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Regionalismo differenziato: dal no alla proposta.-di Massimo Veltri

Regionalismo differenziato: dal no alla proposta.-di Massimo Veltri

Dire no al regionalismo differenziato si deve, e opporsi allo scellerato progetto che sta prendendo corpo per iniziativa del governo e segnatamente della Lega di Salvini è un atto che si deve perseguire non soltanto da parte dei cittadini del sud ma di coloro che hanno a cuore il destino dell’Italia intera.

Dire no significa mobilitarsi nelle piazze, sottoscrivere la richiesta di referendum abrogativo, far sentire al palazzo che i problemi del mezzogiorno e del paese sono un unicum, che sarebbe un errore gravissimo puntare sullo spaccottamento piuttosto che sul riequilibrio.

Un riequilibrio cui si rinuncio allorché ormai quasi venticinque anni fa il governo di centrosinistra modificò il Titolo V della Costituzione-da lì è partito tutto, è bene ricordare-investendo nell’operoso nord e lasciando alla deriva il sud in perenne sofferenza: l’eufemismo più in voga era ‘in ritardo di sviluppo’.

La questione meridionale, il dualismo fra le parti simmetriche del paese venivano risolte in maniera tranchant, semplicemente eliminando uno dei corni del dilemma, quello più fragile.

Il dibattito che si è sviluppato da allora ha risparmiato poche pieghe delle tante che rivestono l’affaire: mettere alla prova il sud, i LEP, i servizi essenziali, era meglio non fare L’Unità d’Italia, con i Borboni si stava meglio, facciamola dal sud, la secessione. Perché un dibattito c’è stato, e c’è, anche nelle regioni meridionali, e anche con evidenti distinguo nelle forze politiche, a cominciare dalla moderata Forza Italia che mostra di non gradire. Un dibattito che però si sviluppa esclusivamente sul versante difensivo e d’opposizione al disegno di Salvini, come se conservare lo status quo fosse la soluzione.

Invece no, non è la soluzione perché è sotto gli occhi di tutti la divaricazione sempre più stridente fra allocazione delle risorse, disponibilità di servizi, occasioni di lavoro, efficienza delle prestazioni, capacità di spesa, treni che partono con direzioni e versi privilegiati se non esclusivi.

Perché il sud è rimasto indietro, c’è stato chi documenti alla mano ha indicato d’indagare sulla inadeguatezza delle classi dirigenti a sud di Roma: se per un periodo la tesi ha mostrato la sua fondatezza non di meno la parzialità della diagnosi balza comunque agli occhi con l’incalzare degli eventi. Non già per assolvere l’indifendibile ma per assegnare a un intero sistema ruoli e responsabilità che non possono che essere collettivi, plurali bisogna dire che un impegno diffuso e costante è ciò che attende la comunità politica e civile, culturale ed economica delle regioni del sud.

Perché è dal sud, se si vuol dare per davvero il segno della credibilità della svolta, che si deve dare inizio a ridisegnare funzioni e attribuzioni, assegnare equilibri e risorse, secondo un assetto della macchina pubblica che non nasconda zone d’ombra, riconosca limiti e introduca correttivi secondo criteri di equità e di merito, in uno Stato del terzo millennio.

Può partire dal sud un ragionamento siffatto, ci sono da noi intelligenze e passioni capaci di mostrare la via, con spirito unitario e non subalterno, propositivo e non rivendicazionistico?

Provare a misurarsi in tale impresa val la pena, altrimenti sarà il cartello del no a vincere ancora una volta, o il perpetuarsi dell’eterno pantano.

da “il Quotidiano del Sud” del 17 settembre 2024

Sulle politiche, non solo, culturali.-di Massimo Veltri

Sulle politiche, non solo, culturali.-di Massimo Veltri

È calato il sipario sull’edizione 2023 del Premio Sila e, lungo la scia degli anni precedenti, ha visto sfilare davanti a platee affollate e partecipi prodotti editoriali e personalità della cultura nazionale che hanno presentato libri e trattato argomenti di attualità e contenuti di estremo interesse.

Letteratura, saggistica, anche opere pittoriche e il consueto premio alla carriera destinato a chi si è distinto in maniera particolare nel proprio settore di attività in un premio che fu una felice intuizione di Giacomo Mancini e dopo qualche anno di silenzio è ritornato, una decina di anni fa, grazie a Enzo Paolini.

