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Città unica, una memorabile vittoria dei cittadini.-di Battista Sangineto

Città unica, una memorabile vittoria dei cittadini.-di Battista Sangineto

Una vittoria memorabile dei cittadini e una sconfitta storica per la classe dirigente di questa regione. È questo lo straordinario, letteralmente fuori dall’ordinario, risultato del referendum sull’unificazione di Cosenza, Rende e Castrolibero. L’unificazione promossa e sostenuta con entusiasmo da tutti i partiti, da Sinistra Italiana a Fratelli d’Italia, dagli imprenditori, dagli speculatori edilizi e, persino, da una parte dei sindacati è stata rigettata dai cittadini delle tre città.

Quei cittadini, alcuni dei quali riunitisi in Comitati spontanei, hanno respinto con forza, più del 58 % di NO, questa arrogante e, nei contenuti, irricevibile proposta di unificazione. A Cosenza, in particolare, due Comitati spontanei e autofinanziati –‘NO alla Fusione’ e ‘NO alla fusione. Per una Città Policentrica’, composti da non più di una quindicina di persone in tutto- sono stati capaci di persuadere il 30% dei votanti della città capoluogo a votare NO.

Quasi il 60% dei cittadini ha rifiutato questa proposta soprattutto perché l’unificazione aveva come unica ragione, falsamente di buon senso comune, che, essendo i territori comunali confinanti, la città unica esisteva già nelle cose e nella percezione delle persone.
Ogni città, invece, è fatta di molte cose, alcune materiali ed altre immateriali; una città è fatta di un patrimonio culturale “interno”, la memoria culturale, e di uno “esterno”, i monumenti, le piazze, le strade, i giardini, i palazzi, i viali alberati, i beni culturali.

Le città e i paesi italiani sono diversi gli uni dagli altri perché hanno forme, avvenimenti storici e sociali, stili e materiali architettonici e paesaggi nei quali si incastonano, molto differenti fra loro (Settis). Cosenza, Rende e Castrolibero avevano ed hanno forme e storie diverse che non sono omologabili, così come non sono omologabili neanche i loro cittadini che, infatti, hanno nettamente rifiutato l’unificazione.

I ‘leader’ dei partiti che hanno promosso questa unificazione vanno dicendo, ora, che è stato solo il metodo -senza dubbio impositivo e arrogante- che ha spinto i cittadini a votare contro, ma lo fanno solo per nascondere l’intimo rifiuto che, invece, i loro stessi elettori hanno avuto a conformarsi al pensiero unico della presunta ‘convenienza ed attrattività’ economica e della falsa modernità incarnata dalla grandezza che si otterrebbe con un unico Comune. Dicono queste cose perché fanno finta di non capire che i cittadini hanno bocciato, per sempre, l’unificazione più che il metodo.

Questa, invece, è stata una vittoria sul luogo comune che vorrebbe che il successo di una città sia misurato dalla sua Bigness (Koolhass) e dalla sua capacità di competere con altre città di egual dimensione. Una vittoria di coloro che pensano che il successo di una città dipenda, invece, dalla sua capacità di distribuire equamente al proprio interno beni e servizi che possano garantire la vita civile del più gran numero possibile dei suoi cittadini.

Un’unificazione che è stata bocciata dai cittadini perché avrebbe definitivamente condannato i territori delle loro città ad essere soltanto suolo da ridurre a merce, preda degli speculatori che, dopo aver cementificato quasi del tutto Cosenza, vogliono espandere la metastasi cementizia verso le colline più appetibili di Castrolibero e, soprattutto, verso la pianura di Rende.

Il Sindaco di Cosenza potrebbe cogliere l’occasione per provare, come indicatogli dal voto dei cittadini, a liberare il territorio del suo Comune dal giogo avvilente della speculazione edilizia e rivedere dalle fondamenta il Piano Strutturale Comunale –adottato, ma non approvato dall’allora sindaco Occhiuto- per farlo diventare strumento di progresso urbanistico, civile e sociale invece che approvarlo, ‘sic et simpliciter’, producendo solo mero sviluppo cementizio.

Mi permetto, sommessamente, di suggerire ai Commissari di Rende di non approvare il PSC della città che è l’atto più importante -dal punto di vista non solo urbanistico, ma anche economico, sociale e culturale- di qualunque Amministrazione comunale, ma di lasciarlo alla discussione e all’approvazione democratica del prossimo Consiglio comunale e del Sindaco che i cittadini vorranno eleggere, speriamo al più presto possibile.

Si potrebbe, ora, provare ad aprire, come suggerisce Sandro Principe, una fase di concertazione tra i Sindaci di Cosenza, Castrolibero ed i Comitati del NO per elaborare uno Statuto per l’Unione dei tre Comuni che è l’unico strumento idoneo per imboccare la strada indicata con chiarezza dal voto dei cittadini.

da “il Quotidiano del Sud” del 5 dicembre 2024

Basta movida chiassosa e maleducata.-di Battista Sangineto

Basta movida chiassosa e maleducata.-di Battista Sangineto

Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia Covid-19, è dilagata in Italia, e solo in alcune città italiane, una moda pervasiva e particolarmente nociva: una movida maleducata e rumorosissima i cui protagonisti sono ‘giovani’ di tutte le età.

