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Appello per Capo Colonna a Crotone. L’Eni fermi i lavori.

Appello per Capo Colonna a Crotone. L’Eni fermi i lavori.

Le immagini della fenditura del terreno sempre più lunga, 12 metri, e sempre più larga, 40 centimetri, che ci giungono dal promontorio di Capo Colonna a Crotone ci preoccupano moltissimo. Ci preoccupano perché se è vero che il fenomeno dell’erosione e dei vistosi crolli del promontorio- sul quale sorgono il tempio di Hera Lacinia e l’abitato della colonia romana di Kroton- è noto da molto tempo, è vero, però, che questo fenomeno ha subìto un’accelerazione che sembra essere tutta di natura antropica.

Le caratteristiche geomorfologiche, litologiche, geostrutturali, idrologiche e geotecniche del promontorio determinano, in corrispondenza della falesia, distacchi di blocchi nella placca rigida silico-arenitica e calcarenitica. La suddetta placca poggia su un basamento argilloso molto erodibile per una serie di concause: scadenti caratteristiche geotecniche, sfavorevoli condizioni geostrutturali delle formazioni geologiche, presenza di circolazione idrica sotterranea in periodi piovosi, azioni chimiche dell’acqua marina sulle argille e l’alterazione prodotta da fattori antropici.

Siamo convinti che la circolazione idrica sotterranea, per iniziare, possa essere aumentata a seguito della mancata copertura dei molti scavi, non solo archeologici, che hanno messo allo scoperto le fondamenta dei monumenti, esponendoli agli eventi meteorici, all’erosione e allo slittamento della placca verso il mare.

Già in uno studio del 1998 si sosteneva che le alterazioni antropiche erano attribuibili alle vibrazioni per il passaggio di autoveicoli e alla concentrazione di turisti e pellegrini sul promontorio. Si immagini quante e quali vibrazioni hanno provocato, e provocano, le trivellazioni per la ricerca e l’estrazione del gas praticate, sulla terraferma ed in mare, da decenni per opera dell’Eni.

Allo stato attuale vi sono numerosi pozzi per l’estrazione del gas metano e tre piattaforme di proprietà dell’Eni che si ergono nelle immediate vicinanze dell’area marina protetta più grande d’Europa e di uno dei più importanti siti archeologici della Magna Grecia, il promontorio di Capo Colonna.

Le associazioni culturali di Crotone -come Italia Nostra, il Gak ed altre- cercano, da decenni, di fermare le trivellazioni che l’Eni, nel silenzio di tutte le amministrazioni comunali di Crotone, compie in mare e sulla terraferma a poche centinaia di metri addirittura dal promontorio di Capo Colonna, ma, finora, senza successo.

Si deve rilevare, altresì, che il problema qui esposto non sembra aver avuto sufficiente attenzione da parte della Soprintendenza Abap delle province di Catanzaro e Crotone nonché della direzione dei Musei e dei parchi archeologici di Sibari e Crotone a cui spetterebbe il compito di interrare o proteggere gli scavi effettuati e di tentare di fermare l’erosione e i distacchi mediante, per esempio, la costruzione di scogliere artificiali sotto forma di strutture modulari in cemento armato, posate e accostate sul fondale marino attorno al promontorio e, sul promontorio, di ‘cuciture’ realizzate costruendo reti di pali d’acciaio orizzontali.

I sottoscritti chiedono al Sindaco di Crotone, al presidente della Regione Calabria, al Ministero della Cultura, alla Soprintendenza Abap ed al direttore dei Musei e dei parchi di Sibari e Crotone di provare a far arrestare o, almeno, sospendere le trivellazioni dell’Eni nelle prossimità del promontorio e di provvedere con la massima urgenza alla salvaguardia di uno dei siti archeologici più importanti del Mediterraneo, ricordando che non può esserci valorizzazione senza la tutela dei monumenti o, come si sta rischiando in questo caso, senza i monumenti medesimi che potrebbero finire in mare.

Battista Sangineto, archeologo, Università della Calabria
Salvatore Settis, archeologo, già rettore Scuola Normale Superiore di Pisa
Tomaso Montanari, storico dell’arte, Rettore Università per stranieri di Siena
Piero Guzzo, archeologo, Accademia Nazionale dei Lincei e I.N.A.S.A.
Maria Teresa Iannelli, archeologa, già Soprintendenza archeologica Calabria
Roberto Spadea, archeologo, già Soprintendenza archeologica Calabria
Lucia Faedo, archeologa, già Università di Pisa
Paolo Liverani, archeologo, Università di Firenze
Franco Cambi, archeologo, Università di Siena
Maria Cecilia Parra, archeologa, già Università di Pisa
Paul Arthur, archeologo, Università del Salento
Teresa Liguori, professoressa, presidente sezione Italia Nostra Crotone
Anna Rotella, archeologa, vicepresidente sezione Italia Nostra Crotone
Vincenzo Fabiani direttore Gruppo Archeologico Krotoniate
Ferdinando Laghi, medico, consigliere Regione Calabria
Giuseppe Hyeraci, archeologo, Università di Napoli Suor Orsola Benincasa
Maria Cerzoso, archeologa, direttrice Museo dei Brettii e degli Enotri Cosenza
Bernarda Minniti, archeologa, Università di Genova
Fulvia Soffrè, già dir. Ammin., Soprintendenza archeologica della Calabria
Matteo Enìa, antropologo, Sapienza Università di Roma
Chiara Dodero, archeologa, Università di Genova
Anna Murmura, professoressa, presidente ArcheoClub sezione Vibo Valentia
Rocco Gangemi, architetto, delegato Ambiente FAI Calabria

