Il volto oscuro del Pnrr: tanti regali alle imprese.-di Gianfranco Viesti
Il Pnrr comporta importanti scelte politiche: nel suo disegno e nella sua realizzazione. E il governo Meloni ne ha compiute alcune molto nette, di cui è utile avere coscienza.
Il Pnrr è tutt’altro che un documento tecnico che contiene un’ovvia lista di riforme e investimenti. Il governo Draghi ha compiuto molte importanti scelte, senza che il Parlamento e la stessa opinione pubblica potessero dare il loro contributo in una grande, aperta, discussione; senza che ne fossero persino pienamente informati.
Ne è scaturito un Piano con luci e ombre. Fra le più positive l’enorme investimento sui nuovi nidi: in pochi anni tanti posti quanti negli ultimi 50 anni; fra le più negative, la misura sui “borghi”, con una visione da cartolina della complessa realtà delle aree interne.
Licenziato il Piano da un Parlamento plaudente, si è passati all’allocazione delle risorse ai singoli progetti, fino al settembre 2022. Un periodo molto interessante e poco conosciuto, nel quale ministri prevalentemente tecnici hanno compiuto importantissime scelte politiche; un periodo nel quale è davvero esistita la mitica “stanza dei bottoni” di nenniana memoria: tante risorse da allocare, con criteri e destinazioni scelti discrezionalmente.
Quando è entrato in carica il governo Meloni, i bottoni erano stati quasi tutti premuti; e all’esecutivo toccava un compito istituzionale: curare la tempestiva realizzazione di quanto programmato da altri. Una beffa per un governo guidato dall’unico partito che era prima all’opposizione. Ma questo ruolo male si addiceva alla scalpitante nuova maggioranza, che voleva lasciare il suo segno.
Così il ministro Fitto, nelle cui mani erano stati concentrati tutti i poteri e che subito ha fatto piazza pulita delle vecchie strutture tecniche, ha cominciato a preparare il terreno: giudizi sempre più critici sul Piano che doveva realizzare e opinioni sempre più pessimiste sulla sua realizzazione. Si è preso il suo tempo. Tanto tempo.
A maggio 2023 ha infine prodotto un documento sul Pnrr che ne elencava tutte le supposte criticità. Poi a luglio ha colpito. Ha presentato una ipotesi di complessiva, rilevante riformulazione, profittando della necessità di aggiungere un capitolo legato alla nuova iniziativa europea RePower EU, conseguenza della crisi ucraina.
Nel dibattito pubblico, occupato da mille comunicazioni su “target” e “milestone”, su rate da richiedere e da incassare, è sfuggito il senso politico dell’operazione. Intendiamoci: occuparsi delle scadenze per ottenere le risorse è fondamentale; ma è ancora più importante capire che ne facciamo. E il governo Meloni ha scelto: ha spostato circa 15 miliardi dagli investimenti pubblici ai sussidi alle imprese.
Dare incentivi alle imprese non è in sé un male: ma, viste le straordinarie dimensioni di queste misure (fra vecchio Piano e aggiunte siamo a 50 miliardi) e le loro caratteristiche prevalentemente a pioggia, molti dubbi sono leciti. Ma le forze di opposizione sembrano timorose nel criticare qualsiasi misura per le imprese; e la maggioranza è decisa a rafforzare la sua alleanza con le associazioni imprenditoriali, nell’industria, nei servizi, nell’agricoltura.
Sono invece usciti dal Piano importantissimi interventi: nella sanità, nelle aree interne, a Taranto e soprattutto nelle città, a vantaggio dei cittadini. Le motivazioni tecniche per il taglio proprio di questi interventi sono apparse subito molto deboli. È stato un atto politico d’imperio: più alle imprese, meno agli investimenti pubblici.
Nell’estate, di fronte alla protesta dei sindaci il governo ha garantito che gli interventi urbani sarebbero stati rifinanziati. Poi a novembre la Commissione (che lascia le scelte di merito agli Stati membri) ha approvato la proposta italiana, con diverse modifiche.
E siamo all’oggi. Come è fatto il nuovo Piano? Sembra incredibile, ma è impossibile saperlo perché non esiste ancora un testo ufficiale. Che effetti territoriali avranno queste modifiche?
Ci sono seri motivi per pensare che i tagli colpiranno più il Mezzogiorno, ma il governo, semplicemente, non pubblica più l’apposita relazione semestrale. Da dove verranno le risorse per rifinanziare i progetti esclusi? Un decreto promesso da novembre dovrebbe stabilirlo, ma ancora non si è visto. Si naviga nell’oscurità e nell’improvvisazione. E tutto questo ha pesantissime implicazioni: massima incertezza per i “vecchi” progetti, con i nuovi che non possono ancora partire.
Insomma, il Pnrr è assai più interessante di quanto sembri. Perché è anche una cartina al tornasole che fa vedere più aspetti del governo: determinatissimo nell’usare le risorse pubbliche per i propri fini; arrogante e opaco nei modi e nella comunicazione; azzardato e poco capace sui complessi nodi tecnici.
da “Il Fatto Quotidiano” del 22 febbraio 2024