Erano altri tempi, si era nel 1949, e l’obiettivo era allora quello di rilanciare l’attività culturale calabrese dopo il periodo fascista e il secondo dopoguerra.

Il nuovo Premio Sila ha ripreso le fila di un discorso interrotto per stimolare, in un periodo storico complesso e difficile, la ricostruzione di un tessuto sociale attraverso percorsi culturali che richiedono attenzione, sensibilità e partecipazione, ribadendo il primato della cultura, della conoscenza, dell’esercizio dello spirito critico.

Gli statuti, differenti nell’articolazione della loro ragion d’essere, sono significativamente convergenti nelle finalità e nei contenuti: e parimenti urgente è la necessità di far leva sul coinvolgimento dei saperi nell’opera di costruzione di un tessuto connettivo improntato alla prefigurazione di un futuro che facendo tesoro del passato sia quanto mai scevro di contaminazioni passatiste e nostalgiche.

Sono stati moltissimi i giovani presenti agli eventi e non soltanto tramite la loro partecipazione attiva nella giuria popolare che affianca i giurati per così dire istituzionali mentre non è una notizia soltanto di quest’anno la relativa affluenza dei ceti intellettuali calabresi, inclusa quella delle università.

La borghesia professionale facente capo ai tanti rami delle attività, da quelle umanistiche a quelle economiche a quelle giuridiche, periodicamente fornisce una rappresentazione di sé in buona misura avulsa da momenti in cui potrebbe fornire contributi originali e attivi oltre che fruire di eventi stimolanti.

Non è fenomeno ascrivibile soltanto al premio Sila, in una città ricca almeno sulla carta di un cartellone intrigante e variegato, e proprio quando nel dibattito nazionale tengono banco temi in buona misura connessi. Quello del meridionalismo, nell’epoca del regionalismo differenziato, e l’altro della mancanza di contributi analitici e propositivi dei circoli della conoscenza nel delineare un profilo di crescita del paese.

È difficile dire quali possano essere le cause che presiedono a tale stato di cose che è si particolare ma anche con forti venature nazionali: per certo contribuiscono sfiducia e autoreferenzialità, non indifferente la non immediata individuazione di punti di riferimento cui rivolgersi: forse una discussione franca aiuterebbe.

dal “Quotidiano del Sud” del 28 giugno 2023

Eventi che accelerano la dissoluzione.- di Massimo Veltri

Eventi che accelerano la dissoluzione.- di Massimo Veltri

C’è una convergenza di eventi che rischia di essere letta come casuale e mette tutti a dura prova: cittadini, politici e amministratori. Pandemia, scandali, una giunta regionale uscente e quindi elezioni dietro l’angolo, la Regione in mano a un vice facente funzioni non eletto e diciamo parvenu e niente più, arresti eccellenti: la tempesta perfetta.

Il presidente del Consiglio Regionale è agli arresti domiciliari: Tallini, già dichiarato ineleggibile, per varie inchieste della magistratura è da ritenersi ovviamente innocente, fino a prova contraria. E’ stato comunque votato e nominato da quella classe dirigente che ci governa, è questo il punto. Il buco nero in cui ci troviamo immersi e ci scaraventa nel maelstrom di una opinione pubblica nazionale, e internazionale, già ben edotta su fatti e malefatte che per ultimo hanno registrato l’incapacità non solo di gestire il Sistema Sanità ma pure di non avere neanche un commissario ad acta, alla coda di un decennio di commissariamento che nulla ha risolto, tanto ha aggravato. E non solo dell’opinione pubblica, ovviamente, ma del presente e del futuro di intere generazioni di calabresi votati all’abbandono, all’incuria, al declino.

C’è chi vuole farsi una ragione del maelstrom e si attarda, non da adesso, sulle motivazioni, politiche ed economiche antropologiche e storiche, della irrimediabilità del Caso Calabria. Così come c’è chi sfiduciando irreversibilmente il sistema dei partiti rivolge lo sguardo verso la cosiddetta società civile mentre non pochi ostentano indifferenza e si adagiano, fra il cinico e il rassegnato, sull’ andazzo: ‘è quello che è: è sempre stato così, e così sarà’. Nei partiti, a dire il vero, non si riscontra particolare vivacità, adusi a ricevere input se non diktat dalle centrali nazionali, e con i venti che soffiano nel paese non c’è da attendersi molto.