foto da “il Crotonese” del 10 settembre 2024

Il dibattito sull’eolico in Calabria.-di Tonino Perna

Il dibattito sull’eolico in Calabria.-di Tonino Perna

Il “Quotidiano del Sud” ha avviato un importante dibattito sull’uso dell’energia eolica che spero continui e coinvolga anche chi ha ruoli di governo del territorio. La questione delle energie rinnovabili è una cosa seria, ma spesso viene affrontata superficialmente e con categorie ideologiche. Tra i contributi più interessanti c’è stato quello del Prof. Ferdinando Laghi, consigliere regionale e vicepresidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente. Il contributo di Ferdinando laghi è prezioso perché pone una questione di metodo.

Ogni fonte di energia, infatti, ha i suoi vantaggi e svantaggi rispetto all’ambiente e non va vista in assoluto ma relativamente ad altre fonti energetiche e al territorio che viene coinvolto. I pannelli solari, ad esempio, sono un’ottima fonte di energia rinnovabile, ma nessuno si sognerebbe di metterli sul Colosseo o sulla Cattedrale di Gerace o la Cattolica di Stilo. Invece, purtroppo, per sfruttare gli incentivi diverse imprese agricole li hanno impiantati su terreni agricoli togliendo spazio alla produzione di beni vitali per l’alimentazione umana ed animale.

Lo stesso approccio problematico, ma non preconcetto, bisogna avere rispetto alla installazione di pale eoliche, entrando nello specifico di singoli interventi. Intanto va ricordato che esistono pale eoliche di diverse dimensioni e forme, così come esistono condizioni climatiche che rendono antieconomica questa fonte (ad esempio nel Nord Italia) per la scarsa frequenza di venti con un minimo di intensità. Va quindi utilizzato, per un periodo congruo, un anemometro prima di installare una pala eolica. In secondo luogo va scelta con cura la localizzazione tenendo presente l’impatto acustico, i campi elettromagnetici, l’incidenza sul paesaggio, la vicinanza di insediamenti umani.

Chi scrive, quando era presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte, ha promosso la prima installazione di un parco eolico in Calabria, costituendo una società denominata Eolo 21 con la partecipazione dei Comuni aspromontani interessati. Per scegliere la localizzazione sono stati consultati, fra gli altri, il WWF, la Lipu, la Facoltà di Ingegneria di Roma La Sapienza, e naturalmente l’amministrazione comunale coinvolta nella scelta. Abbiamo costituito una società a maggioranza pubblica affinché i Comuni, oltre ad essere protagonisti nella localizzazione di eventuali impianti eolici, ne traessero anche un maggior vantaggio economico rispetto a quanto normalmente offre il privato.

Infine, credo che vada fatta chiarezza sulla presunta autosufficienza energetica della Calabria. E’ vero che questa regione è esportatrice netta di energia ma lo fa grazie agli impianti termoelettrici presenti, mentre la produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico, eolico e solare) coprono circa i tre quarti del fabbisogno. Per arrivare all’autosufficienza energetica “pulita” e rendere veramente green questa regione dovremmo cominciare, come suggerisce Ferdinando Laghi, a spegnere progressivamente le centrali termoelettriche mentre aumentiamo la produzione di energia da fonti rinnovabili.

Facendola finita con inerzie e sprechi, a partire dal completamento di opere rimaste inspiegabilmente sospese, come le previste centrali idroelettriche che dovevano entrare in funzione collegandole alla diga sul Metramo e a quella sul Menta. Per non parlare delle Comunità energetiche che si stanno diffondendo in tutto il Nord Italia dove le condizioni climatiche non solo favorevoli e stentano a partire nella nostra regione. D’altra parte è noto il paradosso: ci sono più pannelli solari per abitante a Bolzano che a Reggio Calabria.

Se si puntasse seriamente ad una vera transizione energetica in Calabria, si potrebbe non solo vivere meglio con minore inquinamento, ma anche rivendicare a livello nazionale ed europeo questo contributo alla riduzione della CO2. Con un programma che utilizzasse veramente questa grande risorsa ci sarebbe una rilevante ricaduta in termini di lavoro qualificato, di riduzione della bolletta elettrica per famiglie e enti pubblici.
Cosa ci manca?

da “il Quotidiano del Sud” del 28 dicembre 2023.