L’incontenibile proliferazione di bar, pub, ristoranti e locali notturni con relativi innumerevoli tavolini e dehors ha assecondato e favorito questa assoluta mancanza di rispetto del decoro e della quiete pubblica. Un’estensione a tutti i giorni dell’anno degli sfrenati Saturnali che nella Roma antica si svolgevano, però, solo dal 17 al 23 dicembre.

Basti pensare a Corso Mazzini, a Cosenza, che si presenta come un’unica assolata distesa di tavolini e dehors al centro dell’intero miglio di lunghezza lasciando, ai due lati, uno spazio meno ampio di quello che era percorribile dai pedoni prima della sua chiusura al traffico automobilistico.

Un budello vociante, maleodorante e maleducato, sul quale si affacciano ormai solo corrivi negozi di catene e spropositati monomarca globali che nulla ha a che vedere con la ‘piccola Broadway’, bordata di eleganti negozi che vendevano Dior e Fath, raccontata da Guido Piovene, fra il 1957 e il 1967, nel suo “Viaggio in Italia”. Una città che non ha più una stagione lirica, un cartellone di prosa degno di questo nome e un cinema d’essai, una città che, nell’ultimo quindicennio si è irrimediabilmente imbarbarita.

Ha prevalso una ‘movida’ selvaggia che ha metastatizzato anche le vie adiacenti e alcune altre aree della città al punto che può esser descritta, senza tema di smentita, per mezzo di un paradosso: una città ‘gentrificata’ senza progresso economico, sociale e culturale e, persino, senza sviluppo e senza turismo.

La metastasi si è estesa anche ad un intero quadrilatero residenziale della città di Rende, quello che va dall’Emoli al Surdo, che è stato trasformato nel quartiere degli ‘eventi’ e della movida perenne. L’ultima Amministrazione comunale ha concesso a privati l’area mercatale, a ridosso dell’area residenziale della Cep, per la Festa della Birra, ma anche il Parco del Surdo per farne il luogo di un Dj-set in occasione del 1° maggio e della discoteca all’aperto di un pub per quasi tutto il mese di giugno, fra i palazzi e le case residenziali di via Rossini e via Mosca.

Tutto questo senza farsi mancare rumorosi Circhi due o tre volte all’anno (con e senza poveri animali esotici), un tonitruante Luna Park, bar, ristoranti, pizzerie e locali che vomitano musica, da mane a sera inoltrata, ad altissimo volume praticamente per tutto l’anno. C’è da rilevare che ad un anno dall’insediamento dei commissari prefettizi a Rende non è cambiato nulla, a questo riguardo.

L’unificazione dell’area urbana è già stata realizzata grazie alla diffusione della musica a tutto volume, degli olezzi di cibo a tutte le ore e dell’ubriachezza molesta fra i palazzi dei residenti che magari non amano quella musica e che vorrebbero avere, invece, la possibilità di riposare, guardare in pace la tv, leggere un libro o fare due chiacchiere con amici e parenti fra le mura domestiche.

La responsabilità è, naturalmente, delle Amministrazioni locali che hanno elargito, con troppa facilità e lassismo, spazi pubblici in concessione e che hanno permesso che i privati facessero i loro interessi agevolandone i profitti che sono fondati sull’utilizzo a basso, o nessun, costo degli spazi pubblici e sulla complice indulgenza che le Amministrazioni hanno avuto e hanno nei riguardi dei suddetti imprenditori colpevoli, direttamente o indirettamente, di reati contro la quiete pubblica e il decoro.

Una politica che, per un labile consenso elettorale, ha voluto favorire un tornaconto economico per poche persone che sfruttano un centinaio di lavoratori mal pagati e a tempo determinato senza creare alcuna ricchezza per le città e nessun vero posto di lavoro qualificato e duraturo, come del resto dimostrano l’alta mortalità dei suddetti locali e le più recenti indagini socio-economiche (G. Bei-F. Celata 2023).

Voglio ricordare che a Parigi, e in tutta la Francia, le brasserie, i ristoranti e i locali non possono fare musica all’esterno, ma anche che in Germania la musica all’esterno dei locali e quella dei concerti deve finire alle 22.30 e, infine, che, nella scaturigine della ‘movida’, in Spagna ed in particolare a Madrid e a Barcellona, la musica all’aperto è ormai vietata e che le multe per gli schiamazzi notturni ammontano a 600 euro a persona.

Se proprio non si vuole stroncare questa incivile deriva assordante e maleodorante che non è permessa in nessun altro paese occidentale, occorrerebbe che le Amministrazioni allestissero, alla bisogna, aree lontane dalle residenze dei cittadini che hanno il costituzionale diritto alla salute che comprende il diritto di svolgere la propria vita secondo i propri ritmi di veglia-riposo.

da “il Quotidiano del Sud” del 3 giugno 2024