Sugli indifferenti, i cinici, i rassegnati non c’è da fare assegnamento, è ovvio, mentre per quanto riguarda la società civile abbiamo un precedente, o due. L’ultimo è quello che si riferisce all’estemporanea quanto improvvida scesa in campo dell’imprenditore Callipo, tolto dal cappello magico romano e inviso ai più dei maggiorenti locali: è stata un’esperienza che non ha lasciato tracce, positive s’intende. L’altro è intorno al 2006, quasi quindici anni fa, quando con Loiero, Mimmo Cersosimo e altri generosi, si invocava, più che proclamare, un temerario quanto ingenuo Slega la Calabria.

Un tentativo di mediazione, di compenetrazione, fra il vecchio e il nuovo forse meritevole di maggior fortuna dato che fortunato o meritevole non lo è risultato malgrado buona volontà, impegno e ottimismo (forse mal riposto) da parte di qualcuno. Eppure ci sono spazi, ci sono motivi e soprattutto opportunità che è necessario coltivare ed esplorare ancora, e testardamente, per chi crede che non si può morire così o almeno si spera.

Il refrain che vuole la nascita delle Regioni come la nascita di tutti i mali sarà ed è pure un ritornello convincente, ma hic et nunc, prima di scrivere un nuovo testo con nuova musica bisogna adoperarsi subito perchè la casa non bruci del tutto.

Mi scriveva ieri, a me e ad altri, Costantino Fittante, uno che il senso dello Stato non lo ha mai abbandonato e che a una Calabria non da terzo mondo ha sempre creduto, da sinistra, una sinistra non parolaia ma riformista, di valori sani e proiettati verso il futuro… , scriveva a me e ad altri per stilare un documento, una nota, una posizione, prima ancora degli arresti domiciliari del presidente Tallini:
“…dovrebbero indurre la società civile organizzata ( Partiti, Sindacati, Anci, Upi, Associazioni Professionali e Imprenditoriali) ad una riflessione e ad un dibattito pubblico che aiuti a capire come si può uscire da una condizione compromessa oltre ogni limite.

Ma dai soggetti citati non arrivano segnali di impegno civico. C’è una sorta di scollamento tra la
realtà e le organizzazioni citate…
La società calabrese è ricca di professionisti seri e preparati. Stanno nelle Università, nelle Scuole, ai vertici di Imprese e Organizzazioni sociali. Ma stanno chiusi nel loro ambito, osservano, valutano silenziosamente, ma non ipotizzano lontanamente la loro scesa in campo per qualificare e fare funzionare secondo una visione di bene comune, le istituzioni (Regione, innanzi tutto, e poi Enti Locali) e la miriade di società pubbliche e\o partecipate, le fondazioni. Ma perché questa separatezza? C’è come una sorta di timore? L’insieme della situazione della regione, per di più condizionata in ogni settore dalla penetrazione della ‘ndrangheta, rafforza un senso comune molto diffuso tra i singoli e la società organizzata: chi me lo fa fare?

Tra costoro è ampia la convinzione che l’impatto con le istituzioni, principalmente la Regione, non ti mette al sicuro da responsabilità riflesse che vengono dal passato e che comunque ti fanno diventare oggetto di indagini giudiziarie e da avvisi di garanzia, ecc..
Una situazione bloccata. Ipotizzare che possa cambiare in vista delle elezioni regionali dei prossimi mesi, è difficile se non si produce qualcosa di innovativo… “.

C’è qualcuno, chiedo qui, che può aggiungere qualcosa: idee, proposte, sollecitazioni? Oltre a rivolgersi “ai partiti, quelli del centro sinistra innanzitutto, all’interno dei quali è sperabile che ci sia ancora del positivo e culturalmente alto, che farebbero bene ad uscire dal silenzio o dai rituali tradizionali, per condannare senza esitazione la pratica del “posizionamento e della ricerca di protettori esterni, magari dirigenti nazionali”, per aprire un ampio confronto che porti alla definizione di un programma realistico e attuabile e a liste qualificate. Se ciò non si produce, la Regione sarà condannata ai commissariamenti: ora alla depurazione e ai rsu, dopo alla sanità, e a seguire alla spesa dei fondi europei o altro ancora”.

Commissariamenti o peggio: dissoluzione.

dal “Corriere della Calabria” del 19 novembre 2020

Dalla pietas cristiana alla durezza dei fatti. Parliamo di politica.-di Massimo Veltri

Dalla pietas cristiana alla durezza dei fatti. Parliamo di politica.-di Massimo Veltri

Leggo in una nota che circola nel web: “… un sistema, cinicamente si è messo dietro un feretro, utilizzando un dolore realmente toccante per santificare e compattare se stesso, fingendo di elogiare il defunto. Il dolore da elemento salvifico, necessario, umanizzante, si sta trasformando uno strumento dell’inganno dietro al quale un sistema che ha bisogno di fallire per conservarsi nasconde le proprie strategie.

