Lo spirito Fabiofazico.-di Filippomaria Pontani
“Grande sovrana è la parola: minuta e invisibile, essa compie azioni assolutamente
divine”. Forse memore del detto del sofista Gorgia di Lentini (V secolo a.C.),
e sensibile a quelle che ravvisa come le “ferite del nostro linguaggio”, Gianrico Carofiglio
rimanda in libreria, aggiornandolo, un volumetto feltrinelliano
del 2010, ora “La (nuova) manomissione delle parole”.
L’autore non è solo uno dei nostri scrittori più popolari, ma anche un ex deputato
e uno dei “saggi” che coordinano le “agorà democratiche ” tese a rinnovare
il lessico e l’agenda della politica italiana (mozione pedante: uno dei
tanti esperti pugliesi di cose antiche potrebbe ricordare la prima declinazione
e restaurare il plurale corretto che è agorài ?). Una voce dunque quanto mai
autorevole per demistificare la corrupta eloquentia del discorso pubblico.
Carofiglio ha in verità poco di nuovo da dire: il libro, denso di riferimenti
e corredato da 30 pagine di note erudite a cura di Margherita Losacco, è
sostanzialmente un “gioco personalissimo”(p. 107) che saccheggia e assimila
alcuni autori classici e altri libri di scrittori “da festival” (Belpoliti sulla vergogna,
Nussbaum sull’etica, Harari sull’homo deus, Müller sul populismo,
Canfora sulla democrazia…). Nel proclamare a più riprese la necessità della
“ribellione” (non si sa bene a cosa), l’autore finisce per inanellare una serie di
citazioni che più midcult non si può: Bob Dylan e l’Attimo fuggente, don Milani
e i discorsi di Obama, Bartleby lo scrivano e Primo Levi. Il tutto farcito da
qualche facile etimologia greca e qualche riferimento a Tucidide o Sallustio,
che hanno almeno (siamo il Paese di Andrea Marcolongo!) il pregio di essere
precisi.
Rispetto alla prima edizione, dominata dall’indignazione per le giravolte
leguleie e le intemperanze verbali ed etiche di Silvio Berlusconi, l’obiettivo è
in parte cambiato: sussistono, certo, sezioni sul lodo Alfano o sulle leggi ad
personam, ma ora si constata (p. 36) che “sia Berlusconi che Bossi… utilizzavano
un lessico nonostante tutto pertinente alla sfera politica” (e alle sfere
senz’altro pertengono il celoduro e la patonza). Mentre l’abisso, signora mia,
si è toccato con il turpiloquio di Beppe Grillo e con il populismo dei Cinque
Stelle, quelli che nel loro delirio eversivo pensavano di essere “l’unico argine
alla violenza” (“se va male questo movimento, che è l’unico pacifico, è finita”
disse Grillo anni fa: ed ecco infatti che come i 5Stelle arretrano ci troviamo la
Meloni al 20%, precisamente come Le Pen e Zemmour, l’AfD, Vox, Alba Dorata;
ma Carofiglio non registra manomissioni verbali da parte della destra
estrema). Uno studio incrociato dei discorsi di Bossi, Berlusconi e Grillo ha
mostrato che tra le 20 parole “esclusive” del comico genovese (non usate cioè
dagli altri due) ricorrono “cazzo”, “culo” e “merda” – o forse il problema sta
negli altri lemmi, ancor più ostici alla pruderiedei benpensanti dimentichi di
Aristofane (“inceneritore”, “pregiudicato”, “cemento”, “Tav ”,
“bocconiano”…)?
Verso la fine di questo campionario di spirito faziofabico, di questa santa messa
di rito gruberiano, Carofiglio ostende ‘en entier’ il celebre articolo di Antonio
Gramsci Odio gli indifferenti (1917), per argomentare la necessità di prendere
posizione, perché (p. 95) “la scelta è un atto di coraggio e di allegria; di responsabilità e di
intelligenza; di rivolta e di scoperta”. Evviva. C’è da chiedersi se l’autore abbia
letto gli articoli che Gramsci pubblicava sull’Avanti! negli stessi mesi del ’17,
in cui i rivali politici erano definiti “Stenterello”, “tafano inconcludente”,
“abiezione lurida”, “morto della vita sociale”, “re degli zingari”, “pagliaccio del pensiero”.
Inquietanti risvolti cripto-grillini (o travaglieschi?) ante litteram.
Infine, lavorando sulla distorsione delle parole non si può non citare 1984
di Orwell, e Carofiglio lo fa a più riprese (pp. 24, 71 etc.). Ma a chi, pur allergico
al turpiloquio, non ritenga né che la Neolingua totalitaria s’incarni nelle sparate
di Grillo né che cammini sulle gambe di Spadafora, Appendino e Patuanelli,
consiglierei di investire i suoi 15 euro in un altro volumetto meno
pubblicizzato in tv ma senz’altro più originale: le Contronarrazioni dell ’Officina dei Saperi
(a cura di Tiziana Drago ed Enzo Scandurra, Castelvecchi 2021) raccolgono una serie di
microsaggi che mettono a tema alcuni slogan
ormai diventati luoghi comuni (questa sì, una vera neolingua che trasforma
dolosamente il nostro modo di pensare) e in poche mosse ne mostrano l’in –
consistenza, li demistificano, li perculano. “Prima i meritevoli”, “le grandi
opere aiutano lo sviluppo”, “la crescita illimitata è irrinunciabile”, “la tutela
del paesaggio impedisce lo sviluppo economico”, “aiutiamoli a casa loro”, “au –
tonomo è bello”: tutte parole d’ordine di quell’ideologia neoliberista che ha
permeato di sé anche la lingua e la prassi di certa sinistra, assurgendo a inopinata
koinè financo in larghi settori del partito di Carofiglio (il quale, sia
detto per chiarezza, è un colto galantuomo e non ne è mai stato alfiere in
prima persona).
Certo, non tutte le analisi raccolte da Drago e Scandurra (essi pure severi
coi Cinque Stelle, ma per le loro promesse tradite) saranno condivise da tutti
i lettori: esse però, anche quando giudicate troppo “radicali ”, getteranno semi
utili a chiunque voglia acquisire una prospettiva critica (o semplicemente sia
aperto a qualche sospetto) circa le smart cities e il Bosco Verticale, il project
financing e la “sostenibilità”, la digitalizzazione forzata e la performance, la
meritocrazia e la didattica a distanza, il portfolio di competenze e il problem
solving. Le Contronarrazioni servono a orientare il dibattito linguistico sulla
base non di colti riboboli o di ovvi manifesti, ma di esperienze precise di cosa
implichi, nella vita quotidiana, il cedere alla retorica dominante, e di come si
possa ricucire una lingua sincera, sfuggendo all’ipocrisia.
“Scrivere è essere qui” conclude Carofiglio citando Nadine Gordimer, e il
“qui” è il mondo immateriale dell’intellettuale pensoso. “Il varco è qui” si
chiudono le Contronarrazioni citando Montale, e il “qui”è l’aula deserta della
III C, e i suoi ragazzi che aspettano di leggere Dante.
da “il Fatto Quotidiano” dell’11 dicembre 2021