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Lo strano no al referendum che seppellisce la Calderoli.-di Francesco Pallante

Lo strano no al referendum che seppellisce la Calderoli.-di Francesco Pallante

Dal punto di vista giuridico, sorprendono, stando ai virgolettati riportati sui giornali, le parole pronunciate dal neopresidente della Corte costituzionale durante la conferenza stampa del 21 gennaio. Spiegando le ragioni della bocciatura del referendum contro la legge sull’autonomia regionale differenziata (legge Calderoli), il presidente Amoroso avrebbe detto che «la decisione della Corte sulla non ammissibilità del referendum si riferiva alla non chiarezza del quesito, perché l’oggetto del quesito (la legge Calderoli, ndr) è oramai ridimensionato» per via della sentenza dello scorso anno che ne ha sancita la parziale, benché amplissima, incostituzionalità, sicché «ciò che residuava era difficilmente comprensibile dall’elettore».

È difficile nascondere la sensazione di disagio suscitata da tali parole. La decisione circa la idoneità della legge Calderoli a rimanere sottoposta a referendum dopo il suo parziale annullamento da parte della Corte costituzionale spettava, infatti, alla sola Corte di Cassazione, la cui valutazione a favore della idoneità non è suscettibile di revisione da parte della Corte costituzionale.

Quest’ultima avrebbe dovuto limitarsi a valutare il rispetto dei limiti alle iniziative referendarie previsti dall’articolo 75 della Costituzione (esclusione delle leggi di bilancio e tributarie, di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, di amnistia e indulto) e dalla sua stessa giurisprudenza (a partire dalla sentenza 16 del 1978, che esclude altresì i quesiti referendari disomogenei o vertenti su leggi costituzionalmente necessarie o a contenuto vincolato). Invece, a quanto pare, il referendum sarebbe stato ritenuto non ammissibile proprio per via del parziale annullamento della legge, operando un irrituale rovesciamento della precedente decisione della Cassazione.

Altrettanto sorprendente è leggere che, con il referendum, «i cittadini sarebbero stati chiamati a votare sull’articolo 116 comma terzo della Costituzione, e cioè sul principio dell’autonomia differenziata, ma questo è contro la Costituzione». Non è così. La Costituzione attribuisce alle regioni la possibilità di chiedere l’autonomia differenziata, ma la decisione se accogliere la richiesta è rimessa allo Stato. L’autonomia differenziata non è un diritto, è una facoltà che lo Stato può decidere di attivare o di non attivare.

Dunque, decidere di eliminare la legge Calderoli, in quanto volta ad agevolare l’esercizio di quella facoltà, non significa affatto pronunciarsi sulla Costituzione, bensì assumere una decisione di principio sull’attivazione o meno della facoltà in questione (il che, peraltro, non impedisce la possibilità di utilizzare direttamente l’articolo 116, comma 3 della Costituzione, come mostra l’esperienza dei Governi Gentiloni e Conte I).

Dal punto di vista politico è indubbio che la mancata ammissione del referendum produca il doppio effetto negativo di far venire meno un forte collante tra le opposizioni al governo e di indebolire l’importantissima campagna referendaria che si aprirà in primavera. A beneficiarne non è solo la destra, che rischiava di spaccarsi nelle urne tra favorevoli e contrari all’autonomia, ma anche quella consistente parte del partito democratico che continua a vedere nel regionalismo una risorsa – sia pure trincerandosi dietro l’ambigua formula del regionalismo cooperativo e non competitivo – ed era terrorizzata dall’idea che il referendum sancisse l’esistenza di un diverso orientamento popolare.

C’è, tuttavia, anche un risvolto positivo. Proprio le parole del presidente Amoroso certificano, in via definitiva, che il disegno del regionalismo differenziato è fallito. L’incostituzionalità della legge Calderoli sancita dalla Corte costituzionale è così radicale da aver reso politicamente insostenibile la posizione dei pasdaran del regionalismo (sebbene alcuni di loro continuino, incuranti del ridicolo, a tenere la posizione).