Di nove mesi di legislatura regionale restano un corto di Muccino e un vice-presidente in quota lega. E nessuno in così poco tempo avrebbe potuto fare miracoli, ovvio. Ma nove mesi sono bastati per capire che i miracoli non erano nemmeno previsti. Ora è legittimo cercare di far passare per sogno mancato un sogno che non c’è mai stato. Lo è per chi si proporrà alle nuove elezioni, nelle spoglie mentite dei ruoli. Lo è per chi vuole conservare lo strapuntino sul quale era appena salito. … la commozione non può essere l’ennesima occasione per farsi fregare.”

La laicità, affrontare con razionalità i fatti della vita, pur se questi ti pongono davanti a dolori, lutti, fatti sentimentalmente e emotivamente devastanti, sono parte fondamentale e costitutiva della civiltà occidentale. Una civiltà fatta di sentire e di ragionare, appunto, a volte immergendo l’una nell’altra, oppure sforzandosi di tenerli separati. L’equilibrio, e la costruzione di un insieme di valori e di norme comportamentali che tengano insieme una comunità, si basano essenzialmente sulla capacità di ricercare, e saper rintracciare, dinamicamente, una coesistenza fra questi momenti fondamentali della natura umana: individuale e collettiva.

In tempi: mesi, lunghi mesi, in cui il rosario, implacabile, di vittime del virus si sgrana impietosamente, assistere cinicamente o forse solo con indifferenza o distacco alla scomparsa di chi aveva in mano, politicamente, il potere nella nostra regione non era biologicamente, fisiologicamente, possibile: sarebbe stato, appunto, disumano. E infatti così non è stato, con manifestazioni, testimonianze, rievocazioni, tributi, numerosissimi: taluni sinceri e dettati da sensibilità particolarmente permeabili, altri conditi o massicciamente improntati a ipocrisie, iperboli, pure spropositi, investimenti di convenienza e salvaguardia di rendite di posizione, presenti o potenziali. Rassicura e fa sentire protetti riconoscersi nella figura, e nella memoria ancor più, di una giovane dinamica e piena di vita, posta in posizione apicale.

Forse, però, è questo uno di quei momenti in cui occorre tenere separato il pubblico dal privato, la commozione dal ragionamento. Bisogna cioè introdurre la politica, utilizzare quindi la categoria che separa i fatti dalle impressioni, badare agli interessi generali. La santificazione non fa bene né nei cieli né in Terra, quando non è esplorato ogni tipo di procedura necessaria a validarla.

E questa nostra terra, che pure di santi ne vanta di gloriosi (oltre che di poeti e di navigatori, è ovvio), farebbe bene si asciugasse gli occhi e dopo il periodo di lutto, doveroso e sincero, lo elaborasse come merita, il lutto, e si avviasse a voltare pagina. Anche perché il potere monocratico che la norma assegna al vicepresidente (presidente facente funzione, cioè), un vicepresidente designato dalla Lega e nemmeno eletto dal popolo non offre chi sa quali garanzie di efficienza e adeguatezza, sia pure in termini di ordinaria amministrazione e in tempi limitati fino alle elezioni.

Che cos’e’ mai ordinario in Calabria? Il dilagare del virus, il perenne braccio di ferro fra Regioni e Stato Centrale, la ripartizione e l’utilizzo dei fondi quali garanzie di guida e governo offrono? Non tanto a iniziative sorgenti dal basso, ormai velleitarie e spuntate, quanto ai diversi corpi intermedi nella società calabrese (ordini professionali, centri di ricerca, associazioni e fondazioni), alle parti sociali (sindacati, commercianti e produttori), alla dignità residua di ciò che resta dei partiti è assegnato un arduo ma indifferibile compito.
Sin da adesso e nel preparare le elezioni.

da “il Quotidiano del Sud” del 19 ottobre 2020

La Battaglia del Mezzogiorno.- di Massimo Veltri

La Battaglia del Mezzogiorno.- di Massimo Veltri

L’utilizzo del Recovery Fund riaccende la miccia della battaglia fra nord e sud. Non è enfatico né fuori luogo definire battaglia il contrasto asprissimo che si sta sviluppando da mesi ormai fra il nord del paese e le regioni del sud. Contrasto che parte, se proprio vogliamo dare un inizio alle cose, da quando la voglia matta di secessione innescata dalla folle rivisitazione della Costituzione del 2001, diede fiato e fuoco a Zaia, Fontana-ma pure a Bonaccini e a personalità fino ad allora insospettabili d’essere in odore di frazionamento del paese-per attribuire numerosissime competenze esclusivamente alle Regioni, Stato centrale a prescindere.