Di cattivi esempi sono lastricate le vie dell’eolico.- di Ferdinando Laghi

Di cattivi esempi sono lastricate le vie dell’eolico.- di Ferdinando Laghi

A Monterosso Calabro, in provincia di Vibo Valentia, lungo il crinale del Monte Coppari, quattromila faggi d’alto fusto saranno abbattuti, ove non si intervenga, per far posto a sei pale eoliche di 150 metri d’altezza, mentre lo splendido paesaggio del golfo di Squillace rischia di essere irreparabilmente stravolto e deturpato dall’insediamento di una selva di aerogeneratori offshore. Terribili aggressioni – ambientali e non solo- di una inaccettabile speculazione affaristica.

Né vale invocare, a giustificazione di interventi ai quali fortemente si oppongono Associazioni ambientaliste, nazionali e locali, e Comitati sorti per difendere il territorio calabrese da assalti ormai continui, la tesi delle energie rinnovabili, “pulite”, necessarie per bilanciare e sostituire quella da combustibili fossili. La faccenda non è né così lineare, né così semplice.
Basti pensare al fatto che non vi è alcun piano energetico che preveda una progressiva sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili, ma le une si vanno a sommare alle altre in una brutta “addizione”, che nuoce alla Calabria e a chi vi abita.

Nel 2020 la Calabria ha avuto un surplus di produzione energetica del 179,5%. Nello specifico, l’eolico con i suoi 400 impianti, ha contribuito con 2.132 GWh – pari a circa il 13% del totale- alla produzione complessiva calabrese di 16.597 GWh (dati TERNA). Una quantità di molto superiore ai consumi che, invece, negli scorsi anni hanno avuto una tendenza al decremento. Per altro, ad onta della sua “spendibilità” di immagine, anche quella eolica presenta delle criticità che dovrebbero essere conosciute e ben valutate prima della concessione di autorizzazioni, richieste, in realtà, soprattutto per mettere le mani sui ricchi incentivi economici previsti per tali fonti energetiche.

Gli impatti collegati alla presenza di una centrale eolica sono numerosi, non soltanto dal punto di vista ambientale e paesaggistico, ma anche per i rischi per la salute. Senza tacere dei danni che queste iniziative possono determinare alle economie locali. Ad esempio, nei casi di cui si parla, alle attività turistico-escursionistiche del vibonese o dei pescatori del crotonese.
Le dimensioni delle pale eoliche sono andate progressivamente aumentando nel tempo – la torre può essere alta 150 metri e oltre, mentre il diametro disegnato dalle pale rotanti arriva a superare i cento metri.

I luoghi scelti per la collocazione delle turbine sono in genere zone boscose, come i crinali montuosi, o comunque le aree rilevate, più esposti ai venti. Ma per raggiungerle è necessario costruire strade, abbattere alberi, distruggere la vegetazione presente, contribuendo significativamente al consumo di suolo. L’area individuata per il posizionamento di ogni singola pala viene ricoperta da una colata di cemento per ancorare la torre al terreno. C’è poi un altro impatto certamente non trascurabile, rappresentato dalle opere di adduzione dell’energia prodotta agli elettrodotti che devono veicolarla, con l’ulteriore impatto ambientale su flora e fauna, magari in aree protette, come le Zone di Protezione Speciale (ZPS) che andrebbero ben diversamente salvaguardate. Si è anche molto parlato dei danni all’avifauna per gli uccelli colpiti dalle pale rotanti, problema forse enfatizzato in passato, ma comunque presente e da considerare in una valutazione complessiva costi-benefici.

Ci sono poi ulteriori ricadute, questa volta sulla salute umana. Ove la distanza dalle abitazioni non sia sufficiente, il rumore può rivelarsi disturbante e dannoso per la salute, come la “Sindrome da turbina eolica”, caratterizzata da una serie di sintomi (tra cui vertigini, mal di testa, nausea, offuscamento della vista, tachicardia, insonnia, disturbi della libido).
Nel caso le pale rotanti si interpongano tra l’edificio e i raggi del sole, si verifica il cosiddetto “shadow flickering” –letteralmente, ombreggiamento intermittente- a causa della rapida sequenza sole-ombra-sole, determinata dal ruotare delle pale. Inoltre la presenza di una produzione di energia elettrica e il suo conferimento agli elettrodotti di trasporto, genera inevitabilmente campi elettromagnetici (CEM), ben noti determinanti ambientali di salute.

Né si può non citare un aspetto che, in Calabria, ha toccato livelli inquietanti, quello del malaffare e della infiltrazione criminale e ‘ndranghetista. La storia della produzione energetica dell’eolico calabrese è punteggiata da una lunga teoria di scandali e inchieste della magistratura – da “Eolo” nel 2006, a “Via col vento” del 2019- con indagini che hanno riguardato politici del governo regionale, multinazionali dell’energia e faccendieri vari, che dal grande business dell’eolico (ogni megawatt installato rende almeno 300mila euro l’anno per trenta o anche quarant’anni) hanno tratto enormi vantaggi economici, arrivando a far modificare, per il proprio tornaconto, il Piano Eolico Regionale. Il tutto spesso all’ombra di “famiglie” ‘ndranghetiste che hanno tratto da questo business, che continua senza conoscere crisi, i proventi maggiori.

da il Manifesto del 10 febbraio 2022