È uno straordinario successo per tutti coloro che fin da subito avevano intuito i pericoli dell’autonomia differenziata e si sono battuti contro il tentativo di spezzare l’Italia, costruendo un movimento di opinione che ha dato un contributo decisivo alla difesa dei principi costituzionali di solidarietà, uguaglianza e unità. Paradossalmente, proprio la mancata ammissione del referendum è la più alta certificazione di tale successo. Si tratta ora di mantenere alta l’attenzione, per impedire i colpi di mano che dovessero cercare d’indebolirlo.

da “il Manifesto” del 23 gennaio 2025

Autonomia differenziata, i conti non tornano.-di Filippo Veltri

Autonomia differenziata, i conti non tornano.-di Filippo Veltri

Sull’autonomia differenziata infuria la buriana politica soprattutto dopo la raccolta firme per il referendum (è andata al di là di ogni più rosea aspettativa per i promotori) e in vista della prevedibile battaglia elettorale. Ma è nel merito che ci si sofferma poco, al Nord come al Sud, nonostante studi e ricerche non manchino.

Proviamo a fare due conti, con l’aiuto dell’Osservatorio dei conti pubblici Italiani dell’Università Cattolica. In attesa che vengano definiti i famigerati LEP (livelli essenziali di prestazione) che andranno garantiti su tutto il territorio nazionale, tre economisti dell’Osservatorio (Rossana Caccamo, Alessio Capacci e Giampaolo Galli) hanno fatto un paio di conti e viene fuori che, dato che l’economia del centro nord vale il 78% del PIL nazionale contro il 22 del Sud, ogni punto del PIL trattenuto dalla Regioni piu’ ricche peserebbe tre volte e mezzo in più per quelle più povere.

Si tratterebbe di un guadagno relativamente piccolo per le prime ma di una perdita consistente per le seconde finendo di mettere a rischio la tenuta dei servizi. Prendiamo la Calabria nella simulazione effettuata: su una spesa primaria di 24,5 (tutti i valori sono in miliardi di euro) c’è una entrata di 16,4, con un residuo fiscale di più 8,2.

La Lombardia ha invece una spesa primaria di 140,5, entrate per 189,3 e dunque un residuo fiscale in negativo di 48,5. Dunque la legge Calderoli finirebbe con l’estremizzare le disparità che già oggi dividono l’Italia anziché ridurle e non responsabilizzando la politica locale. In più il sistema della verifica anno per anno dell’allineamento tra il fabbisogno di spesa delle Regioni e il loro gettito fiscale renderebbe ancor più farraginoso il problema.

Anche su questo insistono due noti economisti italiani – Francesco Drago e Lucrezia Reichlin – in aperto contrasto con Sabino Cassese. Prendono in esame la sanità e scrivono: ‘’…La storia dei LEA (livelli essenziali di assistenza, già introdotti nel nostro paese nel 1999) insegna che quando la capacità amministrativa e le infrastrutture sono di bassa qualità come nelle Regioni del Mezzogiorno il finanziamento per ridurre i divari di prestazione non è sufficiente.

La riforma è un disincentivo per il rinnovamento della classe dirigente del Sud e la questione è importante perché il problema del Mezzogiorno sta proprio nel non essere riuscito ad esprimere una classe dirigente locale adeguata. Con l’autonomia differenziata gli incentivi alla formazione di classi dirigenti del Mezzogiorno responsabili e capaci diminuiscono’’.

I principi su cui poggia la riforma, inoltre, spiegano Drago e Reichlin – sono difficilmente attuabili e se ne discute dal famigerato anno 2001. Come hanno evidenziato la Banca d’ Italia e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio in piu’ di 20 anni poco o nulla e’ stato fatto. Determinare il finanziamento dei LEP è molto difficile ed occorre conoscere i costi standard di ogni bene e servizio che viene erogato in maniera efficiente, determinare il livello di prestazione minima e stabilire i fabbisogni. Missione quasi impossibile.

In sostanza i due economisti alzano l’allarme sul fatto che saranno allontanate le forze piu’ dinamiche della società e della politica locale e invece della responsabilizzazione delle classi dirigente del Sud si otterrà il contrario. ‘’Comunque si rigiri la frittata – secondo Drago e Reichlin – questa legge fa male sia al Nord che al Sud e rischia di gettare il Paese in un caos amministrativo di cui veramente non abbiamo bisogno’’.

Ora la parola passerà nuovamente ai partiti e alle istituzioni, forse alla Corte Costituzionale e probabilmente agli elettori. I dubbi espressi a livello scientifico sono quelli sopra espressi. Vedremo che accadrà nell’immediato futuro.

da “il Quotidiano del Sud” del 7 settembre 2024