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La rinascita dell’Aeroporto dello Stretto: l’impatto sulla città metropolitana.-di Tonino Perna

La rinascita dell’Aeroporto dello Stretto: l’impatto sulla città metropolitana.-di Tonino Perna

Per quasi un trentennio l’aeroporto dello Stretto ha vissuto una fase di progressivo abbandono, di riduzione di voli e passeggeri, di declino che sembrava inarrestabile. Ancora all’inizio di quest’anno erano rimasti due collegamenti, per Milano e Roma, ad orari spesso poco praticabili.

Insomma, un aeroporto sempre più marginale, che serviva ormai una strettissima utenza del Comune capoluogo, destinato a chiudere battenti per la sua insostenibilità economica. Improvvisamente, grazie all’accordo con Ryanair promosso dal presidente Occhiuto, l’aeroporto dello Stretto ha ritrovato la sua identità, la sua ragion d’essere iniziale.

Dopo trent’anni sono ritornati i messinesi, e non solo i cittadini del capoluogo, ma un’importante fetta della fascia tirrenica. E sono tornati anche gli abitanti dei Comuni della provincia reggina che ormai da molti anni avevano preso l’abitudine di andare a Lamezia. In breve: questo aeroporto non è stato per caso denominato “Aeroporto dello Stretto” perché il suo naturale bacino di utenza comprende una buona parte delle due città metropolitane, Reggio e Messina, con un potenziale di clienti tra gli ottocentomila e un milione di persone.

Già da questa estate, il collegamento dell’Aeroporto dello Stretto con diverse città italiane ed europee, ha fatto registrare un inedito flusso turistico che ha cambiato l’atmosfera sonnolenta della città dei Bronzi. Un boom turistico che non si era mai visto prima, con alberghi e B&B che sono rimasti stracolmi per tutti i mesi estivi.

Ma, anche per gli abitanti dello Stretto si è aperta la possibilità di raggiungere altre città italiane ed europee in poco tempo e a prezzi abbordabili, una occasione di crescita civile e culturale.

Certo, vanno superati alcuni punti critici che riguardano il collegamento con Messina e quello con i paesi della provincia reggina. Sul primo si è fatto qualche passo avanti ma si può ancora migliorare, mentre rimane fortemente critica la connessione con i Comuni della provincia reggina data la disastrosa situazione dei collegamenti con mezzi pubblici (treni e bus).

Sulla tratta ferroviaria della costa jonica è meglio non parlarne, ma anche i bus privati che debbono fare tante soste impiegano un tempo incredibile per collegare l’aeroporto dello Stretto alla Locride. I miliardi, che questo governo vuole sprecare per un’opera inutile e dannosa come il Ponte sullo Stretto, dovrebbero essere impiegati per risolvere gli atavici problemi del trasporto pubblico in Calabria e Sicilia.

Se governasse il Partito del Buon Senso da tempo si sarebbe agito in questa direzione.

da “il Quotidiano del Sud” del 14 novembre 2024

I Nuovi Comuni, ente intermedio al posto delle Regioni.-di Arturo Lanzani e Filippo Barbera

I Nuovi Comuni, ente intermedio al posto delle Regioni.-di Arturo Lanzani e Filippo Barbera

Le Regioni italiane sono molto diverse, ci ricorda Piero Bevilacqua nel suo recente articolo (il manifesto, 25 novembre). In questa diversità, hanno una comune “qualità”: sono enti iper-legiferanti, mini-Stati. Le Regioni gestiscono e distribuiscono risorse scarse a gruppi in competizione, a discapito dell’adozione di politiche pubbliche e strategie di interesse collettivo, organizzate per missioni e progetti. All’inadeguatezza delle Regioni si è sommato il fallimento della Legge Del Rio che ha istituito le città metropolitane, Enti di area vasta ma privi di un governo politico. Il sindaco della città metropolitana non è un sindaco: non governa politicamente il territorio di competenza. Non negozia o contratta con l’insieme dei sindaci strategie di sviluppo, infrastrutture connettive e politiche pubbliche.

Le proposte di revisione dell’assetto istituzionale dei poteri locali non mancano. Una proviene dai lavori della società geografica italiana e guarda in una direzione “cantonale”, che si affranchi dalle sirene della finta abolizione delle Provincie – più radicate delle Regioni nella storia e nelle forme di vita del nostro paese – ma lavori per un ridisegno e riduzione del loro numero (una trentina di provincie “rafforzate”) come unico livello di governo, sostitutivo di quello regionale e provinciale. Una sorta di livello intermedio tra Comuni (lasciati però nella loro numerosità e frammentazione) e il livello centrale, le cui funzioni non sono precisamente definite.