Lo scoppio del Covid, le terribili emergenze conseguenti e, non ultime, le durissime prese di posizioni espresse da personalità indiscusse come per esempio Massimo Villone, Gianfranco Viesti, Adriano Giannola sembravano aver rinchiuso a chiave in un cassetto il disegno disgregatore del ‘regionalismo asimmetrico’.

La UE e i fondi che mette a disposizione per fronteggiare il virus e ricostruire hanno rimesso in mano a qualcuno le chiavi di quel cassetto. Molte chiavi, che comprendono fra gli altri: Claudio Signorile e l’invito alle Regioni del Sud di mettersi d’accordo per utilizzare d’intesa quelle risorse per grandi progetti strategici; il leader di Confindustria, Carlo Bonomi: ‘Bisogna rivedere dalle fondamenta il modo in cui si affronta il tema della Coesione territoriale tra Nord e Sud’; il rispolverare vexate quaestio sull’ammontare nei decenni passati dei milioni o miliardi trasferiti dallo stato centrale al sud che non sarebbero né pochi né inferiori di quelli elargiti al nord (Stefano Micossi, presidente della Luiss – School of European Political Economy, che aggiunge: ‘Il Mezzogiorno soffre da decenni di incentivi distorti che hanno funzionato poco o male’); articoli che invitano il Sud a non doversi fidare del Nord, in forza dei soprusi subiti nel passato.

Il ministro per il Mezzogiorno che battibecca con chi lo accusa (Giavazzi, dalle colonne del Corriere della Sera) di essere filovietnamita e lo invita ad aderire alle virtù coreane… Se non è una battaglia, questa… , una battaglia in cui c’è stato pure chi ha rievocato il Piano Marshall, se pure con non poche improprietà: quello che conta è la torta da spartire che, il punto è questo, c’è chi non la vuol spartire, costi quel che costi.

E la politica? Così, ci vien da dire, proseguendo lunga questa strada-strade anzi: che divergono e collidono-non si va da nessuna parte. Perché si amplifica a dismisura e in termini il più delle volte ideologici e irrazionali un fossato, un divario, una storia che viene da lontano, fin dall’unità d’Italia e alla quale si è cercato a volte di dare soluzioni cozzando quasi sempre con difficoltà oggettive fatte di rinchiusure figlie dell’arretratezza e dell’interesse particolare strettamente intrecciate con la malavita organizzata e con l’inadeguatezza delle classe dirigenti. Con la scarsa, distratta, svogliata, a volte debole intermediazione della politica.

Il neoborbonismo, il lombrosismo, il rimpiangere malinconico natali magnogreci, le autoassoluzioni, il prevalere cieco di visioni economicistiche che sorreggono il darwinismo per cui a nord si produce, a nord c’è la ricchezza, qui si deve investire, il resto è noia… i refrain li conosciamo tutti. E non portano, nessuno di loro, da nessuna parte. S’è andato via via smarrendo e sempre più velocemente il senso reale dello stare insieme, della coesione e della condivisione nazionale. Manca la visione, ha scritto qualcuno.

Ora, e il Covid è stata, solo e fortissima e devastante, la goccia amarissima che ha fatto traboccare il vaso, il rischio esiziale che si corre, tutti, non è solo o tanto quello di eludere, furbescamente e all’italiana, i criteri in base ai quali le risorse finanziarie, ingenti, ci sono state assegnate dalla UE, di porre mano al dualismo nord-sud, in poche parole, ma di disgregare l’intera comunità nazionale in nome di egoismi mercantilistici e rapacità inqualificabili.

Se dalle Regioni e dai loro governanti non saliranno voci volte ad arrestare la barbarie, se la proposta strategica di Claudio Signorile, l’unica a nostro parere al momento degna di attenzione, sarà lasciata cadere i tempi diventeranno ancor più bui.

da “il Quotidiano del Sud” del 3 ottobre 2020