autoidentificazione magnogreca, anche una gelosa e, ormai, identitaria tutela materiale e immateriale delle due statue da parte dei calabresi, oltre che dell’autorità preposta che -nella persona del direttore del Museo, Fabrizio Sudano- si è già tempestivamente espressa affermando che l’immagine è stata usata senza autorizzazione dal ‘comunicatore’ del generale Vannacci. Ha ragione Giuseppe Smorto nel dire che bisognerebbe che l’immagine dei Bronzi fosse tutelata anche da tutti i calabresi come quella dell’amatissimo, dai senesi e pure da me, Palio di Siena.

Le eredità storiche bisogna meritarsele, non sono acquisite una volta per sempre, bisogna saperle tutelare, curare, nutrire e noi calabresi dobbiamo imparare ad esserne degni.

da”il Quotidiano del Sud” del 20 aprile 2024

Lettera aperta al Ministro Sangiuliano sul Museo di Alarico e sulla statua ‘Brettia’ a Cosenza.

Lettera aperta al Ministro Sangiuliano sul Museo di Alarico e sulla statua ‘Brettia’ a Cosenza.

LETTERA APERTA AL MINISTRO SANGIULIANO SUL MUSEO DI ALARICO E SULLA STATUA ‘DONNA BRETTIA’ A COSENZA.

I sottoscritti ritengono che l’attuale Amministrazione comunale di Cosenza commetta un grave errore nel continuare l’opera dell’ex Sindaco Occhiuto non opponendosi alla costruzione del Museo di Alarico già fermata nel novembre 2018 da un provvedimento dell’allora direttore generale del Mibac, Gino Famiglietti, che revocava, in autotutela, il permesso paesaggistico concesso, all’epoca, dal Soprintendente ABAP di Cosenza Mario Pagano.

I sottoscritti chiedono che l’Avvocatura dello Stato -su impulso del Ministro e della competente Soprintendenza- si appelli presso il Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar Calabria che, nel dicembre 2022, ha annullato il suddetto provvedimento del Mibac dando sostanzialmente il via libera alla costruzione del sunnominato Museo di Alarico.

I sottoscritti si chiedono cosa spinga a voler costruire un Museo -in totale assenza della più piccola testimonianza materiale alariciana e per un costo fra i 7 e i 10 milioni di euro- dedicato ad un invasore che, dopo aver saccheggiato Roma e tutta la penisola nel 410 d.C. -secondo un racconto del solo Iordanes, uno scrittore vissuto 150 anni dopo i fatti- muore, per caso, nei pressi di Cosenza.

I sottoscritti segnalano, inoltre, che all’inutile e costosissima erezione di un Museo alariciano si è, di recente, aggiunto un altro tentativo di falsificazione della Storia costituito dal posizionamento nei pressi del Centro storico cosentino, da parte dell’Amministrazione comunale, di una discutibile opera bronzea, alta circa 2 metri, che raffigurerebbe, nelle intenzioni della scultrice e dei committenti privati, un mitico personaggio femminile la cui esistenza non è mai stata provata. ‘Brettia’ è una figura leggendaria dalla quale alcune mitopoietiche ricostruzioni vorrebbero far discendere non solo l’etnonimo degli abitanti di gran parte della Calabria di età ellenistica, ma persino l’ancor più fantasiosa fondazione di Cosenza.

I sottoscritti ritengono che questi due elementi facciano parte di uno stesso offuscamento della coscienza collettiva e della conoscenza della Storia e che esso conduca all’estrema e perversa conseguenza di una pericolosa e manipolatoria invenzione identitaria che, peraltro, poggia su basi palesemente false.

I sottoscritti sono convinti che solo il restauro complessivo e capillare -che deve necessariamente comprendere gli edifici privati e non, come l’attuale Amministrazione comunale sta facendo, solo gli edifici di proprietà pubblica- della Cosenza storica potrebbe mettere in moto un meccanismo virtuoso nel quale la “redditività” del patrimonio culturale cosentino e calabrese non risiederebbe solo nella sua commercializzazione e nel turismo che esso potrebbe produrre, ma in quel profondo ed indispensabile senso di appartenenza e di cittadinanza ispirato dalla propria Storia e dai valori simbolici ad essa collegati.

I sottoscritti chiedono, dunque, al competente Ministro, Gennaro Sangiuliano, di usare gli strumenti a sua disposizione -amministrativi, di governo e anche di impulso legislativo- per impedire la costruzione del Museo di Alarico ed il posizionamento su suoli e locali pubblici della statua della cosiddetta “Donna Brettia” e auspicano, invece, il restauro degli edifici pubblici e privati del Centro storico di Cosenza che permetterebbe di restituirlo ai cosentini, prima che un acquazzone un po’ più forte lo porti via.

Carla Maria Amici archeologa, Università del Salento
Alessandra Anselmi storica dell’arte, Università di Bologna
Pier Giorgio Ardeni storico, economista, Università di Bologna
Pino Ippolito Armino ingegnere nucleare, Politecnico di Torino
Paul Arthur archeologo, Università del Salento, presidente S.A.M.I.
Domenico Belcastro già Soprintendenza della Calabria
Piero Bevilacqua storico, Università La Sapienza Roma
Vittorio Cappelli storico, Università della Calabria
Club Telesio associazione, Cosenza
Comitato Piazza Piccola associazione, Cosenza
Massimo Covello sindacalista, dirigente CGIL Calabria
Mariafrancesca D’Agostino sociologa, Università della Calabria
Giovanna de Sensi Sestito storica, Università della Calabria
Massimo di Salvatore storico, Como
Lucia Faedo archeologa, Università di Pisa
Amedeo di Maio economista, Università l’Orientale Napoli
Mario Fiorentini giurista, Università di Trieste
Pier Giovanni Guzzo archeologo, Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte
Donatella Loprieno costituzionalista, Università della Calabria
Maria Teresa Iannelli archeologa, Soprintendenza della Calabria
Marta Maddalon linguista, Università della Calabria
Mauro Francesco Minervino antropologo, ABACatanzaro
Tomaso Montanari storico dell’arte, Università per stranieri Siena
Enzo Paolini avvocato costituzionalista
Tonino Perna economista, Università di Messina
Maurizio Pistolesi archeologo, Cosenza
Edina Regoli archeologa, Rosignano Marittimo (LI)
Mimmo Rizzuti sindacalista, Osservatorio del Sud
Battista Sangineto archeologo, Università della Calabria
Francesco Santopolo agronomo, Università La Sapienza Roma
SeminAria cultura associazione, Cosenza
Enzo Scandurra urbanista, Università La Sapienza Roma
Salvatore Settis archeologo, Scuola Normale Superiore Pisa
Nicola Siciliani de Cumis pedagogista, Università La Sapienza Roma
Roberto Spadea archeologo, Soprintendenza della Calabria
Lucinia Speciale storica dell’arte, Università del Salento
Mara Sternini archeologa, Università di Siena
Armando Taliano Grasso archeologo, Università della Calabria
Vito Teti antropologo, Università della Calabria
Giovanni Turone
John Trumper linguista, Università della Calabria
Alberto Ziparo urbanista, Università di Firenze

foto di Ercole Scorza
per adesioni all’appello: osservatoriodelsud@gmail.com