Una proposta meritoria, ma con scarse probabilità di trovare ascolto politico. Chi mai si mobiliterebbe in questa direzione? Con quali alleanze? Una seconda proposta, di chi scrive, è quella di ritenere che nella storia d’Italia contino solo i Comuni come altra gamba del livello nazionale, anzi che debba contare un “Nuovo Comune” che si vorrebbe rafforzare nella sua funzioni politica e istituzionale – ma non tanto con l’illusione leaderista dell’elezione diretta del sindaco – ma articolandolo, da un lato in N “tipi di città” – maturate attorno ai legami di storici distretti industriali, di valle (spesso riproducendo le forme di coesione delle più felici comunità montane gravitanti su centri o conurbazioni di valle o pedemontane), di costa attorno urbanizzazioni interconnesse, di distretti rurali o di campagna urbanizzata con più tradizionale gravitazione su una città media, ma anche più originalmente “città” unificate da un tratto profondo comune dell’ambiente e del paesaggio che si è fatto fattore identitario e di sviluppo-secondo principi plurali e aggregativi, capaci di dare luogo a 500-1.000 città per l’intero paese.

Dall’altro, articolando queste N città in Municipi, calibrati in un intervallo compreso tra i 3.000-50.000 abitanti, corrispondenti ai vecchi Comuni a suddivisioni di quelli più grandi e ad aggregazioni di quelli più piccoli. Questi “Nuovi Comuni” dovrebbero quindi essere articolati in due livelli: al primo livello, strutture territoriali esito di variegati processi ecologico-sociali che diventano a loro volta strutturanti le stesse pratiche sociali e dinamismi ecologici, si organizzerebbero le tecno-strutture e le istituzioni culturali che sono indispensabile supporto di qualsiasi politica e progetto e si svilupperebbero alcune politiche sistemiche (usi del suolo, mobilità, reti verdi); il secondo livello, maggiormente riconfigurabile nei suoi stessi confini alla luce di progettualità e visioni complesse di medio e breve periodo, diventerebbe presidio ed espressione delle forme di cittadinanza attiva, ambito della redistribuzione dei poteri e dei saperi, con il compito di rinforzare e curare la capacità di “voce” e “azione” di persone, associazioni e corpi intermedi. Questo “Nuovo Comune” sarebbe così il luogo di incontro generativo delle due istanze, delle città e dei municipi, così come lo strumento per costruire visioni di futuro condivise.

Questa proposta avrebbe qualche probabilità in più di trovare ascolto politico, perché potrebbe essere presentata come una riforma e un rilancio del “municipalismo virtuoso” contro la “burocratizzazione regionale”: una riforma che spinge ad aggregarsi superando particolarismi strumentali, incapaci di affrontare i problemi che interessano la vita quotidiana delle persone, senza cancellare identità locali che rimangono sentite e capisaldi di ogni forma di civismo. I “nemici” qui sarebbero ben identificabili nei governatori regionali e nei sindaci delle grandi città, una lotta ancora impari che richiederebbe una alleanza con la classe dirigente nazionale per uno Stato che riconosca il policentrismo come tratto unificante e si faccia carico – dal centro – sia di strategie-missioni territoriali relative a cinque grandi questioni nazionali.

Tre almeno parzialmente riconosciute e relative allo sviluppo del mezzogiorno, alla riorganizzazione degli ambiti metropolitani-grandi città del paese e alla promozione dello sviluppo e alla garanzia dei fondamentali diritti di cittadinanza per le aree interne. Due invece di nuova concettualizzazione ma egualmente urgenti e relative, al riordino del territorio costiero con il suo enorme carico insediativo e a fronte degli effetti del cambiamento climatico e alla sempre più urgente riconversione ecologico-ambientale della dinamica, ma poco vivibile e salubre, pianura padana. Sia di strategie più specifiche relative ai bacini fluviali, alle aree sismiche, ai sistemi di mobilità sovraregionali e ai rapporti di scambio e di flussi tra territori metro-montani e metro-rurali (nord-ovest, nord-est, arco ligure, dorsale adriatica, etc.) Una alleanza che, dall’alto e dal basso, provi a imporre al Paese un nuovo assetto dei livelli di governo coerenti con il policentrismo del Paese, non basato sulla facile e inutile indignazione che ha portato alla cancellazione degli enti intermedi e all’istituzione di enti territoriali privi di guida politica.

da “il Manifesto” del 2 dicembre 2020
foto: wikipedi, https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/de/legalcode

Tonino Perna vicesindaco di Reggio Calabria.

Tonino Perna vicesindaco di Reggio Calabria.

Capita che anche dal mondo politico e civile della Calabria, affondata in tanti disastri, ogni tanto arrivi una buona notizia. E la notizia davvero meritevole di essere festeggiata da chiunque ha a cuore il bene comune di questa terra, è che Tonino Perna è diventato vicesindaco della Città metropolitana di Reggio Calabria.

Certo, a molti calabresi questo nome dirà poco, Tonino non è personaggio che imperversa sugli schermi televisivi, come capita a tanti portatori di chiacchiere a buon mercato che infestano da anni l’etere nazionale. Solo la sua intransigenza morale, il suo non essersi mai legato a cordate o clientele, secondo il costume dominante dal nostro ceto politico, lo ha tenuto lontano da tanti incarichi di rappresentanza politica che avrebbe ricoperto con non comune capacità. E che gli avrebbero, dunque, fornito più ampia visibilità. Anche se Perna, che è stato assessore alla Cultura nel Comune di Messina, nella Giunta Accoriniti, in Calabria è ricordato dalle persone informate per essere stato, tra il 2000 e il 2005, il più bravo presedente del Parco Nazionale d’Aspromonte.

In quella esperienza egli riuscì ad abbassare significativamente il tasso degli incendi estivi, grazie a un sistema di incentivi premiali dati alle cooperative di giovani impegnati nel parco. Un modello imitato poi nel resto d’Europa.
Ma gran parte delle attività di Tonino sono ignote ai più, perché non hanno avuto una adeguata visibilità mediatica. Egli ha speso anni, da giovane, a rendere operativi i rapporti di commercio equo e solidale, con la Ong Cric (Centro regionale di intervento per la cooperazione), di cui è stato fondatore, lavorando soprattutto nei Paesi dell’America Latina, ma battendo anche vari altri scenari internazionali, come quelli dei Balcani.

Sarebbe qui stucchevole elencare tutte le iniziative che si devono alla sua fervida creatività e al suo impegno davvero instancabile, giunti ancora intatti ai suoi attuali 73 anni. Ma va ricordato almeno ch’egli è tra gli ispiratori del movimento dell’Altra Economia, è stato Presidente del Comitato di Banca Etica, ha ideato e promosso l’iniziativa di Mimmo Lucano a Riace, inventando la geniale soluzione della moneta alternativa, per consentire agli immigrati di fare acquisti e di campare in attesa delle sovvenzioni pubbliche, sempre in cronico ritardo.

A Reggio, alle porte della città, ha fondato, insieme con altri amici, un Parco originalissimo, Ecolandia. Si tratta di un’ampia area agricola adibita a varie funzioni: ludiche, ambientali, di tutela e insieme di godimento estetico e culturale. Il parco, di fronte a Scilla e Cariddi, il paesaggio incantevole dello Stretto, è tematizzato, grazie alla presenza di figure simboliche, con rimandi ai miti greci.

Queste attività hanno, però, sempre accompagnato il suo lavoro quotidiano di docente di Sociologia economica presso l’Università di Messina e soprattutto una intensa attività di pubblicista. E’ autore di tanti libri che analizzano le strutture economiche e sociali delle società contemporanee, ma anche di testi teatrali, di romanzi, di favole per bambini. Collabora da decenni al Manifesto con articoli sempre acuti e originali che aiutano a comprendere strutture, processi ed eventi del nostro tempo. Scrive, da molti anni, penetranti e documentatissimi editoriali sulla Calabria ed il Mezzogiorno per il “Quotidiano del Sud”.

E questa versatilità non deve sorprendere, perché corrisponde pienamente alla sua inesauribile inventiva sul versante dell’impegno politico. Infine pare giusto ricordare che è un nonno affettuosissimo e partecipe e dunque, essendo uomo di sinistra radicale (che non significa estremista, ma che va alla radice dei problemi) è personaggio esemplare di cui la Calabria dovrebbe andar fiera.

Piero Bevilacqua, Battista Sangineto, Mimmo Rizzuti, Tomaso Montanari, Vittorio Mete, Vito Teti, Mimmo Cersosimo, Enzo Paolini, Pier Giovanni Guzzo, Angela Barbanente, Luigi Pandolfi, Laura Marchetti, Gianni Speranza, Gianni Latorre, Pietro Fantozzi, Raffaele Tecce, Massimo Veltri, Enzo Scandurra, Filippo Veltri, Lucinia Speciale, Piero Caprari, Giancarlo Consonni, Amedeo Di Maio, Fabio Parascandolo, Pino Scarpelli, Rocco Sciarrone, Alberto Ziparo, Mario Fiorentini, Massimo Covello, Carlo Cellamare, Giuseppe Aragno, Paolo Favilli, Marcello Furriolo, Giovanna De Sensi, Maria Pia Guermandi, Alfonso Gambardella, Carla Maria Amici, Giuseppe Saponaro, Rossano Pazzagli, Saverio Russo, Franco Novelli, Armando Taliano Grasso, Mimmo Passarelli, Osservatorio del Sud,